Il canone dell'Antico Testamento
"Ogni Scrittura è ispirata da Dio e
utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perchè
l'uomo di Dio sia completo e ben preparato ad ogni opera buona" (2Timoteo
3:16-17).
Questo brano della Bibbia è solitamente utilizzato per giustificare l'ispirazione
e dunque la canonicità e autorevolezza per la fede, tanto dell'Antico quanto
del Nuovo Testamento.
In realtà il termine "Scrittura" del brano in questione è utilizzato
da Paolo apostolo, per indicare soltanto i libri dell'Antico Testamento.
Prima della formazione del canone del Nuovo Testamento,infatti, l'unico gruppo
di testi considerati "canonici" dai cristiani potevano essere solo
quelli dell'Antico.
E' opinione diffusa che già intorno al II° sec. a.C., esistessero due canoni
dell'AT, uno detto "palestinese" comprendente i 39 libri ritenuti
canonici dai Giudei, l'altro definito "alessandrino" o "cattolico",
includente altri 12 libri (Tobia, Giuditta, Aggiunte al libro di Ester, Sapienza
di Salomone, Ecclesiastico o Sapienza di Gesù figlio di Sirac o Siracide, Baruch,
Epistola di Geremia inclusa sovente alla fine di Baruch, 3 Aggiunte al libro
di Daniele: "Il cantico dei tre giovani", "Susanna e i vecchi",
"Bel e il dragone", 1 e 2 Maccabei), chiamati attualmente "deuterocanonici"
("2° canone", o "ulteriore canone") dai cattolici, ma "apocrifi"
dai protestanti.
In quanto evangelici accettiamo il cosidetto
canone "palestinese" in quanto riteniamo di dovere rimanere nella
tradizione di coloro dai quali "la salvezza è proceduta", cioè dagli
ebrei (Giovanni 4:22); lo stesso Gesù Cristo nulla ebbe da obiettare al canone
dei libri che erano considerati ispirati dai propri connazionali.
Il canone alessandrino.
Ma è davvero mai esistito un canone "alessandrino"
come affermano i cattolici?
Non è un criterio per stabilire l'esistenza di tale canone il fatto che la letteratura
cristiana antica extra-biblica utilizzi tanto per i brani tratti dagli scritti
"apocrifi", quanto per quelli canonici l'espressione: "sta scritto".
Era convinzione quasi unanime presso gli scrittori cristiani dei primi secoli,
che i testi non inclusi nel "canone palestinese" avessero comunque
un valore "ecclesiastico", cosa che li rendeva, con qualche cautela,
degni di potere edificare i credenti. Ciononostante, tali testi erano soggetti
a restrizioni: non potevano essere utilizzati per la lettura pubblica o per
le controversie dottrinali (la pensavano in tal modo Melitone da Sardi, Tertulliano,
Ilario, Rufino, Atanasio, Origene e Girolamo, le cui opere coprono il periodo
che va dal II° sec. al VI° sec.).
Non va, inoltre, dimenticato che citare un brano non ha il significato di attribuire
canonicità al testo da cui si è citato.
Gli stessi scrittori neotestamentari, a scopo di edificazione, facevano largo
uso di citazioni tratte anche da testi pagani: Paolo cita dai "Fenomeni"
del poeta-filosofo Arato (Atti 17:28), dal "Thais" del poeta Menandro
(1Corinzi 15:33) e forse dal filosofo Epimenide (Tito 1:12); nessuno affermerebbe
che questi scrittori pagani fossero "ispirati" da Dio, e la loro produzione
meritevole di essere introdotta nel canone neotestamentario!.
Che dire poi di brani di testi "apocrifi" non "deuterocanonici",
citati da scrittori neotestamentari, come è il caso del Libro di Enoc e dell'Assunzione
di Mosè, citati nell'Epistola di Giuda?.
Secondo i cattolici, il cosiddetto canone "alessandrino", sarebbe
documentato dalla versione greca dell'AT detta dei LXX ( settanta) ma i manoscritti
che contengono tale versione documentano una notevole incertezza a proposito
di quanto fosse da accettare come canonico.
Il codice chiamato Vaticano (catalogato con la lettera B), manca di 1 e 2Maccabei,
e include 1Esdra (che neppure i cattolici ritengono canonico); il codice detto
Sinaitico (catalogato con la lettera ebraica "aleph") include solo
Giuditta, Tobia, 1Maccabei e 4Maccabei (non considerato canonico dai cattolici).
