Il termine sacramento deriva dal latino
“sacramentum” che altro non è che la traduzione nel latino della Vulgata, del
termine “mistero” di Efesini 5:32
Questo mistero è grande; dico questo,
riguardo a Cristo ed alla Chiesa.
Per Paolo, “mistero” non è
qualcosa coperta da un velo impenetrabile, ma è una cosa rivelata, un fatto che
fu fino ad ora tenuto nascosto, ma che adesso è rivelato. A quale mistero
allude l'apostolo? È evidente che
allude alla unione mistica di Cristo con la Chiesa; a quella unione che se fu
per lo passato «un mistero», oggi è circondata della luce gloriosa della
rivelazione evangelica. A proposito della traduzione della Vulgata del passo
“Sacramentum hoc magnum est; ego autem dico in Christo et ecclesia” sembra che
Tertulliano non inventi il termine “sacramentum”.
Nel brano di 1Cor. 10:16-17 è contenuta in nuce
l’intera dottrina dei sacramenti:
Il calice della
benedizione che noi benediciamo, non è egli la comunione col sangue di Cristo?
Il pane, che noi rompiamo, non è egli la comunione col corpo di Cristo? 17
Siccome v'è un unico pane, noi, che siam molti, siamo un corpo unico, perché
partecipiamo tutti a quell'unico pane.
I sacramenti del battesimo in acqua e della Cena
del Signore simboleggiano, esprimono e presentano, la “comunione con”, cioè
l’unione spirituale che lega i credenti ai benefici del Cristo. Essi sono nel
contempo una confessione di fede, una ricerca di benedizione e relativo
soddisfacimento, una richiesta rivolta a Dio.
La
Riforma considerava centrale la dottrina dell'adattamento divino alla
debolezza umana. Melantone
nelle tesi contenute nello scritto “Proposte sulla messa” (1521), era convinto che i sacramenti
fossero un adattamento alla debolezza umana della grazia divina: «I segni sono
gli strumenti che ci ricordano e ci riconfermano la parola della fede». Ma non
qualsiasi segno è un sacramento: il sacramento è un segno della grazia
istituito e autorizzato, le cui credenziali riposino su solide basi bibliche,
ossia su un comando esplicito da parte di Dio. Una delle debolezze dell'umanità
peccatrice è proprio il bisogno di avere dei segni (ad esempio il racconto
biblico di Gedeone in Giud. 6). I sacramenti, dunque, sono dei segni: «Ciò che
alcuni chiamano sacramenti noi li chiamiamo segni o, se preferite, segni
sacramentali». Tali segni sacramentali accrescono la nostra fede in Dio. «Per
attenuare la diffidenza del cuore umano, Dio ha aggiunto dei segni alla
parola». I sacramenti sono dunque dei segni della grazia di Dio che si
aggiungono alle sue promesse di grazia per rassicurare e rafforzare la fede di
esseri umani peccatori.
I sacramenti sono dunque la risposta di Dio alla debolezza umana.
Conoscendo la nostra difficoltà ad accogliere e a rispondere alle sue promesse,
Dio ha aggiunto alla sua Parola dei segni visibili e tangibili del suo favore
e della sua grazia. Essi costituiscono da parte sua un adattamento alle nostre
limitazioni. I sacramenti rappresentano le promesse di Dio mediate attraverso
oggetti della vita quotidiana. Calvino espone il medesimo pensiero più o meno nel
modo seguente: i buoni oratori conoscono e capiscono i limiti intellettuali del
proprio uditorio e adattano ad esso il proprio linguaggio evitando,
all’occorrenza, parole e concetti difficili sostituendoli con altri più
semplici. Tale principio si estende anche all'uso delle analogie e dei sussidi
visivi. Calvino afferma: “Iddio fa lo stesso; si adatta alle nostre
limitazioni. Scende al nostro livello usando immagini vigorose e forme espressive
che gli permettono di rivelarsi a una grande varietà di persone. Nessuno è
escluso dall'apprendere le cose di Dio a causa della sua scarsa istruzione. Il
fatto che Dio usi dei mezzi molto umili per rivelarsi non implica alcuna debolezza
o carenza da parte sua; la necessità di adottare umili mezzi espressivi
rispecchia piuttosto la nostra debolezza, che Dio, nella sua grazia, riconosce
e di cui tiene conto. Egli usa molti modi diversi per creare e sostenere la
fede: parole, concetti, analogie, modelli, segni e simboli. I sacramenti vanno
intesi come un elemento importante in questo arsenale di risorse.”
