GIUSTIFICAZIONE PER GRAZIA MEDIANTE
LA FEDE
Il verbo
"giustificare" nella Scrittura ha sempre un significato di
base denotante un'azione di tipo forensico. Nella forma attiva (dikaioun) il verbo assume il significato di
"far
giustizia a qualcuno",
"dichiarare
qualcuno innocente",
"assolvere
un imputato".
Il tale forma, il verbo non suggerisce l'infusione di qualche qualità morale,
nel senso della creazione di una giusta condotta. Mentre è possibile, in
analogia con verbi terminanti in -w (ad esempio: doulw, luw, agw), accordare al
verbo dikaiw un senso causativo o fattuale (rendere moralmente giusto, rendere
interiormente giusto), tale significato appare in realtà raro se non
addirittura dubbio. Infatti il verbo dikaiw appartiene a quel gruppo di verbi
terminanti in -w derivanti da aggettivi con un significato morale (distinti da
quelli con un significato fisico), e il cui senso è sempre "riguardare
come, trattare come" e non "fare come"; ad esempio axiw
significa "giudicare, dichiarare, trattare come valoroso" e non
"fare valoroso". Pertanto il senso di dikaioun è dichiarativo
(dichiarare giusti), piuttosto che causativo (fare giusti).
Nella forma passiva (dikaiousqai), il verbo ha il significato di "vincere in tribunale", "essere dichiarati innocenti", "essere assolti", come ad esempio nei brani di Matteo 12:37 e Romani 8:33. Vi è un'ulteriore accezione del
termine "giustificazione", come ad esempio nel brano di Luca 18:14, dove il termine "giustificato" ha il senso di "ha trovato benevolenza" o come in Romani 4:3-4 dove la fede di Abramo che al v.3 è detta essergli
stata "messa
in conto di giustizia"
(cioè valutata come espressione di giustizia) al v.4 è detta essere stata
"messa in
conto di grazia"
(valutata come espressione di grazia cioè di benevolenza divina). In effetti
nei brani dell’epistola ai Romani dove è sviluppato il tema della "giustificazione", ciò che è in questione è il "concedere grazia e beneficio da
parte di Dio" (nella
forma attiva), o "ottenere grazia e benevolenza da parte di Dio" (nella forma passiva, come risulta essere
il caso di Romani 1:17 e 5:1-9, dove "giustizia di Dio" è espressione sinonima di "grazia di Dio").
Nella LXX,
troviamo il medesimo uso causativo del verbo, ad esempio Isaia 5:23; 50:8,
Esodo 23:7, Deuteronomio 25:1. In questi passaggi il verbo dikaioun non ha il
senso di "fare giusto", ma quello forensico di "dichiarare
giusto". Anche il testo ebraico dei brani succitati (nei quali è usata la
forma hiph'il di sdq) ha un senso non causativo.
Pertanto i
verbi "giustificare" ed "essere giustificati" denotano un
cambiamento di relazione rispetto a Dio, e non un cambiamento di
caratteristiche morali. Queste ultime sono connesse invece al processo di
"santificazione".
L’uomo
trova grazia (benevolenza) presso Dio, mediante la fede. Nel pensiero paolino
fede e grazia non sono il risultato di un'attività della volontà umana (Efesini
2:8). L’uomo trova grazia presso Dio, non adempiendo buone opere (pensiamo
all'inutilità della stessa legge mosaica per quanto concerne il procurare
salvezza, Galati 3-4), ma unicamente tramite la fede donata da Dio. La fede non è da intendersi come la
"risposta umana" alla offerta di salvezza di Dio, essa non è
un'azione riposante sul libero arbitrio dell’uomo, ma risulta essere una
ulteriore espressione della grazia. Interessante in tal senso, è il brano di 2
Pietro 1:1 "a quelli che hanno per volere divino ricevuto una fede preziosa quanto la nostra". Possiamo
dunque ben dire che la grazia di Dio è imputata,
cioè applicata da Dio alle vite immeritevoli dei peccatori, i quali ne godono
per il tramite della fede suscitata in loro dalla medesima grazia.
L’espressione
"giustificati
per fede" ricorre in sole
3 epistole di Paolo apostolo: Romani 4:13; Galati 3:24-27; Filippesi 3:9 (in
Tito 3:7 troviamo l’espressione "giustificati per grazia"). In tali
brani si ha l’impressione che Paolo stia polemizzando con il Giudaismo del suo
tempo e con la relativa concezione della salvezza. Il giudaismo, come sappiamo
da altri brani, fondava la salvezza su una rigorosa messa in pratica della
legislazione mosaica. In contesti dove apparentemente non si affaccia tale
polemica, la dottrina della giustificazione è proposta utilizzando altre
espressioni: "immersione
nella morte del Cristo"
(battesimo), "purificazione
dalla impurità del peccato"
(abluzione), "rivestirsi
del Cristo" (comunione ed
unità con il Signore risorto), "circoncisione del cuore" (attitudini di tutto l’essere umano segnate
da sottomissione a Dio), "aggregazione al popolo del Signore" (corpo di Cristo). Il termine "giustificazione" è dunque solo uno dei tanti termini
utilizzati da Paolo, per descrivere l’inesauribile ricchezza della grazia di
Dio. La giustificazione pur essendo un solido possesso presente (Romani 5:1)
attende la sua "perfezione"
(Galati 5:5 "Perchè mediante lo Spirito, per fede, attendiamo la speranza
della giustificazione").
(autore:
Domenico Iannone)