Il
rapporto tra Ragione e Fede da Agostino ad Ochkam
Anche se nelle intenzioni di Agostino d'Ippona (354-430 d.C.) ragione e fede debbono essere intese come "complementari", di fatto nel suo pensiero la ragione risulta assorbita dalla fede. Per Agostino la fede determina una sottomissione di tutto l'essere dell'uomo a Dio, ed essa dunque stimola e promuove la stessa ragione. La fede non è però fideismo (cioè rifiuto della ragione), essa è un ragionare con assenso. Senza la fede non è possibile integrare teologia e filosofia, all'uomo incredulo le verità teologiche appariranno un mucchio di assurdità. Agostino può essere considerato il padre di quella posizione che sarà riassunta nelle formule: "credo perchè ragiono e ragiono perchè credo" (vedi Isaia 7:9). La ragione può essere "assorbita" dalla fede anche perchè uno è il concetto di Verità (Agostino riconosce l'esistenza di molte "cose" vere ma non distingue tra verità di ragione e verità religiose) e uno il Dio che comunica alle menti la capacità di riconoscere tale concetto. La verità o più propriamente le verità. sono intese da Agostino come i pensieri stessi di Dio, essi vengono comunicati all'uomo tramite un'illuminazione divina. Tale illuminazione è partecipata anche agli increduli e agli idolatri, ma è riconosciuta tale solo dall'anima credente.
Per Anselmo d'Aosta (1033-1109), la ragione chiarisce quello che già si possiede per il tramite della fede. La ragione permette di provare l'esistenza di Dio, il perchè dell'incarnazione del Cristo, la natura del Dio uno e trino, la relazione tra predestinazione e libero arbitrio. Anselmo è estremamente fiducioso delle possibilità della ragione illuminata dalla fede, per lui vale il motto: "la fede ricerca la ragione" e anche "credo e dunque comprendo" (ma non il contrario "comprendo e dunque credo"). In realtà la ragione che Anselmo esamina è quella del credente, infatti solo sul presupposto della fede è possibile utilizzare la ragione per tentare di capire il contenuto della Rivelazione, l'ateo troverà sempre inconcludenti le speculazioni "ragionevoli" del credente, ai suoi occhi fede e ragione non potranno in alcun modo essere conciliate.
Per Abelardo (1079-1142), ragione e fede sono "funzionali ma autonome". La filosofia va coltivata per sè stessa, essa è la disciplina tramite la quale la ragione continuamente si mette in discussione, ciò non esclude che essa possa essere raccordata con la teologia nei suoi risultati finali. Abelardo mira a rendere più comprensibili le dottrine del cristianesimo, la ragione è solo uno strumento per mettere a punto conoscenze approssimative e non ha la pretesa di esaurire il contenuto degli oggetti che indaga. Può essere affermato che la filosofia per Abelardo è un ponte in senso ascendente tra la ragione naturale e Dio. Secondo Bonaventura di Bagnoregio (1218-1274), bisogna distinguere una retta ragione che concede spazio al sovrannaturale, rispetto ad una cattiva ragione che questo sovrannaturale nega. Ciò che è contestato è la ragione non-cristiana e auto-sufficiente. La ragione "naturale" non può in alcun modo conoscere a prescindere da Dio e il filosofo che vuole veramente essere tale deve necessariamente essere cristiano. Solo il filosofo cristiano può rettamente comprendere che l'universo porta in sè l'impronta di Dio e che la storia dell'umanità è una storia religiosa. A ben vedere la filosofia cristiana di Bonaventura è una mistica, essa è un'esortazione rivolta all'uomo peccatore affinchè si ponga in atteggiamento di ascolto della voce di Dio onde avere comunione con Lui.
Per Tommaso d'Aquino (1221-1274), unica è la sorgente della verità, per cui è necessario tentare di "concordare" fede e ragione. Solo nell'ambito di quello che è il contenuto della Rivelazione è possibile argomentare circa l'uomo e Dio. La differenza esistente tra fede e ragione non è connessa ad una diversità di oggetto, in quanto entrambe questionano a proposito di Dio, del mondo e dell'uomo, esse differiscono solo per il diverso grado di approfondimento di tali oggetti, superficiale per la filosofia, più profondo per la fede. Tommaso è convinto che la fede migliora la ragione naturale (con il termine "ragione naturale" si intende l'esercizio della ragione da parte dell'uomo a prescindere dalla Rivelazione), così come la teologia migliora la filosofia. La filosofia è intesa da Tommaso come una sorta di "preambolo" per la fede, in quanto essa utilizza quel "lume naturale" che permette di comunicare verità di fede "razionali", tanto ai credenti quanto ai non credenti. Per tale motivo la filosofia nel sistema tomistico ha un ruolo che potremmo definire "apologetico". Tommaso è anche convinto che l'esercizio della ragione naturale costituisca la caratteristica più propria dell'essere umano, pertanto l'uomo è investito della responsabilità di "pensare" Dio, anche nell'ipotesi estrema di prescindere dalle verità di fede. Le verità su Dio raggiungibili attraverso la ragione naturale sono ad esempio quelle che Dio è uno, che esiste, che è creatore dell'universo, che è buono ect. Le verità raggiungibili attraverso l'uso della ragione illuminata dalla rivelazione sono ad esempio che Dio è uno e trino, che Cristo è vero uomo e vero Dio ect. Diversamente da Bonaventura, Tommaso è convinto che la ragione naturale possa raggiungere conclusioni vere anche a prescindere dalla fede.