Anche Lutero
sostenne che i sacramenti sono: «delle promesse cui si aggiungono dei segni»,
o «dei segni istituiti da Dio e la promessa del perdono dei peccati». È
interessante notare che Lutero usò il termine «pegno» (Pfand) per sottolineare
il carattere rassicurante dell'eucaristia. Il pane e il vino ci rassicurano
sulla realtà della divina promessa di perdono rendendoci più facile 1'accettarla
e, dopo averla accettata, l'attenervisi saldamente.
Il pane e il vino della messa ci ricordano in pari tempo,
da un lato, la realtà e il costo della grazia di Dio e, dall'altro, la nostra
risposta di fede a quella grazia. Le promesse di Dio sono dunque reali e
costose. La morte di Cristo è segno al tempo stesso dell' affidabilità e dell'
enorme prezzo della grazia di Dio. Lutero sviluppa questo aspetto usando !'idea
di «testamento», nel senso di «atto attestante le ultime volontà», trattandone
in modo esauriente nel suo scritto “La
cattività babilonese della chiesa” (1520):
Si chiama testamento la
promessa di chi sta per morire, promessa con cui definisce la sua eredità ed
istituisce gli eredi. Il testamento comporta pertanto innanzitutto la morte
del testa tore, e in secondo luogo la promessa di un'eredità e la designazione
degli eredi [...]. Ciò noi vediamo chiaramente anche nelle parole di Cristo.
Egli testimonia della sua morte quando dice: «Questo è il mio corpo che sarà
dato, questo il mio sangue che sarà versato»; nomina e precisa l'eredità
quando dice: «in remissione dei peccati»; istituisce poi gli eredi dicendo:
«per voi e per molti», cioè per quelli che accettano e credono nella promessa
del testatore.[1]
In relazione alla
Santa Cena, Lutero in un sermone del 1519 intitolato “Sul venerabile sacramento
del santo e vero corpo di Cristo”, sottolinea la rassicurazione psicologica
che pane e vino forniscono ai credenti:
Ricevere questo
sacramento nel pane e nel vino non è altro che ricevere un segno certo di
questa comunione e incorporazione con Cristo e tutti i santi, come se si dia ad
un cittadino un contrassegno, un documento firmato o una parola d'ordine,
perché sia certo che è borghese di quella città e membro della stessa comunità.
[...]
Adunque, in questo
sacramento vien dato all'uomo da Dio stesso [...] un segno certo che egli
dev'essere unito con Cristo e con i suoi santi, e avere ogni cosa in comune, a
tal segno, che la passione e la vita di Cristo dev'essere sua.[2]
Sempre nel trattato “La cattività babilonese della
chiesa”, Lutero afferma che l’uso fatto dalla Vulgata del termine
“sacramentum” riposava su di una cattiva comprensione del testo greco. Mentre
la chiesa cattolica romana riconosceva sette sacramenti, Lutero ne riconosceva
soltanto due (battesimo ed eucaristia):[3]
Nego che i sacramenti
siano sette; per il momento ne tratterò tre: il battesimo, la penitenza,
l'eucaristia, i quali sono falsati e sfruttati in modo indegno dalla curia
romana, mentre tutta la chiesa è stata privata della sua libertà. […] Tuttavia è parso opportuno chiamare
sacramenti le promesse unite a simboli. Le altre, non unite a simboli, sono
pure e semplici promesse. Ne segue, se vogliamo parlare con proprietà, che ci
sono solo due sacramenti nella chiesa: il battesimo e l'eucaristia, poiché
solo in questi vediamo un simbolo istituito da Dio e la promessa della
remissione dei peccati.[4]
La confessione (o penitenza) cessava di avere uno
valore sacramentale, perché due sono le caratteristiche di un sacramento: la
Parola di Dio e un segno sacramentale esterno (come l'acqua per il battesimo,
e il pane e il vino per la Santa Cena), il contesto legittimo in cui tali
azioni si esprimono è quello della liturgia.[5]
Il sistema sacramentale medievale assegnava una
preminenza assolutamente ingiustificata alla funzione del prete. Lutero
rifiuta la concezione donatista secondo la quale i sacramenti sarebbero stati efficaci ex opere operantis, cioè solo se
