Natura e Grazia nel pensiero di H. Bavinck
di Domenico Iannone Secondo la comprensione di Bavinck, nel Nuovo Testamento il termine “mondo” possiede due sensi distinti:
1) l’universo creato caduto sotto il potere del peccato, 2) gli eletti, oggetto dell’amore di Dio (Giovanni 3:16-17). Subito dopo l’età apostolica, i credenti iniziarono a deviare da tale distinzione del termine, adottando un’attitudine negativa nei confronti del mondo e della sua cultura. Ne è riprova il fatto che nel corso del II° e III° secolo cominciarono a prendere piede, sistemi teologici caratterizzati dal dualismo e dall’ascetismo. Contemporaneamente e nel contempo, contraddittoriamente, la chiesa testimoniava il propria rifiuto del montanismo e del donatismo, che pretendevano percorrere la strada del separazione dal mondo e dell’ascetismo. In generale, la chiesa desiderava essere la “chiesa di tutti” anche cercando di assimilare le istanze non cristiane dell’ascetismo e del monasticismo. L’opposizione qualitativa che esisteva all’origine tra mondo e chiesa, venne a trasformarsi in differenza quantitativa. Detto altrimenti, nel cattolicesimo romano, il mondo perde il significato etico che possiede nella NT, ossia di “sistema di pensiero dominato dal peccato”, per divenire ciò che è solo “naturale”, non peccaminoso e soltanto bisognevole di perfezionamento. Il mondo è naturale nel senso che attende di essere perfezionato dall’elemento sovrannaturale, ossia dal “donum superadditum”. Secondo tale concezione cristianesimo e grazia, non pretendono di riformare e ricreare l’ordine esistente, ma consentono al credente di ottenere la visio Dei che è solo un “completamento” della creazione. Il trascendente sopravviene al naturale e lo integra, senza penetrarlo e santificarlo. La visione biblica del rapporto tra mondo e grazia è allora sostituita da un dualismo che pone in una posizione separata e trascendente il sovrannaturale non solo accanto ma addirittura al disopra della natura. Creazione (natura) e grazia assumono la forma di due entità giustapposte e indipendenti. Il sovrannaturale è un’entità diversa e sigillata rispetto al naturale. Il naturale è ritenuto essere buono “per sé”, esso è “solo” incompleto e attende perfezione, appartenendo ad un ordine inferiore che deve essere “subordinato” alla chiesa che rappresenta sulla terra, il “sovrannaturale” per eccellenza. Il genio del cattolicesimo riposa, nell’opinione di Bavinck, nell’avere fatto dell’ordine naturale un elemento positivo e buono in sé, non diversamente dal pelagianesimo. Nel cattolicesimo è affermato che la grazia possiede un duplice compito: ut elevet et sanet, cioè “eleva e risana”, in realtà il compito di elevare mette in ombra quello accidentale di sanare. La grazia nel cattolicesimo è in primo luogo una qualità che è aggiunta all’uomo sopra e oltre l’ordine naturale, e attraverso cui l’uomo è assunto nell’ordine sovrannaturale, divenendo partecipe della natura divina e della visione di Dio, ponendolo nella posizione di compiere le opere ex condigno che gli permetteranno di acquisire la vita eterna. L’uomo si salva neo-platonicamente, elevandosi al di sopra della propria natura, ossia deificandosi. Il dualismo cattolico natura-grazia non è risolvibile, e non permette al cristianesimo di essere un principio riformante immanente al mondo. Tale dualismo non è però un’antinomia in cui un elemento contraddice ed esclude l’altro, poiché il cattolicesimo non annienta il “naturale” al modo dei manichei, ma piuttosto lo svaluta. Anche se non vi sono proibizioni allo sposarsi, al mettere su famiglia, allo lavorare, al fare politica, al fare scienza ed arte (donando a tutte queste sfere una libertà molto maggiore di quanto non faccia il protestantesimo), tuttavia disprezza e deprime il “naturale” etichettandolo come “profano”. Nel cattolicesimo