La teologia dei "Motivi Fondamentali"
di Domenico Iannone
Possiamo certamente concordare con quanto la Bibbia dice a proposito del fatto che l’universo intero (uomo compreso) offra chiara evidenza della "potenza", "sapienza" e "divinità" di Dio. Ciononostante l’uomo ribelle a Dio risulta costantemente all’opera nel costruire false interpretazioni di quanto egli stesso, l’universo e Dio sono. Quella che è comunemente chiamata filosofia, non è altro che espressione della "totale depravazione" dell’uomo. Infatti sappiamo che tutti gli uomini vengono al mondo in qualità di trasgressori del patto, essi non desiderano onorare Dio e il dono della Sua conoscenza. Ma ovunque essi dirigono il proprio sguardo, incontrano la faccia di un giudice adirato; per sfuggire a tale minaccia, essi pensano bene di sopprimere la faccia di Dio ovunque. Per riuscire in tale intento essi sono innanzi tutto costretti a negare che i fatti della natura abbiano un senso e un controllo sovrannaturale, ciò allo scopo di proclamarsi autonomi e non creati. Anche se molti di loro professano di servire Dio, in realtà servono la creatura e non il Creatore. Per essi Dio e uomo divengono aspetti del medesimo universo, cioè tutto è interpretato in modo "immanentistico".
Tutte le spiegazioni dell’universo che lasciano fuori il Dio cristiano finiscono con l’apparire futili. Solo presupponendo il Dio uno e trino vi è possibilità di affermazioni intelligenti sulla natura. Anche l’ateo se vuole fare affermazioni consistenti deve assumere principi cristiani.
I non credenti non sono consistenti con la propria ribellione nei confronti di Dio, pertanto possono impegnarsi nella ricerca scientifica e scoprire molte verità a proposito dell’universo creato. Epistemologicamente credenti e non credenti hanno nulla in comune, ossia i paradigmi scientifici che giustificano le loro scoperte divergono profondamente. Ma psicologicamente essi sono accomunati dalla medesima rivelazione di Dio attraverso il creato. E’ come se l’uomo peccatore guardasse il creato di Dio attraverso occhiali colorati cementati sulla propria faccia. Essi partono dal presupposto interpretativo che la coscienza dei fatti o delle leggi siano intelligibili senza chiamare in causa Dio. Tutto ciò sapendo nel contempo che Dio esiste, ma come trasgressori del patto tentando di sopprimere tale verità. Un banale fatto dell’esperienza quotidiana ci illumina in merito a ciò, quando appare su qualche giornale una qualche statistica a proposito di se le persone credono o meno, i risultati confermano sempre che la maggior parte della popolazione intervistata crede a Dio, mentre solo una piccola percentuale crede al Dio della Bibbia quale creatore e giudice.
Ogni uomo possiede il "senso della deità" e dunque conosce Dio come proprio creatore e giudice, ma nel contempo appare anche che ogni peccatore tenta di sopprimere questa verità. Essi sono senza Dio nel mondo e debbono essere rinnovati in conoscenza (Col. 3: l0) così come in giustizia e santità (Ef. 4:24).
Dooyeweerd afferma che un "motivo fondamentale (grondmotieven) non è solo una "visione del mondo", ma piuttosto "una forza trainante che opera quale sorgente centrale della società umana" (The Roots of Western Culture: 9). Tali motivi sono concezioni radicate della realtà che operano nell’arco di lunghi periodi, più specificamente:
Dooyeweerd identifica 4 di questi motivi, I quail hanno orientato il pensiero occidentale per circa 2500 anni:
Dooyeweerd rintraccia l’origine di tale dualismo nella religiosità pre-greca che univa e deificava, un ciclo di vita senza forma e ciecamente affidato al caso (ananke), e la percezione religiosa della presenza nell’universo di misura, leggi e armonia.
Parliamo di dualismo perchè mentre nella "dualità" si confrontano due principi eguali, nel "dualismo", uno dei due principi cerca di avere la meglio sull’altro, nella tabella che segue si mostra cosa nella cultura greca fu associato ai due principi:
Forma |
|
Cambiamento e decadimento |
Stabilità, immutabilità, eternità |
impurità |
purezza |
Sensualità, carnalità |
Intellezione, pensiero |
Passioni: ubriachezze ed orgie. |
Ragione: logica e self-control. |
Barbarie. |
Civiltà. |
Manualità. |
Contemplazione. |
Corporeità. |
Immaterialità. |
Fisicità. |
Spiritualità. |
Operare con le mani: operaio. |
Operare con la mente: governante. |
Inaffidabilità. |
Verità. |
Terra. |
Cielo. |
Tale dualismo è il risultato di una presupposizione "immanente", ossia della convinzione che il divino possa essere trovato nell’esclusivo ambito della esperienza umana: "ciò che è buono (divino) dipende dal tuo punto di vista". Ciò che caratterizza tale posizione di pensiero è l’astrazione, la quale è comunque inerente a tutti i modi di pensare apostati. Una tendenza all’identificazione della mente umana con le leggi che regolano l’universo. In tale concezione di pensiero, alle emozioni e alle volizione viene data scarsa importanza, mentre l’essenza dell’anima viene individuata nella contemplazione delle "idee".
