Restaurazione dell’anima dell’uomo
D. Iannone
L’anima dell’uomo è considerata dalla tradizione filosofica occidentale fino ad Hume, una sostanza auto-sufficiente caratterizzata dalla continuità e dalla possibilità di essere affetta da mutamenti. In generale l’anima si intende composta di ragione, volontà ed emozioni, parti di tipo "non-spaziale", allo stesso titolo del sapore di una zuppa o gli accordi in una canzone. La stessa anima è da intendersi come il componente "non-spaziale" di una persona che integra tutti i componenti della vita in una singola vita. L’anima non è un alcunché di materiale, e pertanto non è definibile sulla base della percezione sensoriale. L’empiricismo che si affermò attorno al 18° secolo affermava arbitrariamente che la conoscenza sensoriale doveva stabilire i limiti del conoscibile. In realtà l’autentico scopo dell’empiricismo era quello di rimpiazzare l’ortodossia biblica con un’altra forma di ortodossia basata sull’epistemologia secolare. L’empiricismo non prendeva le mosse da premesse realmente "empiriche", e pertanto sollevava problemi a proposito della coerenza della conoscenza del sè umano.
Molti pensatori hanno tentato di descrivere l’essenza dell’anima umana, tra questi Platone (La Repubblica), Aristotele (Sull’anima, e Etica Nicomachea), Plotino (Enneadi, specialmente la quarta enneade). Sul versante cristiano troviamo Tertulliano (Sull’Anima), Agostino, Nemesio vescovo di Emesa (Sulla Natura dell’Uomo), Tommaso d’Aquino (Trattato sull’Uomo nella Summa Theologiae Part 1, Questioni 75-90).
La concezione "classica"
Platone nelle "Leggi" (libro X) presenta l’anima come la forma di un corpo dotata di auto-movimento. L’elemento di spontaneità che caratterizza le cose viventi a fronte delle cose non viventi (pietre, sedie ect.) viene attribuito al possesso dell’anima. Per Aristotele, la differenza tra cose viventi (piante, animali, uomini, esseri divini) è connessa al fatto di possedere anime di specie diverse, ossia anime che generano diversi tipi di attività spontanee (crescita, nutrizione, riproduzione, sensazione, emozione, pensiero, volontà) e che organizzano e ordinano tali attività in modi diversi. Per Aristotele anche le piante posseggono un’anima, quale principio della loro esistenza. In generale l’anima è definita "l’entelechia di un corpo naturale dotato della vita in potenza", o anche "la prima entelechia di un corpo organico naturale" (De anima B I,412a27-b4). In qualità di "atto" (vita) del corpo, l’anima è al tempo stesso forma, principio di movimento e fine. Il corpo esiste per mezzo dell’anima e ogni organo ha il suo scopo, che consiste in una attività. Al principio del De anima, Aristotele nota che l’indagine riguardante l’anima è tuttavia molto complesso, poiché non è facile discernere il metodo più opportuno da adottare per studiarla, e afferma che i metodi del filosofo speculativo e quello dello scienziato (naturalista) sono diversi in quanto partono da presupposti diversi. L’uomo è una sostanza composta, formato da materia e forma. Il corpo non può essere anima, perché il corpo non è vita, ma ciò che possiede vita. Il corpo rispetto all’anima è materia, mentre l’anima ne è la forma o atto. Tornando alla definizione di Aristotele, l’anima è entelechia o atto del corpo, il quale possiede "potenzialità di vita". L’anima è così inseparabile dal corpo. L’anima è la causa e principio del corpo vivente: a) come