la principale distinzione non è tra santo e impuro, ma tra sacro e profano, riducendo il non etico al “materiale”, al “non-divino” che è impuro solo perché incapace di comprendere il sovrannaturale. Bavinck è giustamente convinto che la Riforma si sia opposta a tale concezione dualistica e quantitativa della comprensione che il cattolicesimo propone del rapporto natura-grazia. Per i riformatori, il creato rappresenta lo stato primario, originario e naturale, da cui la religione cristiana, cioè il foedus gratiae, deve prendere le mosse. Solo il pensiero riformato riabilita il primo articolo del Credo: “Credo in Dio, il Padre, Onnipotente, creatore del cielo e della terra”. Il creato non è subordinato ad un ordine più elevato, come se fosse suscettibile di non potere essere santificato e rinnovato ed è divino allo stesso titolo della chiesa. La grazia non è più una entità quantitativamente posta al di sopra del naturale, ma un potere etico e religioso che entra nel naturale e lo libera da quanto è impurità e peccato; afferma la Scrittura che il regno di Dio non è soltanto una perla di gran prezzo e un tesoro, ma anche un seme di mostarda e lievito che fa fermentare la pasta. La grazia non serve a condurre l’uomo a prendere il posto che gli compete in un ordine sovrannaturale, ma lo libera dal peccato; a rigore di logica, la grazia non era necessaria ad Adamo prima del peccato, ma lo è diventata solo a causa del peccato. Funzione della grazia è rimuovere il peccato, se ciò accade l’uomo è restaurato ad immagine di Dio. L’immagine di Dio non è un donum superadditum, un elemento che la grazia aggiunge alla natura dell’uomo, ma appartiene all’essenza dell’uomo. La grazia nella teologia riformata non è propriamente parlando una “sostanza”, ma soltanto la restaurazione di una “forma” che era impressa sull’uomo al momento della creazione. La grazia non crea una nuova sostanza, ma è la potenza di Dio che rimuove gli effetti del peccato. Adamo prima del peccato poteva errare, peccare, morire, ciononostante era destinato ad uno stato più alto. La grazia dopo la caduta, persegue il fine di realizzare tale più alta gloria. Patto di grazia e patto di opere si distinguono nel mezzo, non nello scopo finale. Il punto di arrivo della grazia ci rimanda al punto di partenza e simultaneamente tale punto è più in alto della partenza. La redenzione o liberazione dal peccato del creato, non è una mera riabilitazione, ma solleva il naturale ad un livello più alto di quello originario, non intendendendo tale “elevazione” negli stessi termini del cattolico “elevatio”. Infatti per il Protestantesimo elevare o restaurare non hanno il senso né di supplementare la natura con l’elemento naturale della grazia, né tramite la grazia riportare il creato alla propria condizione originaria. Sopravvenuto il peccato nella creazione, nulla ritorna allo stato originario. Ciononostante viene conservato lo scopo originario della creazione e anche se la strada per attuarlo è cambiata, lo scopo rimane il medesimo. Le conseguenze pratiche sono in primo luogo connesse al rispetto dell’indipendenza e dell’autorità delle differenti sfere sovrane: la famiglia, la società, lo stato. Tali sfere non sono state annullate dal peccato e debbono sperimentare la rigenerazione dello Spirito di Cristo. Ad essere precisi, la Bibbia non è un testo che contenga un programma socile e politico completamente articolato, e neppure deve essere intesa come un manuale di scienza o arte; essa è il libro che contiene la rivelazione redentiva di Dio ed ha uno scopo eminentemente etico-religioso che ha come obiettivo il rinnovamento di tutte le sfere dell’universo umano. Ma l’uomo ha da diventare prima un figliuolo di Dio, per poi divenire una creatura culturale, o per dirla con Johann Christoph Blumhardt: “l’uomo deve essere convertito