le qualità morali di colui che li amministra fossero state integre,
ritenendo piuttosto sulla scorta di Agostino, che fossero efficaci ex opere operato, cioè a prescindere dalle qualità morali del
ministrante. In questo caso l'efficacia del sacramento dipenderebbe, non dalle
qualità personali dell’officiante, ma inerirebbe al sacramento in quanto tale,
poiché il fondamento ultimo dei sacramenti è Cristo, la cui persona e i cui
benefici sono trasmessi dal sacramento. Si può dunque permettere a un
sacerdote immorale di celebrare i sacramenti, poiché la loro efficacia non
dipende da lui.[6]
I sacramenti erano stati snaturati e Lutero indicava tre
motivi per cui si era prodotta una simile situazione:
1. La pratica della «comunione sotto una sola specie» (cioè il dare ai laici solo il pane, l'ostia, e non pane e vino). Fino al XII° sec. la prassi generale era stata quella di consentire a tutti i partecipanti alla messa di ricevere sia il pane che il vino. Nel corso dell'XI° sec. alcuni laici, poco attenti al modo in cui ricevevano il vino, versavano sul pavimento (certo non molto pulito) delle chiese medievali, ciò che la teologia emergente della transustanziazione considerava il vero e proprio sangue di Cristo. Nel corso del XIII° sec. i laici vennero di fatto esclusi dal ricevere il vino.
La questione era nuovamente esplosa alla fine del primo decennio del '400, durante la rivoluzione hussita in Boemia, che fece dell’offerta del calice ai laici la propria bandiera.
Per Lutero la pratica di dare solo il pane ai laici era ingiustificabile e priva di qualsiasi fondamento scritturistico o patristico. Egli affermò che il rifiuto di offrire il calice ai laici era peccato:
E c'è un altro
argomento, efficace più di ogni altro. Cristo dice: «Questo è il mio sangue,
che sarà versato per voi e per molti in remissione dei peccati». Vedi
chiaramente che il sangue di Cristo è dato a tutti coloro a beneficio
dei quali è stato versato. Chi avrebbe il coraggio di dire che non è stato
sparso per i laici? Non vedi a chi si rivolge dando il calice? Non forse a
tutti?.[7]
2. Fino al 1519, non troviamo negli scritti di Lutero una sola
riserva riguardo alla concezione cattolica della transustanziazione e della
messa come sacrificio. La
dottrina della transustanziazione appariva a Lutero un tentativo di
razionalizzare un mistero ricorrendo ad una terminologia filosofica di origine
aristotelica. Cristo è realmente presente nel pane e vino, e pertanto risulta
poco importante stabilire come ciò avvenga. Se il ferro è messo sul fuoco e
scaldato diventa incandescente e in quel ferro incandescente sono presenti sia
il ferro che il calore. Lutero affermava infatti che, se si fosse potuto
dimostrare che tale idea era anti-biblica, sarebbe stato il primo ad abbandonarla.
Ma, secondo lui, quello era il significato evidente di un testo biblico come
Matteo 26,26: «Questo è il mio corpo». Per lui questo versetto era
perfettamente chiaro nel suo senso letterale e non ammetteva altra spiegazione.
Il principio stesso della chiarezza della Scrittura (che Lutero considerava un
punto fondamentale del suo programma riformatore) era messo in questione a
proposito dell'interpretazione di questo versetto.[8]
Andrea Carlostadio, che era stato suo collega ed amico a Wittenberg e che poi, nel corso degli anni successivi al 1520, si era allontanato da lui, aveva un' opinione diversa: secondo lui, nel dire quelle parole, Cristo indicava se stesso. Non fu difficile per Lutero liquidare tale idea come un'errata interpretazione del testo. Ma gli fu molto più difficile confutare l'affermazione di Zwingli secondo cui la parola “è” era una semplice figura retorica (alloiosis) per dire: “significa”, o “rappresenta”, pertanto non andava quindi intesa letteralmente e la si doveva accostare ai casi in cui Gesù diceva: “lo sono la porta”, o “lo sono la via”» ect.
