La Mistica Medievale
Di Domenico Iannone
La mistica cristiana appare connessa con la visione neoplatonica di Dio, resa popolare nel VI° secolo dagli scritti dello pseudo Dionigi Areopagita, secondo il quale Dio è pura trascendenza, pura forma, un’infinità superiore allo stesso essere e al pensiero, assolutamente impredicabile in modo positivo, di cui si può soltanto indicare quello che non è (teologia negativa). Accanto a tale problematica idea di Dio, la mistica aveva accolto anche il problema fondamentale della filosofia greca in generale e di quella neoplatonica in particolare: come possono derivare i "molti", dall’Uno indicibile ed infinito? Ma l’esistenza degli esseri finiti era sentita dal neo-platonismo come un tormento ed una sofferenza, la creaturalità come un disvalore da rinnegare, e la redenzione come un cammino teso a rinnegare la propria finitezza allo scopo di riunificarsi/annullarsi nell’infinito. Tale riunificazione, però era attuabile soltanto con la morte, ma in questa vita con l’esperienza dell’estasi che trasportava l’anima al di là dei sensi e del pensiero discorsivo, vi era una sorta di anticipazione di tale identificazione con il divino. Nella grande fioritura spirituale del secolo XII°, la mistica areopagitica era stata rinnovata dai canonici parigini di San Vittore.
I motivi della mistica neoplatonica si fusero con una corrente di intonazione diversa, quella della mistica della persona di Gesù così come è presenta ad esempio negli scritti del monaco Bernardo di Chiaravalle (1091-1153). Tale mistica ha come origine il contesto storico delle crociate, occasionate da un intensificato sentimento di venerazione per la persona, l’opera e i luoghi dell’azione storica del Redentore e che trovava nell’interpretazione allegorica del Cantico dei Cantici di Origene la sua giustificazione teologica e sentimentale. L’oggetto della contemplazione di questi mistici non era l’Uno infinito della teologia neoplatonica, ma lo Sposo celeste dell’anima, il Verbo incarnato, il dolce e misericordioso Gesù dei Vangeli.
Tali motivi finiscono con il confluire nella mistica domenicana, rappresentata da Eckart, da Tauler, o dall’Anonimo di Francoforte, di cui Lutero pubblicò lo scritto intitolandolo "Una teologia germanica", dove appaiono con la metafisica dell’essere del tomismo.
La metafisica dell’essere tomistica, offriva un terreno d’incontro tra la teologia razionale cattolica e la mistica neo-platonica. La concezione tomistica di Dio come supremo essere, e del male inteso agostinianamente come non essere, poteva apparentemente autorizzare il rinnegamento della materia e della creaturalità, identificate dalla mistica areopagitica col peccato (per tale motivo l’ortodossia di Eckart o di Tauler, potè essere alternativamente affermata e negata). L’ortodossia cattolica attraverso Agostino, aveva assorbito troppo neoplatonismo, per potere considerare in via di principio, illegittima la mistica. In tal modo il problema neoplatonico dell’uno e dei molti riceveva una accentuazione nuova e originale, anche perché veniva confrontandosi polemicamente con l’emergere della concezione rinascimentale del valore e della autonomia dell’individuo. La mistica rappresentata da Eckart e Tauler, riteneva che l’individuo religioso non avesse valore. L’io era considerato come il nemico da soffocare per fare spazio all’azione di Dio. Nello stesso tempo, l’io ridotto a qualcosa di astratto e svuotato di ogni contenuto empirico, era considerato come il "fondo dell’essere", dove era possibile l’incontro dell’anima con Dio. Tale incontro era reso possibile, da un percorso di passione, di interiore crocefissione in cui ogni desiderio dell’io, anche la gioia stessa della comunione con Dio era considerata sospetta e subordinata agli stati d’animo negativi, di aridità, di tribolazione interiore, di acuta coscienza del proprio peccato e della propria nullità. L’amarezza piena di grazia, dello "s-divenire" (entwerden), la totale passività o abbandono nei confronti di Dio (Gelassenheit), raggiungeva il suo culmine addirittura nella possibilità dell’accettazione della propria dannazione per amore di Dio, se tale fosse la volontà di Dio o l’esigenza della sua gloria. L’aspetto positivo di tale radicale negazione dell’umano era tesa ad affermare l’infinita gloria dell’inconcepibile, non oggettivo, atto puro Dio. Tutte le creature esistono manifestamente soltanto in quanto sono strumenti della Sua azione. Egli, o Esso è il vero essere, e la suprema felicità è perdersi in esso, in una unione sostanziale in cui il finito sia ri-assorbito nell’infinito.
Interessante anche la mistica scaturente dalla filosofia di Ockam, che era a fondamento della cosiddetta "devotio moderna" e che rappresenta la negazione più radicale, nella storia del pensiero, prima di Kant, della metafisica dell’essere. Ockham credeva nella totale trascendenza di Dio e nella assoluta contingenza di tutti gli aspetti della creazione. Solo Dio è assolutamente necessario, la creazione con le sue leggi fisiche e morali sono del tutto contingenti, ossia non necessari. Ockham distingue inoltre tra potentia absoluta e potentia ordinata , cioè tra il potere di Dio considerato in se stesso, e il medesimo potere considerato dal punto di vista dei Suoi decreti. Dio è libero di fare qualsiasi cosa Egli desidera, a patto di non contraddire la propria natura (pensiero mediato da Scoto e da altri pensatori del XIII° sec.). Gli attributi essenziali di Dio sono l’assoluta onniscienza e libertà e queste lo guidano nella creazione degli individui, senza idee universali precostituite, ma solo ispirato dall’amore. La conoscenza che noi abbiamo di Dio non è diretta e per avvicinarsi a lui serve la fede e non la ragione. Perciò tra fede e ragione non esiste legame alcuno e ciascuna di esse opera nella più assoluta autonomia: la prima spazia nel soprasensibile entro i limiti del dogma; la seconda si muove nel campo dell'esperienza. Ockham afferma anche che sostanze e qualità individuali sono l'elemento fondamentale della realtà fisica e dell'esperienza umana. Tale filosofia, perveniva come la mistica tomistico-areopagitica, all’affermazione dell’inconoscibilità razionale di Dio. Dio era considerato "misterioso" dall’occamismo, a causa dell’incapacità metafisica dello spirito umano, mentre per la mistica Dio era "misterioso" a causa dell’infinità dell’Essere stesso di Dio: posizione critico-gnoseologica nel primo caso, speculativa e metafisica nel secondo. Lo svuotamento mistico dell’io, anche nelle sue espressioni più radicali, appare come un esercizio spirituale, a cui si sa che dovrà necessariamente corrispondere la grazia salutare. La stessa accettazione, dell’inferno non è veramente reale, perché nell’atto stesso in cui l’anima accetta per amore di Dio la propria dannazione, è allora pronta "de congruo" a ricevere la grazia, che non può esserle negata. Anche nelle più paradossali espressioni del rinnegamento dell’io, colui che si rinnega è distinto dall’io che rinnega. L’idea del "fondo dell’essere," in cui risiede la piti profonda verità dell’anima, offre in ultima istanza ancora un ponte di passaggio dall’umano al divino. Per tale motivo la mistica domenicana non va oltre i confini dell’ordine giuridico del pensiero cattolico, e in mezzo alle sue più radicali espressioni di autorinnegamento torna a far capolino l’idea di una preparazione meritoria alla grazia, e della possibilità di fare "quod in se est" per acquistarla.