Primo comandamento "Io Sono il Signore Dio tuo, non avere altri dèi"


Primo comandamento "Io Sono il Signore Dio tuo, non avere altri dèi" Una importante lezione connessa a questo comandamento è la constatazione che l'esistenza di Dio non è passibile di dimostrazione. La conoscenza di Dio è invariabilmente a presupposto dei pensieri di ogni uomo credente o meno, e di conseguenza da costoro affermata o negata. Tutti gli uomini posseggono il "sensum dei", la percezione di Dio, ciò è possibile perché tutti gli uomini pur avendo rotto il patto con Dio, non hanno la possibilità di "disfarsi" del contesto "rivelativi" in cui tale patto si esprime. La situazione quasi paradossale di ogni non credente, è che pur negando Dio con le proprie parole ed opere, egli fa ciò sul presupposto di una conoscenza che afferma che "la potenza, divinità e sapienza" di Dio è attorno a loro e in loro. Più di un teologo di scuola dispensazionalista ha affermato di non trovare traccia nei primi capitoli della Genesi di un patto stipulato da Dio con l'uomo. Costoro probabilmente pensano al patto sulla falsariga di una qualche forma di contratto anche se unilaterale. In realtà con il termine "patto" si desidera intendere gli interventi con i quali Dio assume l'uomo come proprio partner (vice-reggenza dell'uomo che custodisce e lavora la terra per conto di Dio, che dona un nome agli animali che Dio gli conduce; Dio trova all'uomo un aiuto convenevole). Pertanto anche dopo la caduta, tutta l'esistenza dell'uomo è concepibile solo in relazione al patto. Ogni singolo atto conoscitivo umano è possibile solo in un contesto di rivelazione di Dio all'uomo. L'uomo è destinato a pensare ed operare sul fondamento della conoscenza e dell'attività resa possibile da Dio. L'uomo può pensare solo sul fondamento della costante assistenza da parte di Dio. Sullo sfondo del comandamento è posta la persona del Dio uno e trino, il solo autosufficiente. Dio domina l'universo che ha creato, Egli non è compreso in esso (immanentismo) e non è esterno ad esso tanto da non poterlo dominare, condurre ad un fine e sostenerlo. Nessun elemento interno al creato possiede le caratteristiche dell'autosufficienza, se ciò fosse possibile Dio risulterebbe un sovrano limitato dalla contingenza, e in ultima analisi dal caso. Pertanto il comandamento ci ricorda che ogni creatura è saldamente tenuta nella mano del proprio creatore. Il comandamento dunque afferma in primo luogo, l'assoluta sovranità di Dio sulla propria creatura, dalla qual cosa si ricava che solo l'Eterno può pretenderne l'obbedienza. Il primo comandamento è allora non soltanto il fondamento di tutti gli altri, ma il compendio della rivelazione di Dio (generale e speciale). Secondo Tommaso la ragione umana, o più precisamente la ragione filosofica, è passibile di prendere in considerazione il discorso attorno a Dio partendo dalle cose del mondo sensibile. Nei decreti del concilio Vaticano I è affermato che le verità di fede non sono poste oltre le possibilità della ragione, anche se questa è la ragione peccatrice. In realtà secondo il cattolicesimo romano la rivelazione è assolutamente necessaria non a causa della depravazione della natura umana, ma piuttosto perché Dio nella propria infinita bontà ha destinato l'uomo sin dalla propria creazione, ad un fine sovrannaturale: l'uomo deve condividere la stessa essenza della natura divina. In questo contesto fede e ragione non sono opposte l'una a l'altra ma si aiutano mutualmente: la ragione non solo dimostra i fondamenti della fede, ma illuminata dalla fede coltiva lo studio delle scienze sacre, mentre la fede libera e mette in guardia la ragione dagli errori, supplementandola con ulteriore conoscenza. La distinzione in merito all'oggetto della ragione e quello della fede è soltanto in grado. La teologia razionale di Tommaso è impegnata a rispondere alle domande: Esiste Dio? E se esiste cosa si può conoscere della sua natura? La prima domanda ritenuta assurda ed eccentrica dai contemporanei di Tommaso, che negavano la possibilità dell'ateismo sulla scorta di Salmo 14:1. E in generale se l'esistenza di Dio appare indubitabile, non altrettanto può essere detto per il suo contrario, l'ateo è infatti dalla Scrittura dichiarato "stolto". Tommaso intende dimostrare come la questione dell'esistenza di Dio abbia a che fare con la possibilità di giungere a Dio facendo uso della ragione naturale. Tale ragione, resa solo meno sicura dal peccato, viene intesa come una facoltà che lo stesso Dio ha donato all'uomo, quale mezzo per accedere alla grazia. In tale contesto di valutazione positiva della