sorgente di movimento b) come causa finale, c) come reale sostanza (vale a dire causa formale). I diversi tipi di anima formano una serie, in cui la specie più alta presuppone l’inferiore, ma non viceversa. La specie più bassa di anima è quella nutritiva-generativa, che presiede all’assimilazione del cibo e alla riproduzione, essa non si trova soltanto nelle piante, ma anche negli animali. La sensazione non è necessaria alle piante, perché queste non si muovono, ma traggono il loro nutrimento dal terreno. Gli animali posseggono una forma più alta di anima, l’anima sensitiva, che esercita i tre poteri della percezione sensibile, del desiderio e del movimento locale. Per gli animali dotati di movimento è necessario avere la sensibilità, poiché sarebbe inutile per essi poter dirigersi verso il cibo se, una volta trovato, non lo potessero riconoscere. L’immaginazione o fantasia deriva dalla facoltà sensitiva, allo stesso titolo della memoria. Ad un livello più elevato dell’anima animale sta l’anima umana. Questa esprime i poteri delle anime inferiori, ma ha un vantaggio ulteriore nel possesso del nous. Il nous ha una duplice attività: 1) la facoltà del pensiero scientifico; 2) la facoltà della volontà. La prima ha la "verità in sé" per oggetto, mentre l’altra tende alla verità non per se stessa, ma per scopi pratici e prudenziali. Tutti i poteri dell’anima, ad eccezione del nous sono inseparabili dal corpo e perituri, il nous non solo preesiste al corpo ma è anche immortale. Quando il nous si congiunge con un corpo corpo, richiede un principio potenziale, una tabula rasa, sulla quale poter imprimere le forme, Aristotele distingue tra "nous attivo" e "nous passivo" (l’espressione "nous attivo" si trova per la prima volta in Alessandro di Afrodisia, nel 220 d.C. circa). L’intelletto attivo astrae le forme dalle immagini o phantàsmata, le quali, quando sono nell’intelletto passivo, divengono concetti attuali. Soltanto l’intelletto attivo è immortale. E’ chiaro che Aristotele non sostenne nel De anima il dualismo platonico, poichè considerando l’anima come entelechia del corpo, i due elementi formano per lui un’unica sostanza, l’unione è tanto stretta che è pertanto rifiutata la tesi del corpo come tomba dell’anima. Anzi l’unione con il corpo è un bene per l’anima, perché solo casi essa può esercitare le sue facoltà. Tale concezione fu adottata anche dagli aristotelici medioevali (Tommaso d’Aquino tra questi). Aristotele ritenne che la scuola platonica non avesse dato una spiegazione soddisfacente dell’unione dell’anima con il corpo, infatti non qualunque anima può adattarsi a qualunque corpo, perché ogni corpo ha una propria forma ed un proprio carattere. Una concezione come quella di Cartesio secondo il quale l’esistenza dell’anima è la prima certezza e l’esistenza della materia solo una certezza derivata, sarebbe stata da Aristotele giudicata assurda. Anima e corpo sono un tutto immediatamente percepito e non deve essere provato. Aristotele non avrebbe mai accettato neppure la posizione di coloro che vorrebbero ridurre l’anima e le sue attività ad epifenomeno del corpo, ritenendo le più alte attività umane un’espressione dell’attività del cervello, anche se la psicologia di Aristotele, sembra orientata verso una posizione che si avvicina all’epifenomenismo, specialmente se l’intelletto attivo dell’uomo non è un principio che persistente anche dopo la morte.
