Dobbiamo
intendere il furto, al quale fa riferimento il comandamento, in un'accezione
molto ampia. Infatti "rubare" ha il senso tanto di sottrarre proprietà
materiali al prossimo, quanto sottrargli la libertà o la dignità
(rapimento, schiavitù, maltrattamenti, ect.). Il termine "rubare"
andrebbe pertanto inteso nel senso generico di "portare via",
"sottrarre".
Soltanto Dio è il reale proprietario di ogni cosa, uomini compresi
(Salmo 24:1; Deut. 10:14), per tale motivo solo a Lui può spettare
il compito di proibire il furto. L'uomo entro determinati limiti, è
considerato il custode/amministratore di quanto Dio gli affida (Gen. 2:15;
Lev. 25:23).
Rispettare l'altrui proprietà, significa rispettare Colui che la
dona in amministrazione.
Il brano di Deut. 9:4 ci informa che il popolo di Israele era entrato in
possesso della terra di Canaan non in virtù di meriti personali,
ma per esclusivo volere di Dio. In conseguenza di ciò, la terra era
diventata occasione di lavoro, traffico commerciale, produzione. Coloro
che possedevano appezzamenti di terreno non potevano "venderli",
ma soltanto "fittarli"; tale fitto aveva termine con l'anno giubilare,
solo allora i leggittimi proprietari tornavano in possesso dei propri terreni
(Lev. 25:8-34).
I beni immobili, le case, potevano essere riscattate entro un anno dalla
loro vendita (se poste fuori dalla cinta muraria di qualche città,
o se proprietà appartenenti a leviti, Lev. 5:29-34), altrimenti esse
rimanevano in proprietà perpetua dell'acquirente.
Tutta la regolamentazione inerente l'acquisto e il riscatto è sintetizzata
dal brano di Lev. 5:17:"Nessuno di voi danneggi il proprio fratello,
temerai l'Eterno".
La libertà personale è dalle Scritture ritenuta un "bene",
e il "furto della libertà" era l'unico tipo di furto punito
con la morte (Deut. 24:7).
Solo Dio può disporre liberamente della vita dell'uomo, la quale
altrimenti è soggetta a stretta sorveglianza (Lev. 25:39-55; Deut.
15:12-18, tali brani illustrano la cura che Dio desidera sia esercitata
nei confronti del "fratello" costretto ad offrirsi come "domestico"
per saldare i propri debiti).
Dio è impegnato non solo a difendere la libertà della sua
creatura, ma anche la relativa dignità, da qualsivoglia tipo di ladrocinio.
Molteplici sono i brani in tal senso: Deut. 24:10 ci informa come dovesse
essere trattato il debitore all'atto della consegna di un pegno, Deut. 24:13
come comportarsi quando i debitore fosse tanto povero da possedere solo
un mantello, Deut. 24:14-15 proibizione di rinviare il pagamento del salario
di un lavoratore).
Dio protegge la proprietà condannando anche ogni tipo di frode nel
commercio (Deut. 25:15-16, probabilmente la pena di morte veniva comminata
anche a quanti ignoravano questa prescrizione).
Tra i casi di furto presentati dalla Scrittura, deve essere annoverato quello
di Absalom, figlio di Davide, il quale "rubò il cuore ad Israele"
(2Sam. 15:6), caso che può senza dubbio tornare utile per una riflessione
sulla politica o sui mezzi da essa usati per promuoversi.
Il NT si muove nella stessa prospettiva morale dell'AT relativamente al
furto (1Cor. 6:10); chi rubava e chiamato a muoversi nella direzione contraria
(Ef. 4:28). Al pentimento deve sempre essere associata la restituzione (Es.
22:1-7; Lev. 6:1-5).
Possiamo con sicurezza affermare che Dio non leggittima la proprietà
acquisita attraverso frode e inganno o conservata con i medesimi mezzi.
Il credente dovrebbe essere capace, in un regime di ingiustizia, di sopportare
la spoliazione dei propri beni (Ebr. 10:34).
Il credente non deve considerare l'esercizio della proprietà un fatto
neutrale. Di conseguenza sarà opportuno che egli assuma un atteggiamento
critico non solo nei confronti dei sistemi economici "comunisti",
ma anche di quelli "liberali", entrambi figli dell'umanesimo.