ragione umana, si inseriscono le dimostrazione che affermano l'esistenza di Dio come un risultato necessario della sola investigazione razionale. Le dimostrazioni sono dette: "vie", tale termine è scelto probabilmente per sottolineare come l'argomentare filosofico a proposito di Dio possa condurre a conclusioni stringenti soltanto se l'ipotetico interlocutore è disponibile ad un confronto che lo ponga "in cammino" verso la verità: Quando è in gioco la verità è necessario sentirsi esistenzialmente impegnati nei confronti di essa, mettendo in questione le proprie opinioni preconcette. La prima via considera il mutare delle cose mondane, ed è fondata sul principio che ciò che è in movimento necessita di qualcosa o qualcuno che gli imprima tale moto. Non potendo in tale ricerca arretrare all'infinito, si giunge ad un primo donatore di movimento (motore) che è identificato con Dio. La seconda via, simile alla prima, riflette sul concetto di causa: ciò che è causato ha bisogno di una causa, anche in questo caso risalendo di causa in causa si giunge ad una causa che non possiede a sua volta una causa, tale causa prima è Dio. La terza via riflette sul nascere e perire di tutte le cose sensibili, esse richiedono l'esistenza di qualcosa che sia sotratto al processo di corruzione che le abbia create, questo è Dio. La quarta via si fonda sulla gradazione di valori esistenti in natura, infatti troviamo cose più o meno giuste, più o meno belle o più o meno buone e così via, ma tali giudizi sono passibili di formulazione soltanto se abbiamo un riferimento assoluto a ciò che è giustizia, bellezza, bontà ect. tale riferimento assoluto è Dio. La quinta via riflette sulle leggi che le cose non dotate di coscienza manifestano, tale ordine rimanda ad un ordinatore è costui è Dio. Tommaso fa ampio ricorso ai presupposti della filosofia di Aristotele, che gli appare come un formidabile strumento di analisi razionale della realtà. Solo che tale filosofia essendo intrisa del motivo pagano !materia-forma" non può che condurre ad una sintesi paganesimo-cristianesimo. Il Dio a cui le dimostrazioni di Tommaso mettono capo, non è il Dio uno e trino della Scrittura, ma piuttosto il Motore Immobile di Aristotele. Un Dio che c'è ma che non è il Dio della Scrittura! Con queste cinque "dimostrazioni" Tommaso ha risposto alla domanda a proposito dell'esistenza di Dio, la qual cosa gli permette di passare alla seconda questione della teologia razionale a proposito di cosa è possibile conoscere della natura di Dio. Tommaso fa ancora ricorso al termine "vie", sono infatti tre le vie che ci permettono di approssimarci a ciò che Dio è: la "via della rimozione" attraverso la quale si elimina dal concetto di Dio tutto ciò che è indegno di Lui: la mutabilità, l'ignoranza, la finitezza ect., la "via della causalità" che nomina di Dio tutto ciò che è degno di lui: l'intelligenza, la bontà, la misericordia ect., e in ultimo la "via dell'eminenza" detta anche "via analogica" essa parte da ciò che è positivo nell'uomo per predicarlo al massimo grado anche di Dio. Nonostante queste vie giungiamo a conoscere molto poco di Dio, ciononostante anche questo poco è per Tommaso più di tutto lo scibile che l'uomo possa raggiungere a proposito della natura. La distinzione in merito all'oggetto della ragione e quello della fede è soltanto in grado, ed è fondato sulla dottrina dell'analogia dell'essere, il cui presupposto è che la distinzione tra Dio e la creatura e solo una differenza nella partecipazione all'essere. Per i pensatori greci, tutte le cose, Dio e uomo compresi, possono essere considerati prodotti di una sostanza comune chiamata "essere". Ciò perché l'universo veniva considerato come sostanzialmente Uno e identico a se medesimo. Parmenide considerava ltutto l'esistente mera "apparenza" nella misura in cui non era passibile di essere ridotto ad unità logica: tutto deve essere uno. A condividere tale presupposto troviamo anche Aristotele, convinto che tutte le cose si disponessero gerarchicamente in una scala al cui vertice vi sarebbe Dio, il quale solo possiederebbe la pienezza dell'essere, il puro Atto, ossia la forma o ragione allo stato di purezza. In fondo alla scala dell'essere vi sarebbe ciò che non ha essere, la materia che è concepita come "assenza" di essere o di forma. L'uomo essendo composto di anima e materia (corpo) esisterebbe a metà strada tra il puro essere e la pura potenzialità. Vi è allora una continuità tra l'uomo e Dio (principio di continuità pagano), a causa della comune appartenenza alla scala dell'essere, e nel contempo vi è a causa della materia