Secondo Duns Scoto (1266-1308), la ragione ha un "ambito differente" da quello della fede. La ragione filosofica si occupa dell'ente in quanto ente, ossia di "ciò che è" a prescindere dalle sue connotazioni specifiche, utilizzando per procedere in tale ricerca, il metodo dimostrativo, e cercando di non esorbitare dall'ambito "naturale", ossia da quell'ambito di cose che cadono sotto i sensi. La teologia si occupa dei cosidetti "articula fidei", ossia di ciò che costituisce oggetto di fede. Per argomentare in merito agli oggetti di fede la teologia fa ricorso al metodo della persuasione, inoltre essa ha a che fare in modo eminente con il sovrannaturale e prende le mosse da quanto Dio si è degnato di rivelarci si sè. Ragione e fede si distinguono anche perchè, mentre la prima procede speculativamente per il tramite di astrazioni generalizzanti, la seconda pone attenzione all'esercizio di una condotta morale. Posta tale distinzione per Duns Scoto la filosofia non migliora se posta sotto la tutela della teologia e viceversa, la teologia non diventa maggiormente rigorosa se adotta gli strumenti della filosofia. Tutt'altro che in linea con queste premesse, Scoto ha cercato di mettere a punto una dimostrazione dell'esistenza di Dio, fondandola su premesse di tipo razionale: le cose finite possono essere come anche non essere (sono "contingenti" cioè non "necessarie"), siccome esse di fatto esistono debbono la propria esistenza all'Essere necessario per eccellenza, Dio.
Secondo Guglielmo d'Ochkam (1280-1349), fede e ragione non appartengono ad ambiti "distinti", ma "separati". Le dottrine teologiche appaiono improbabili e indimostrabili alla ragione umana (ragione naturale), a riprova di tale affermazione Ochkam fa riferimento alla dottrina della Trinità, escludendo di poterla argomentare facendo ricorso alla ragione naturale. La filosofia (la ragione naturale) non può in alcun modo sostituirsi alla fede e in tal modo rendere "trasparenti" le dottrine cristiane. Ochkam dissociò totalmente il mondo "naturale" da quello "sovrannaturale", ponendosi agli antipodi della speculazione filosofica e teologica del suo tempo, infatti affermò che se Dio era il creatore dell'universo, tra Dio e le sue creature esisteva un legame noto a Dio solo, per cui tutto il creato era da considerarsi un libro oscuro nel quale non era possibile leggere la presenza e gli scopi di Dio (diversamente da quanto affermavano Agostino, Bonaventura, d'Aquino e Scoto). Dio non è passibile di essere "intuito", poichè la sfera dell'intuizione non può elevarsi dalle cose terrene a quelle sovraterrene, ciononostante Ochkam, sulla falsariga di Agostino e Tommaso d'Aquino, è persuaso che si possano produrre dimostrazioni a-posteriori dell'esistenza di Dio. La prova che Ochkam adduce è fondata sul concetto di "causa conservante": il creato "conserva" la propria esistenza non in virtù di sè stesso ma in virtù di Dio. La filosofia con le proprie argomentazioni in merito a Dio non riesce ad andare oltre questa dimostrazione, mentre ben più largo è l'ambito della fede. La fede della quale si occupa la teologia non concerne solo verità pratiche, infatti molti dei propri asserti risultano essere speculativi (si pensi a dottrine quali la Trinità, la morte vicaria del Cristo ect.), tale sapere non è però dimostrabile con la ragione naturale, anzi la ragione nell'ambito teologico ha solo da argomentare di non essere all'altezza delle verità di fede. Con Ochkam perdono valore le affermazioni rese celebri dal pensiero medievale: "credo dunque ragiono" e "ragiono dunque credo", per essere sostituite dall'espressione "ragiono e credo".