Platone tanto nella propria dottrina della reminiscenza, quanto nella dottrina dell’identificazione dell’uomo con Dio tramite l’intuizione, pone grande enfasi sul principio di unità immutabile (forma o idea). L’uomo per dare ordine alla propria esperienza e dunque conoscere ha necessità di partecipare a tale principio. Per tale ragione Platone è costretto a negare una reale esistenza al cambiamento (materia). Il mondo del "divenire" ha solo una "quasi" esistenza continuamente in bilico sull’abisso del non-essere; ogni cosa del mondo empirico è sempre nella posizione di trasformarsi in qualcosa d’altro, non vi è nulla che dia significato e dunque unifichi una tale realtà permettendone la conoscenza. Ci troviamo dunque al cospetto di una pluralità ultima, senza unità ultima. Nel mondo empirico non può allora essere trovato un supporto per dare conto della natura dell’anima immortale. In realtà l’anima razionale non è parte di questo mondo, ma partecipa di quello divino ed in tale ottica è anzi possibile dire che il corpo materiale dell’uomo è soltanto una prigione per l’anima. L’anima dell’uomo, pur non essendo un’idea, partecipa del mondo delle idee è immortale ed ha vita. L’anima partecipa dell’idea di vita ed è nello stesso tempo "particolare". L’anima sembra avere uno statuto ontologico non diverso da quello della seconda persona della Trinità. Infatti Cristo secondo la Confessione di Calcedonia unisce in Se medesimo umano e divino senza mescolamento. In breve il mondo della realtà temporale non era per Platone il mondo della auto-rivelazione divina. Se dunque Platone fosse stato capace di dimostrare che la propria visione della realtà era veritiera, egli avrebbe potuto giustificare a se medesimo e ai propri seguaci la propria attitudine di infrangitore del patto con Dio, ma come vedremo la sua concezione va incontro ad insolubili aporie.
Per Platone qualsiasi ente per potere realmente esistere e così essere conosciuto deve essere eterno ed immutabile, allo stesso titolo della conoscenza. Il mondo del divenire si colloca in realtà a metà tra il puro non-essere (assoluto in conoscibile) ed il puro essere (conoscibile assoluto). Allo stesso modo la conoscenza è una sorta di tensione tra pura ignoranza e assoluta conoscenza. La concezione di Platone della relazione tra sensazione e pensiero corrisponde a tale dicotomia. I sensi ci ingannano, solo il pensiero può attingere intuitivamente alla sfera del divino e così mostrarci la verità. Per tale motivo il sapiente cerca di evitare il contatto (anche fisico) con tutto ciò che è materiale, allo scopo di ricongiungersi con il pensiero a quel mondo dal quale proviene. Il sapiente cerca l’identificazione con il "Totalmente Altro", che è altro tanto rispetto a Dio quanto rispetto all’uomo. La natura è si rivelazionale, ma di una rivelazione che è superiore all’uomo e a Dio. Nella misura che la conoscenza è razionale essa si identifica con un principio che governa uomini e dèi. Nello stesso tempo uomini e dèi si confrontano con un principio irrazionale, quello del non essere, che è ultimo quanto quello dell’essere. Ne risulta che uomini e dèi sono completamente sconosciuti a se medesimi nel momento in cui si confrontano con il mondo materiale.
Nel mondo intelligibile, il mondo delle idee, ci confrontiamo con un problema opposto rispetto a quello della realtà empirica; nel mondo delle idee, tutto è stabile ed eterno, nulla muta; ma questa unità ultima, non permette realmente la conoscenza di alcunché, poiché la conoscenza sembra implicare una molteplicità ultima e dunque il mutamento. A quale dei due mondi l’anima appartiene? Certamente essa non può appartenere ad entrambi e nello stesso tempo deve appartenere ad entrambi. Platone tenta una risposta congetturando che l’eternità sia entrata nel tempo, affermando non esservi sostanziale differenza tra tempo ed eternità. Ciò perchè Platone comprende che le idee, alla quale l’uomo deve assimilarsi per potere effettivamente conoscere, sembrano comportarsi come gli enti della realtà sensibile. Un’eccezione sembrerebbe essere costituita dall’idea del "Bene". Forse che tale idea presiede a tutte le altre? Tale soluzione in realtà è scartata essendoci anche idee di cose "non buone". Ciò che importa notare è che anche nel mondo delle idee Platone individuava opposizione e diversità (bene e male). La soluzione alla quale giunge Platone è che i due mondi, empirico ed intelligibile, per poter essere conosciuti debbono essere posti in correlazione, pena non essere conosciuti del tutto. Tale correlazione è possibile perché l’uomo riesce a connettere le categorie dell’eternità alla sfera del temporale. In realtà l’uomo con i propri limiti conoscitivi non può applicare propriamente, ad esempio le leggi della logica, con necessaria e assoluta correttezza al mondo empirico senza la mediazione dello Spirito di Dio.