che inerisce all'essere dell'uomo, discontinuità tra Dio e l'uomo (principio di discontinuità pagano). In tal modo in Aristotele il principio di attualità e quello di potenzialità (o di forma e materia) legano insieme l'uomo e Dio. Tale relazione è da intendere come un processo unitario (attivismo), ed esprime la correlazione tra continuità e la discontinuità dell'Essere in generale. In questo è ancora all'opera il principio parmenideo dell'unità del reale: l'uomo è simile (continuo) a Dio, e nello stesso tempo troviamo anche dissimile da lui a causa della materia. Il filosofo scolastico Tommaso d'Aquino fonda la propria speculazione teologica sui presupposti di pensiero dell'aristotelismo. Secondo lui la ragione può senz'altro giungere alla conclusione che Dio esiste, aspettando solo di essere completata nelle proprie conoscenze con quanto la Sacra Scrittura afferma. Ciò perché la conoscenza della sostanza divina può dalla ragione essere raggiunta non affermativamente, ma soltanto per negazione (via remotionis). Affermiamo qualcosa su Dio solo quando diciamo ciò che esso non è. Detto altrimenti Tommaso combina due elementi che se sviluppati coerentemente non possono risultare che contraddittori: da una parte egli afferma che Dio non può essere conosciuto, dall'altra Dio può essere conosciuto completamente dell'uomo per via negativa. Ovviamente il pensiero protestante afferma tutt'altra cosa, ossia che Dio può essere in qualche modo conosciuto solo sul fondamento di quanto la Scrittura afferma sul Suo conto. Tommaso formula le proprie convinzioni a proposito di una ragione neutrale capace di potere conoscere Dio, solo sul presupposto inconsapevole di un'unità tra Dio e l'uomo, ossia di un rifiuto della differenza tra creatore e creatura. Va anche sottolineato che l'irrazionalismo sotteso alla via remotionis di Tommaso è dunque correlativo all'idea che l'uomo possa in qualche modo partecipare ad un processo definitorio tramite il quale la realtà di Dio possa essere esaustivamente conosciuta. Il risultato di tale paganesimo è che la ragione possa giungere alla certezza dell'esistenza di Dio e a definire molti dei suoi attributi. Inoltre se l'uomo conosce Dio per via di rimozione è perché Dio è stato preliminarmente avviluppato all'uomo in una connessione di astratta razionalità; ciò perché Tommaso mentre rifiuta la logica di Parmenide, nel contempo l'accetta. Tommaso analizza ulteriormente il problema quando affronta la questione dell'univocimo, dell'equivocismo e dell'analogia. Niente è predicato univocamente di Dio e delle cose (ad esempio non è possibile affermare che Dio e l'uomo siano ente allo stesso modo). Neppure è possibile che tutti i nomi applicati a Dio e alle creature siano equivoci. Rimane pertanto solo l'analogia la cui necessità riposa unicamente sul fatto che l'univocismo condurrebbe all'identità, identificando la posizione cristiana con quella parmenidea. Parmenide asseriva che è reale solo ciò che è asservito alle leggi della logica, l'estensione della logica umana indica il limite della possibile esistenza delle cose. Solo ciò che è logico esiste e pertanto non vi è nulla al di sopra della mente umana. Dio è costretto a piegarsi a questa medesima logica. Lo stesso pensiero di una continuità tra Dio e l'uomo è presente in Platone, nel momento in cui afferma che l'aspirazione dell'uomo è quella di liberarsi dalla prigione del corpo e annullarsi in Dio. Nella misura in cui l'uomo possiede un'esistenza individuale egli non ha vero "essere". Nonostante Platone abbia cercato nei suoi scritti più tardi di recuperare l'apparenza sensibile, questa è sempre intesa moralisticamente come "male". Aristotele sembra invece pensare che il determinismo e il razionalismo della continuità dell'uomo e Dio (con il corollario dell'annullamneto in Dio) non debbano essere considerati come l'unico principio della realtà. La materia o pura potenzialità, allo stesso titolo della forma, è un principio di intuitivo di conoscenza della realtà. Tommaso seguendo Aristotele, adotta la possibilità di giungere a Dio tramite il sensibile, non perché questo sia il prodotto dell'azione creativa di Dio, ma perché Dio pur essendo la cosa più conoscibile per sé, è la meno conoscibile per noi, pertanto siamo costretti a fondare l'esperienza sui dati sensibili. Dunque l'univocismo parmenideo non è rigettato a causa della rivelazione biblica, ma a causa del principio aristotelico di materia che come detto risulta essere del tutto irrazionale. Tommaso ritiene che il sensibile sia opera di Dio, e pertanto prende per garantite le verità di fede, ciononostante