Tanto per Platone quanto per Aristotele, ciò che costituiva la peculiarità dell’anima umana, era la capacità di operare "razionalmente". Tale anima razionale è caratterizzata dall’ordine e dall’equilibrio, qualsiasi suo malfunzionamento era determinato da un fallimento della ragione, ossia da un corto circuito nella capacità di pensare e comprendere e nella supervisione appropriata delle sensazioni, delle emozioni e degli appetiti. Tale malfunzionamento finiva con l’avere ripercussioni sociali oltre che individuali; per Platone la soluzione a tale situazione era un’educazione appropriata per coloro destinati al governo dello stato. Aristotele nell’Etica Nicomachea (libro II) è sostanzialmente d’accordo quando afferma che il legislatore deve studiare la natura umana allo scopo di produrre buone anime, poiché se gli individui risultano equilibrati lo sarà anche la società alla quale appartengono. In generale il razionalismo greco asseriva che se l’individuo desidera essere felice e conseguire il proprio ideale etico, egli deve asservire la propria volontà alla ragionevolezza delle leggi. Tali leggi purtroppo non erano quelle immutabili del Dio auto-sufficiente della Bibbia, quanto piuttosto quelle mutabili e diversamente interpretabili degli uomini. Il cattolicesimo in tale prospettiva manifesta una posizione a metà strada tra quella greca e quella cristiana. Ciò è particolarmente evidente nella trattazione di Tommaso d’Aquina delle varie virtù e passioni dell’anima. Tommaso segue il pensiero di Aristotele, nell’affermare che l’anima umana manifesta diversi elementi comuni all’anima degli animali, ciò sembrerebbe far pensare che il principio di individuazione dell’uomo sia di natura non-razionale. Su tale base si potrebbe asserire che per essere felici basterebbe vivere secondo l’animale che è in noi. Ma Aristotele afferma anche che ciò che è peculiare dell’uomo è il possesso della ragione. Tale ragione è qualcosa di "divino" nel l’uomo è vivere conformemente a ragione significa reprimere gli aspetti non-razionali dell’anima e sforzarsi di identificarsi con la ragione universale che è Dio, perdendo in tal modo la propria individualità. Tommaso tenta di stabilire un equilibrio tra puro irrazionalismo e puro razionalismo.
La trattazione filosofica greca era fondata sul presupposto che l’uomo possedesse un’anima razionale "autonoma", capace di auto-regolarsi, ossia di procedere in modo logicamente adeguato, e di controllare se sufficientemente educata, le anime "inferiori". Platone era convinto che se all’uomo fosse stato mostrato il bene in modo razionalmente appropriato, egli non avrebbe potuto non sceglierlo, e che i mali erano scelti perché ritenuti erroneamente del "beni". Agostino d’Ippona fondò la propria analisi della dottrina dell’anima umana sulla Parola di Dio, giungendo alla conclusione che diversamente da come ritenevano i filosofi greci, le deliberazioni della volontà non dipendono nell’uomo peccatore dalla "logica". Infatti gli uomini pur percependo il "bene", scelgono volontariamente il "male", e ciò a causa del peccato che perverte la loro volontà, facendo si che desiderino anche cose contrarie alla ragione e addirittura contrarie alla volontà di Dio. L’anima è dal peccato resa malvagia e condotta lontana dal bene. Ciononostante gli individui possono e spesso fanno ciò che è giusto per grazia comune, tuttavia l’orizzonte comune all’umanità è quello della ribellione nei confronti di Dio e dell’ordine impresso nella Sua creazione. Essendo l’uomo un essere creazionale, questa alterazione in sé medesimo conduce alla confusione intellettuale e al conflitto emotivo. "Figliuol mio, sta’ attento alle mie parole, inclina l’orecchio ai miei detti; non si dipartano mai dai tuoi occhi, serbali nel fondo del cuore; poiché sono vita per quelli che li trovano, e salute per tutto il loro corpo. Custodisci il tuo cuore più d’ogni altra cosa, poiché da esso procedono le sorgenti della vita." (Prov. 4:20-23).
Molti credenti si chiedono: come posso cooperare al processo di trasformazione divino della mia vita? La risposta sembrerebbe essere: praticando la disciplina spirituale o disciplinando la vita spirituale. Cosa è la disciplina? La disciplina è una parte "naturale" della struttura dell’anima umana, quasi nulla di significativo a livello di attività umane è realizzabile senza di essa. Gli animali possono essere addestrati ma solo l’uomo è capace di disciplina. La disciplina applicata alle cose spirituali non è tesa alla risoluzione di problemi comportamentali, anche se tale soluzione è uno dei suoi effetti. I cosiddetti programmi di cura spirituale per tale motivo non hanno nulla a che fare con la disciplina spirituale. In essi una parvenza di disciplina spirituale è presentata: frequentare i culti, praticare la comunione fraterna, fare il possibile per rimanere sobri ect. Ma se rimanere sobri è importante per un alcoolista questo difficilmente un segno di spiritualità. Lo scopo della disciplina spirituale è quello di seguire Cristo, che solo può rinnovare la nostra intera persona dall’interno. Paolo afferma: "giacché avete svestito l’uomo vecchio coi suoi atti e rivestito il nuovo, che si va rinnovando in conoscenza ad immagine di Colui che l’ha creato." (Col. 3:10) Gesù non è infatti venuto ad insegnare una morale come i Farisei compresero a proprie spese. Il credente deve essere trasformato nelle funzioni dell’anima in modo che le opere della legge possano essere prodotte naturalmente. Porgere l’altra guancia senza un profondo rinnovamento dell’anima può soltanto produrre amarezza e rancore. Una disciplina intelligente, bilanciata e durevolmente fondata sulla Parola e l’opera dello Spirito, non può non produrre frutto. Molte persone hanno bisogno di essere aiutate a comprendere questo. Costoro necessitano di ministeri di vario tipo, a seconda delle necessità, allo scopo di ricevere speciale incoraggiamento ed istruzione.
