Settimo Comandamento: "Non Commettere Adulterio"


Il settimo comandamento nel suo aspetto "positivo", è teso a preservare l'unione coniugale da qualsivoglia superficializzazione.
Diversamente da quanto il senso comune ritiene, il matrimonio non è una questione di interesse privato, pertanto i tentativi di minarne l'integrità per il tramite dell'adulterio, sono intesi come atti lesivi dello stesso diritto divino (Esodo 20:15).
Il matrimonio è un'istituzione "creazionale".
In Genesi 2:18-28 è delineata ciò che per la Scrittura è l'essenza stessa del matrimonio:
1) la necessità di avere comunione con un essere di sesso opposto (Gen. 2:18);
2) l'emancipazione dalla propria famiglia di origine, per formare un nuovo nucleo familiare (Gen. 2:24a);
3) l'unione fisica e spirituale per formare una nuova personalità (Gen. 2:24b);
4) la partecipazione della coppia all'opera creatrice di Dio, tramite la procreazione (Gen. 1:28).
L'adulterio compromette l'unità di tutti questi elementi.
I brani di Levitico 20:10 e Deuteronomio 22:22 ci informano di quanto fosse grave la pena per coloro che disprezzavano l'istituto del matrimonio.
La Scrittura pone alcune restrizioni al matrimonio, non sarà pertanto possibile sposare chiunque o vivere un rapporto coniugale privo di regole. Sono infatti proibite unioni incestuose (con sorella, madre, padre, fratello, zia materna o paterna), unioni con affini (matrigna, nuora, sorellastra, cognata, zia acquisita), e unioni omosessuali, come i brani di Lv 18, 20 e Deut. 27:20-23 sottolineano.
Il Nuovo Testamento riafferma tali proibizioni, valga come esempio il contenuto del brano di 1Corinzi 5:1-5, nel quale Paolo giudica peccaminosa la condotta di un uomo che a Corinto "si tiene la moglie del padre"(la matrigna). E' evidente che tale condanna è comprensibile solo alla luce dei brani dell'AT nei quali sono condannate le unioni con affini; ciò deve farci ritenere ancora valide le liste di proibizioni delle unioni illecite di Levitico e Deuteronomio.
Il cuore dell'uomo è insanabilmente malvagio (Geremia 17:9), per tale motivo Dio regolamenta non solo il matrimonio, ma anche il divorzio.
Il termine "divorzio", traduce tanto "apostasion" quanto "afiemi".
Nel NT i brani che sembrano negare il divorzio, sono essenzialmente: Marco 10:2-12; Romani 7:1-3; 1Corinzi 7:10-11.
In Matteo 19:1-9, i Farisei tentano di cogliere Gesù in contraddizione rispetto alla legge mosaica, proponendogli un quesito circa il contenuto del brano di Deuteronomio 24.
I Farisei erano erroneamente convinti che in questo brano fosse contenuto il permesso di mandare via le proprie mogli "per qualsiasi motivo", dopo avere loro dato "un documento di ripudio", al fine di proteggerle dall'accusa di essere state ripudiate per adulterio.
Gesù riafferma il contenuto originario del matrimonio (vv. 4-6), illustra il motivo della prescrizione mosaica (v.8), e introduce un'eccezione alla indissolubilità del matrimonio: la fornicazione (v.9).
Il termine "fornicazione" (porneia) possiede nelle Scritture cinque sensi fondamentali:
1) idolatria (Geremia 3:8);
2) adulterio (Osea 2:2, "prostituzione" appare come sinonimo di "adulterio"), in generale, qualunque unione sessuale al di fuori del vincolo coniugale è dalla Scrittura considerata "adulterio".
3) relazioni sessuali pre-matrimoniali (Deut. 22:20-21; Num. 25:1, a proposito di quest'ultimo brano, il termine "impurità è interpretato da Paolo in 1Cor. 10:8 nel senso di "fornicazione");
4) relazioni sessuali contronatura, con animali o omosessuali (Lev. 18:22-25, dove i termini "contaminazione" e "abominazione" sono sinonimi di "fornicazione");
5) rapporti sessuali tra consanguinei o affini (Lev. 18:6-18).
Al termine "fornicazione" del brano di Matteo 19:19 è possibile attribuire solo i significati 2), 4), 5). La proposizione greca epi nell'espressione epi porneia (a motivo, a causa di fornicazione), modifica la portata del sostantivo porneia facendogli assumere un senso durativo; pertanto "fornicazione" non indicherà un singolo atto peccaminoso, quanto piuttosto una situazione stabile di peccato. La clausola eccettuativa più che esprimere una "causa", individua uno "stato".
Ciò ad esempio, esclude la possibilità di attribuire al termine "fornicazione" di Matteo, il significato 3), non è infatti possibile da sposati, avere relazioni pre-matrimoniali (ciò risulta essere una contraddizione in termini).
Si obietta che la clausola eccettuativa in Matteo 19:9, permetterebbe di mandare via la propria moglie in caso di fornicazione, ma non il rimatrimonio; in tal caso la clausola eccettuativa viene riferita solo a ciò che la precede, e il brano viene erroneamente letto come se significasse: "Chiunque manda via sua moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio, però un uomo può mandare via sua moglie a causa di fornicazione".
Quest'ultima traduzione, è per analogia nella linea grammaticale di brani come Matteo 12:4; Rom. 14:14; Gal. 1:19: prima è formulata l'affermazione nella sua interezza e poi segue l'eccezione nella sua interezza. Ma nel brano di Matteo 19:9, l'eccezione è inserita prima che l'affermazione sia completa.
Si obietta che la clausola eccettuativa di Matteo 19:9 non propone una reale eccezione all'indissolubilità del matrimonio, in quanto ad orecchie giudaiche un caso di fornicazione, nel contesto di un matrimonio, implicava la pena di morte per il coniuge peccatore; pertanto Gesù starebbe dicendo:"l'unica eccezione all'indissolubilità di un matrimonio è la morte di uno dei coniugi".
Replichiamo a tale interpretazione "storico-culturale", affermando che Gesù in Matteo 19:9 non solo propone una reale eccezione alla indissolubilità morale del matrimonio, ma prende anche posizione contro la pena di morte per adulterio (non diversamente che in Giovanni 8).
Una ulteriore eccezione all'indissolubilità del matrimonio è presente nel brano di 1Corinzi 7:15.
Nel caso in cui un non credente desideri separarsi dal coniuge credente, quest'ultimo può considerarsi come non più "vincolato" (dedoulwtai).
Interpretiamo ciò come una concessione al fatto di potersi risposare, infatti al v.39 è detto che una donna è libera di risposarsi ("non vincolata" dedetai), nel caso muoia suo marito.
Paolo fonda la sua asserzione in merito al ripudio per la diserzione volontaria del coniuge non credente, esprimendola come esercizio della propria autorità ("Dico io, non il Signore" v.12), non essendosi Gesù pronunciato in merito a casi tanto specifici. Al contrario in 1Cor. 7:10, in merito alla situazione di quanti aspirano alla separazione o l'hanno già messa in pratica, Paolo si limita a riproporre quanto detto da Cristo nei vangeli, contro al ripudio "per qualunque ragione" ("dico non io, ma il Signore").


(autore: Domenico Iannone)