due volte, prima dalla vita naturale a quella spirituale, in seguito dalla vita spirituale a quella naturale” Essere credenti possiede il significato di essere “umani”, è l’umanità dell’uomo che è redenta o per dirla con 2Tim. 3:17: “affinché l'uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona.” Mentre Lutero e Zwingli, erano ancora influenzati dal dualismo natura-grazia, Calvino se ne discosta completamente. Per Calvino, la ri-creazione non è un elemento che supplementa la creazione, come nel cattolicesimo, non una riforma religiosa che lascia la creazione invariata, come in Lutero, non una nuova creazione, come nell’anabattismo, ma un gioioso rinnovamento di tutte le creature. Calvino scopre il medesimo principio del cattolicesimo all’opera nel socinianesimo e nell’anabattismo. Mentre il primo non comprende la grazia specialis e si ritrova ad avere a che fare solo con la natura, il secondo disprezza la grazia communis e non comprende altro a parte la grazia. L’anabattismo influenzò, il Pietismo, i fratelli Moravi e il Metodismo. In questi movimenti vi è una concezione ascetica del mondo e della sua cultura. Isolandosi dal mondo, come nel pietismo, o attaccandolo, come nel metodismo, vi è sempre il tentativo di andare oltre questo mondo e mai il tentativo di riformarlo organicamente. Ci si concentra allora su singole parti dell’intero della cultura, mai sul suo centro. Il cristianesimo non è entrato nel mondo per condannare o bandire tutto ciò che esiste, ma per purificare dal peccato ciò che esiste, riportandolo allo scopo originario. La rivelazione ha una natura soteriologia, essa riforma e ricrea. La salvezza in Cristo, non è una seconda e nuova creazione, ma una ricreazione. La grazia è una reparatio, non una elevatio naturae come nel cattolicesimo. La natura non ha meno valore della grazia. La grazia è ostile solo al peccato e non al mondo che invece desidera consacrare a Dio. E’ dunque un errore pensare che la grazia sia restrittiva delle capacità e delle abilità della natura umana, mirando a renderle inoperative. I riformati affermano la origine divina di quello che esiste, la bontà del mondo e in esso della famiglia, della società, della istruzione, dell’arte, del commercio e dell’industria. Poiché il peccato non appartiene alla sostanza della creazione, ma è solo una deformazione di quanto esiste, Dio è capace di rimuovere il mondo dalle spire della corruzione del peccato. Cristo non sta all’inizio, ma al centro della storia, ciò presuppone l’opera del Padre nella creazione e nella provvidenza. L’incarnazione di Cristo ci insegna che il divino si può rilevare in una maniera completamente umana, l’umano è l’organo del peccato, ma non il peccato stesso. Il peccato non è una sostanza, ma una qualità; non materia, ma forma, non l’essenza delle cose, ma qualcosa che aderisce a tale essenza, è una privatio actuosa. Proprio perché il peccato non è sostanza, è possibile un’etica del restauro della natura. L’uomo nonostante il peccato è rimasto uomo. Poiché il vangelo concerne esclusivamente la liberazione dal peccato, esso lascia tutte le istituzioni intatte. In principio il vangelo si oppone a tutti le forme di socialismo, comunismo ed anarchia, poichè non si oppongono al peccato, ma identificano (negando la caduta) il peccato con la natura, e l’ingiustizia con la famiglia, lo stato, la società, in breve la creazione con il peccato. Per lo stesso motivo, il vangelo è avverso alle rivoluzioni di ogni tipo, poiché la rivoluzione non fa distinzione tra natura e peccato, ed eradica il buono con il cattivo. Il vangelo non annuncia distruzione e morte, ma risurrezione e vita. Il vangelo evita tanto il pericolo del conservatorismo, che non desidera cambiare la società, quanto quello del radicalismo rivoluzionario, che non ha un fondamento nel flusso degli eventi. |