1) Il servo di Dio disciplinato è colui che è convinto di avere un solo Padrone, e non una moltitudine. Ciò significa che non abbiamo altri signori celesti o terresti ai quali rendere conto se non il solo YHWH.
2) Dio non ci chiederà mai nulla che sia irragionevole.
3) Dio è perfetto, buono e giusto e non comprenderà mai male il tuo bisogno.
4) Dio è santo e non ti chiederà mai di incoraggiare o sottacere quanto è iniquo o disonesto.
5) Dio non fa preferenze tra persone. Lui solo è imparziale (Atti 10:34).
6) Dio è un giudice competente ed autoritario che scruta nel più profondo del tuo cuore, indagando le motivazioni delle tue azioni.
7) Dio non è in contraddizione con Sè medesimo, Egli è il solo senza contraddizioni.
8) Dio è costante ed immutabile. Egli non muta da un giorno all’altro o da un’età all’altra.
9) Dio è il solo misericordioso, e non ti chiederà mai di farti del male pallo scopo di piacergli. Dio è rallegrato da quanto tende alla tua felicità.
10) Dio è gentile, anche quando ti censura; Egli è un giusto giudice.
11) Dio non è soggetto alle passioni che caratterizzano gli uomini, che accecano la mente e conducono all’ingiustizia.
12) Dio non può essere influenzato da pettegolezzi o false accuse, o essere ingannato da falsi testimoni.
Solitudine e silenzio sono un mezzo importante per correggere le distorsioni dell’esistenza contemporanea, le nostre buone idée e intenzioni sono spesso annacquate dal contesto sociale nel quale viviamo. Gesù sapeva che la promessa di Pietro di perseverare nella fedeltà nei confronti del Maestro anche nel momento della prova non sarebbe stata mantenuta. Il contesto sociale della corte di Pilato condusse Pietro a rinnegare Cristo per ben tre volte. Cattive abitudini di vita, infettano non solo la mente ma anche i sentimenti e il corpo, essendo tali dimensioni strettamente connesse tra loro e al contesto sociale. Non va pertanto trascurata l’importanza dei ritiri, molti credenti ritengono che solo prendendo per un poco di tempo, le distanze fisiche dal contesto sociale sia possibile ri-orientarsi al Regno di Dio. Solitudine e silenzio sono potenti mezzi di grazia, quando ci sentiamo gravemente esausti e frammentati.
Digiuno, è un ulteriore mezzo di disciplina che ci aiuta a misurarci con la nostra dipendenza dal desiderio. Talvolta la fame (e non pensiamo solo al desiderio di cibo) è solo una reazione alle frustrazioni della vita. (Deut. 8:3-5; Matt. 4:4; Giov. 4:32-34).
Memorizzazione della Scrittura Il credente è vocato a colmare la propria mente con la Parola di Dio. Ricordare l’insegnamento della Parola è allora vitale. La memorizzazione per contrasto ci costringe ad avere per contenuti mentali la stessa Parola di Dio. "Questo libro della legge non si diparta mai dalla tua bocca, ma meditalo giorno e notte, avendo cura di mettere in pratica tutto ciò che v'è scritto; poiché allora riuscirai in tutte le tue imprese, allora prospererai." (Giosuè 1:8). La memorizzazione ci spinge alla meditazione.