Il codice detto Alessandrino (catalogato con la lettera A) include 1Esdra, 3
e 4Maccabei (che i cattolici ritengono non canonici).
Non esistono testi della Settanta anteriori al 4° sec. d.C., cioè le testimonianze
in nostro possesso di questa versione sono posteriori alla loro compilazione
di ben 600 anni! Può ben essere che i testi apocrifi dell'AT fossero aggiunti
a tale versione in epoca cristiana.
Probabilmente non è mai esistito un "canone alessandrino" e gli stessi
ebrei alessandrini non ne fanno menzione; basti pensare che il filosofo ebreo
Filone di Alessandria vissuto a cavallo tra il I° sec. a.C. e il I° sec. d.C.,
non utilizza mai nei propri scritti gli apocrifi.
L'unico canone legittimo è quello contenente i 39 libri dell'attuale Antico
Testamento.
Criteri usati per stabilire la canonicità di un testo.
Gli studiosi giudei si sono molto affannati
nel tentativo di stabilire il criterio secondo il quale alcuni testi e non altri
erano entrati a far parte del canone delle scritture ispirate.
I criteri trovati sno di natura molto differente e si integrano a vicenda:
1) Contenuto storicamente accettabile e teologicamente in linea con la Legge
mosaica.
In Tobia si sostiene che fare elemosine salvi dalla morte (12:9; 4:10; 14:10-11),
in Giuditta sono giustificati la falsità e l'inganno (9:10, 13), l'Ecclesiastico
e la Sapienza di Salomone inculcano una morale fondata sul tornaconto personale.
Nella Sapienza è anche insegnata la creazione a partire da materia pre-esistente
(11:17), mentre nell'Ecclesiastico si insegna che fare elemosine espia il peccato.
In Baruch è detto che Dio ascolta le preghiere dei morti (3:4), in 2Maccabei
è insegnata la redenzione delle anime dopo la morte (12:42, 46). In Tobia (12:12),
2Maccabei (15:14) si insegna la dottrina dell'intercessione ad opera dei santi
e degli angeli.
Inoltre coloro che utilizzavano, per avallare l'autorità dei propri scritti,
una falsa identità, erano automaticamente ritenuti "mentitori" e dunque
non in linea con i requisiti morali della Legge. E' è il caso dell'anonimo scrittore
della Sapienza di Salomone.
Gli insegnamenti dei libri sopra citati, apparivano chiaramente in contrasto
con il contenuto della Legge mosaica, ciò decretò la loro non accettabilità
come testi "canonici".
2) Lingua di stesura ebraica o aramaica.
La Sapienza fu originariamente scritta in greco, così 2Maccabei e le aggiunte
a Daniele ("Preghiera di Azaria e dei tre giovani nella fornace",
"Susanna" e "Bel e il dragone"), e al libro di Ester.
Tali testi non rispondevano al criterio della lingua per potere aspirare alla
canonicità.
3) epoca di composizione non posteriore al periodo di Artaserse ( 464-424 a.C.
vedi Flavio Giuseppe Contro Apione, I, 38-42 ).
La Sapienza di Salomone fu scritta intorno al I°sec a.C., l'Ecclesiastico intorno
al 280 a.C., la Preghiera di Manasse risale al I° sec. a.C., 1 e 2Maccabei risalgono
al I° sec. a.C.
Poichè tali testi apparivano essere stati scritti dopo la fine del "periodo
profetico" considerato concluso con il regno di Artaserse, essi non furono
accolti nel canone.
L'AT attesta anche l'esistenza di libri che,
pur essendo utilizzati in alcune loro parti, non furono alla fine inclusi nel
novero dei testi ispirati.
E' il caso dei libri: di Nathan il profeta (2Cronache 9:29), delle visioni di
Jeddo (2Cronache 9:29), del profeta Semaia e del veggente Iddo (2Cronache 12:15),
delle Guerre di Yhwh (Numeri 21:14), del Giusto (Giosuè 10:13), degli Atti di
Uzzia scritti da Isaia (2Cronache 26:22), dei Lamenti per Giosia (2Cronache
35:25).
Per quale motivo essi non venissero inclusi nel canone non ci è dato sapere.
(autore: Domenico Iannone)