Ed io, del resto, se non
riesco a capire come il pane sia divenuto corpo di Cristo, sono pronto a
sottomettere il mio intelletto alla sua parola e, attenendomi semplicemente ad
essa, credo fermamente non solo che il corpo di Cristo sia nel pane, ma che il
pane sia divenuto corpo di Cristo. Alla mia fede trovo conferma nelle Sue
parole, quando il Vangelo dice: «Prese il pane, rendendo grazie, lo spezzò e
disse: “Prendete, mangiate, questo (cioè il pane che aveva preso e spezzato) è
il mio corpo”» [I Cor. 11:23-24].[9]
3. L'idea che il prete, con la messa faccia un sacrificio, o compia un'opera meritoria, o un' offerta a favore del popolo, è priva di ogni fondamento biblico. Per Lutero il sacramento era prima di tutto una promessa da parte di Dio di perdono dei peccati, che il popolo doveva ricevere per fede:
Vedi dunque che ciò che
noi chiamiamo messa è la promessa della remissione dei peccati, promessa fatta
da Dio, rafforzata dalla morte del Figlio di Dio […]' Se [la messa] è una
promessa, come si è detto, non ci si accosta ad essa né con le opere, né con le
proprie forze, né per merito alcuno, ma per mezzo della sola fede. Dove c'è la
parola di Dio che promette è necessaria la fede dell'uomo che accetta; è
chiaro che la salvezza dell'anima dipende dalla fede con cui ci si accosta
alla parola di Dio, il quale, prescindendo da ogni nostro merito, con
misericordia del tutto gratuita ed immeritata, ci viene incontro offrendoci la
parola della sua promessa.[10]
I sacramenti hanno la funzione di fare nascere e nutrire la fede del popolo di Dio, mentre la chiesa medievale tendeva a trattarli come capace di produrre meriti e guadagni. I sacramenti non si limitano solo a rafforzare la fede del credente, ma sono prima di tutto capaci di generare quella fede. Il sacramento media la Parola di Dio, che può suscitare la fede. Per tale motivo a Lutero il battesimo dei bambini non crea alcun problema: il battesimo non presuppone la fede, anzi la suscita:
“Un bambino diventa un credente se al battesimo Cristo gli parla per bocca di colui che lo battezza, poiché si tratta della Sua Parola, del Suo comandamento, e la Sua Parola non può rimanere senza frutto”.
Le idee di Zwingli sui sacramenti
Zwingli sosteneva che i sacramenti dimostrano l'esistenza della fede. Ciò gli causò qualche problema in più, perché non poteva servirsi dell’argomento di Lutero per giustificare il battesimo degli infanti. Per Zwingli i sacramenti non fanno che confermare la Parola di Dio, che deve essere predicata indipendentemente da essi.
Anche Zwingli, come Lutero, avanzava riserve sul termine “sacramento”. Notava che il significato fondamentale di quel termine è “giuramento” e considerava il battesimo e la santa Cena, come segni della fedeltà di Dio e della sua promessa di perdono concesso per grazia. Nel 1523, scriveva che la parola “sacramento” si poteva usare per riferirsi a quelle cose che “Dio ha istituito, comandato e ordinato nella Sua Parola, che è salda e valida come se fosse stata giurata”. A partire dal 1525 Zwingli pur rimanendo fedele all'idea di “sacramento” come giuramento o impegno di Dio (atto per cui Dio s'impegna ad esserci fedele), lo vede come il nostro reciproco impegno di fedeltà e lealtà.[11] Ispirandosi all'uso militare del giuramento, Zwingli sostiene che il “sacramento” è sostanzialmente una dichiarazione di fedeltà che un individuo fa a una comunità. Come il soldato giura fedeltà al suo esercito (nella persona del comandante), così il cristiano giura fedeltà ai suoi correligionari cristiani.[12] Pertanto questo è: “il mezzo per cui una persona dimostra alla chiesa di voler essere, o di essere ormai, un soldato di Cristo: uno strumento che manifesta alla chiesa intera, piuttosto che a se stesso, la propria fede”. Con il battesimo in acqua il credente s'impegna ad essere fedele alla comunità della chiesa; con la Santa Cena manifesta pubblicamente tale lealtà.