cerca di dimostrarle con la ragione, nel fare questo deve necessariamente fare appello ai sensi e dunque ricorrere necessariamente al principio aristotelico di discontinuità, ossia ad un irrazionale, contingente, principio di individuazione di tutte le cose. Tale principio di equvocismo pagano è la sola alternativa possibile per coloro che desiderano evitare l'univocismo pagano. Secondo Aristotele questo equivocismo essendo basato sui sensi non può mettere capo ad alcun tipo di universalità e pertanto la conoscenza da esso fornita è solo parziale. Tale idea non è conforme a quanto affermato dalla Bibbia, poiché se Dio è il creatore di ogni cosa la conoscenza attraverso la sensazione non possiede minore dignità e certezza di quella raggiunta tramite un esercizio più diretto dell'intelletto. Nella teologia tomista Dio è inteso come causa dell'universo, anche in questo egli segue Aristotele che non crede in una causa come principio di "produzione", ma piuttosto di "spiegazione". Quando quest'ultimo parla di Dio quale Primo Motore, non desidera affermare che Dio ha creato l'universo. Tale Dio è causa solo in senso logico-conoscitivo, ora è proprio tale causa che Tommaso invoca, non considerando che essa è il risultato logico di un principio di discontinuità che non è diverso dal caso, e di un principio di continuità che afferma la completa autonomia dell'uomo da Dio. Tommaso prosegue affermando che in Dio essenza ed esistenza coincidono, ma tale affermazione può essere compiuta solo abbandonando la via di rimozione, sul presupposto che tutte le cose siano connesse tra loro a causa della provvidenza di Dio loro creatore. Il primo comandamento insegna che se l'ateismo è impossibile invece l'idolatria è inevitabile per quanti non si sottomettono a Dio; ovviamente essere idolatri non significa necessariamente prostrarsi davanti ad una statua, ma piuttosto manifestare un'attitudine di ribellione a Dio. Ciò conduce ad adorare la creatura piuttosto che il creatore, anche ponendo valori al posto che soltanto Dio dovrebbe occupare; pertanto la giustizia, la pace, la politica, il lavoro, possono senz'altro diventare idoli. L'inevitabilità della presenza dell'idolo, è connessa al fatto che l'esistenza umana è destinata ad essere orientata religiosamente. La società contemporanea ci offre ampia testimonianza della religiosità dell'uomo ribelle a Dio: occultismo, sensitività, spiritismo, pratiche astrologiche oltre al proliferare di ogni specie di culti (islamismo, buddhismo, new age, dianetica, teosofia, solo per citarne alcuni). L'idolo pur essendo in sé "nulla" agli occhi di Dio, rappresenta un pericolo mortale per l'uomo. In Deuteronomio 8:19 è scritto: "Ma se avvenga che tu dimentichi il tuo Dio, l'Eterno, e vada indietro ad altri dei e li servi e ti prostri davanti a loro, io vi dichiaro quest'oggi solennemente che certo perirete", questo avvertimento ricorda molto da vicino quello rivolto ad Adamo in Genesi 2:I7: "Nel giorno in cui tu ne mangerai, per certo morrai". Dio è interessato a preservare la vita della sua creatura per tale motivo l'avverte di non dare la propria esistenza in mano all'idolo (altri dei). Farsi altri dèi , adorarli e seguirli significa consegnarsi alla morte. Il primo comandamento esprime l'amore di Dio nei confronti della Sua creatura. In Deuteromio 6:4-5 troviamo un'altra formulazione del primo comandamento: "Ascolta Israele: l'Eterno, I'Iddio nostro è l'unico Eterno. Tu amerai dunque l'Eterno , il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima tua e con tutte le tue forze". Ritroviamo questo brano nei Vangeli, sulle labbra dello stesso Gesù : (Matteo 22:37; Marco 12:30; Luca 10:37), solo dandosi completamente, con tutto il proprio essere a Dio si può sperare di sottrarsi al pericolo della morte che gli altri dèi rappresentano. La parola tradotta "Eterno" esprime il tentativo di dare un senso comprensibile al tetragramma con il quale Dio si propone a Mosè: YHWH. Tommaso d'Aquino riteneva che la parola YHWH andasse associata al verbo Hayah (essere, divenire), e dunque che andasse tradotta "Essere"; "Esistente". Quale possa essere la radice etimologica della parola, Dio scelse tale nome per esprimere la propria volontà di contrarre alleanza con il popolo di Israele. "Io sono il Signore Dio tuo" è da porsi in relazione con Esodo 3:13-17, brano quest'ultimo in cui Dio si rivela a Mosè come Colui che vuole rinnovare l'alleanza stipulata con i patriarchi. Il nome di Dio, che Mosè deve comunicare ai propri confratelli, testimonia della rinnovata misericordia che Dio desidera manifestare al proprio popolo.