Decimo Comandamento: "Non concupire"
Il decimo e comandamento possiede all'interno della regolamentazione del Decalogo, una funzione "regolatrice", esso cioè attira l'attenzione sul fatto che i comandi di Dio non si rivolgono esclusivamente alla dimensione "esteriore" dei comportamenti dell'uomo, quanto "principalmente" a quelli"interiori".
Il comandamento in questione ordina di "non concupire la casa del proprio prossimo", il termine "casa" deve essere inteso in un senso estremamente comprensivo, come tutto ciò che appartiene di diritto al nostro prossimo (la moglie, i servitori, gli animali, gli oggetti), allo stesso modo il verbo "concupire" (ebr. HAMAD) non è da intendersi solo come un mero "desiderare", quanto piuttosto come simile per senso all'espressióne "macchinare per ottenere qualcosa ai danni del prossimo".
Gesù Cristo stesso corregge l'interpretazione della Legge diffusa al suo tempo tramite una riproposizione del 10° comandamento (Matteo 5:27-28 il "non commettere adulterio" è integrato con un commento a proposito del desiderare la donna non propria).
Lutero ha avuto l'indubbio merito di aver riportato la dottrina della "concupiscenza" alla sua chiarezza biblica. La concupiscenza non va confusa con la "libidine", quanto piuttosto intesa come la sorgente segreta della carnalità umana (superbia, amor proprio). Notiamo come nel comandamento vengano equiparati uomini e bestie, questo atteggiamento è proprio di chi concupisce, chi ne è affetto è condotto a considerare il proprio prossimo come un oggetto da possedere.
Nell'epistola di Giacomo (1:13-15), la concupiscenza è messa esplicitamente in relazione con il peccato ed entrambi in opposizione ai doni di Dio.
La concupiscenza può senza dubbio essere accomunata all'invidia, cioè all'attitudine di colui che non sopporta che gli altri possano gioire per quanto hanno ottenuto dalla grazia di Dio.
Nell'invidioso è sempre presente un'attenzione costante nei confronti della gioia del proprio prossimo, che viene percepita come un elemento doloroso. La concupiscenza (ma possiamo pensare anche alla solitudine) è connessa con la incapacità di far "circolare" la gioia.