La predicazione è quella che fa nascere la fede: i sacramenti ad essa subordinati, sono semplicemente un'occasione per dimostrare pubblicamente tale fede. Zwingli esplicita il significato della santa Cena per mezzo di un altro paragone militare tratto dalla sua esperienza di cappellano delle truppe svizzere:
Se un uomo si cuce
addosso una croce bianca manifesta di voler essere un confederato. E se fa il
pellegrinaggio a Nafels e dà lode e grazie a Dio per la vittoria che Egli
concesse ai nostri antenati, dimostra di essere davvero un confederato.
Analogamente, la persona che riceve il segno del battesimo ha deciso di
ascoltare ciò che Dio gli dice, d'imparare i precetti divini e di condurre una
vita conforme ad essi. E la persona che, nel memoriale o Cena, rende grazie a
Dio nella comunità, dà testimonianza della gioia che sente nel cuore per la
morte di Cristo e lo ringrazia per essa.[13]
Zwingli si riferisce alla vittoria ottenuta dagli
svizzeri sugli austriaci nel 1388 a Nafels, nel cantone di Glarona. Tale
vittoria è generalmente considerata l'origine della Confederazione elvetica e
veniva commemorata con un pellegrinaggio sui luoghi della battaglia, il primo
giovedì d'aprile. Qui Zwingli propone due argomenti. In primo luogo il soldato
svizzero porta una croce bianca (oggi incorporata nella bandiera nazionale
svizzera) per dimostrare pubblicamente la sua fedeltà alla Confederazione.
Analogamente il cristiano dimostra pubblicamente la sua fedeltà alla chiesa
dapprima con il battesimo e successivamente con la partecipazione alla cena del Signore.
In secondo luogo, l'evento storico che diede origine alla Confederazione viene
commemorato in segno di fedeltà alla Confederazione stessa. Analogamente il
cristiano commemora l'evento storico che diede origine alla chiesa cristiana
(ossia la morte di Gesù Cristo) come segno del suo impegno verso la chiesa. La
Cena del Signore è un memoriale dell’evento storico che ha determinato il
sorgere della chiesa cristiana e una pubblica dimostrazione della fedeltà del
credente alla chiesa e ai suoi membri. Questa concezione della natura dell'
eucaristia è confermata dal modo in cui Zwingli spiega Matteo 26:26,
“Questo è il mio corpo”. Tali parole furono
pronunciate da Cristo durante l'ultima cena, il giorno prima della sua morte,
per indicare in che modo voleva essere ricordato dalla sua chiesa. E come se
Cristo avesse detto: “Vi affido un simbolo di questa mia rinuncia che è il mio
testamento, per ravvivare in voi il ricordo di me e della mia bontà per voi, di
modo che, quando vedrete questo pane e questo calice offerti pubblicamente in
questa cena commemorativa, vi ricorderete di come sono stato dato per voi, come
se allora mi vedeste davanti a voi come mi vedete ora, mentre mangio con voi”.
Secondo
Zwingli, la morte di Cristo ha per la chiesa lo stesso significato che ha la
battaglia di Nafels per la Confederazione svizzera. È l'evento fondatore della
chiesa cristiana, il centro della sua identità. La commemorazione di Nafels non
implica certo di dovere rifare la battaglia, così neppure la cena del Signore
implica la ripetizione del sacrificio di Cristo, né una sua presenza particolare
alla commemorazione. L'eucaristia è “un memoriale delle sofferenze di Cristo,
e non un sacrificio”.
Le idee di Zwingli sulla natura della Cena del Signore possono essere fatte risalire a un episodio accaduto nel 1509. Nel mese di novembre di quell' anno ebbe luogo un cambiamento di personale in una piccola Biblioteca dei Paesi Bassi, ciò richiese un inventario dei fondi esistenti. Il lavoro fu affidato a un certo Cornelius Hoen, il quale scoprì che la Biblioteca conteneva un'importante collezione degli scritti del noto umanista Wessel Gansfort (ca. 1420-89). Uno di questi era intitolato Sul sacramento dell' eucaristia. Gansfort, pur non negando la dottrina della transustanziazione, sviluppava l'idea di una comunione spirituale tra Cristo e il credente. Ma Hoen, evidentemente attirato da quest'idea, la rielaborò come critica radicale alla dottrina della transustanziazione e la redasse sotto forma di lettera. Pare (sebbene la cosa non sia stata definitivamente accertata) che questa lettera sia pervenuta a Lutero nel corso del 1521. Nel 1523 la lettera era ormai giunta a Zurigo e Zwingli l'aveva letta.
Nella sua lettera Hoen sostiene che la parola “est” nella formula latina “hoc est corpus meum”, non deve essere interpretata come se significasse “è”, o “è identico a”, bensì come “significa”, “indica”. Per esempio, quando Cristo dice: «lo sono il pane della vita» (Giov. 6,48) evidentemente non s'identifica con una pagnotta, e neppure con il pane in generale. Qui la parola «è» va intesa in un senso metaforico, non letterale. I profeti dell' Antico Testamento hanno certamente detto che Cristo sarebbe «divenuto carne (incarnatus), ma ciò doveva avvenire una volta, e una volta sola. «In nessun momento i profeti annunziarono, o gli apostoli predicarono, che Cristo sarebbe, per così dire, “divenuto pane (impanatus)” tutti i giorni mediante l'intervento di un qualsiasi prete che offrisse il sacrificio della messa».
Hoen espresse parecchie idee che colpirono
Zwingli, ne mettiamo in risalto solo due. La prima è !'idea che la santa cena
sia come un anello che un giovane dà a una ragazza per rassicurarla sul proprio amore per lei. È un pegno: un'idea che si ritrova in tutti gli scritti di Zwingli su
tale argomento.
Il nostro Signore Gesù
Cristo, che ha promesso molte volte di perdonare i peccati del stio popolo e
di fortificare le loro anime, mediante l'ultima cena aggiunse alla promessa un
pegno, nel caso vi fosse da parte loro una qualsiasi incertezza: allo stesso
modo come un giovane, nell'intento di rassicurare la sua donna (casomai essa
avesse qualche dubbio), le dà un anello[14]
dicendo: «Prèndilo, sono io stesso che mi dò a te». E lei, nell'accettare
l'anello, ha la certezza che lui le appartiene e distoglie il suo cuore da ogni
altro pretendente e per compiacere il suo uomo si volge a lui e a lui
soltanto.
Nella sua ultima opera, la Expositio Fidei
christianae del 1531, indirizzata a Francesco I, re di Francia, il concetto è
chiilissimo:
Mangiare spiritualmente
il corpo di Cristo significa aver fiducia, con il cuore e con la mente, nella
misericordia e nella bontà di Dio, per mezzo di Cristo, ossia, avere la
costante certezza di fede che Dio ci concederà il perdono dei peccati e la
gioia della salvezza eterna per merito di suo figlio che ha dato se stesso per
noi... Perciò, quando vi avvicinate alla Cena del Signore per nutrirvi
spiritualmente di Cristo, voi ringraziate il Signore per questo suo grande
favore, per la redenzione che vi libera dalla disperazione, e per il pegno che
vi dà la certezza della salvezza eterna.
Che cosa, dunque, caratterizza il pane della comunione? Che cosa lo rende diverso da un altro pane qualsiasi? Se non è il corpo di Cristo, che cos'è? Zwingli risponde con un'analogia. Pensate all'anello di una regina dice Zwingli -, e vedetelo in due contesti diversi. Potete immaginare che l'anello sia posato su un tavolo, e non ha alcun significato particolare. Ma pensatelo in un altro contesto, ossia al dito della regina come un dono che le ha fatto il re. Esso acquista dei connotati personali che derivano dal suo rapporto con il sovrano, con la sua autorità, potere e maestà. In questo caso il valore dell' anello trascende di gran lunga il prezzo dell' oro di cui è fatto. Tutto ciò deriva dal fatto di passare da un contesto a un altro: ma l'anello in sé non cambia per nulla.
Zwingli si serve con particolare efficacia di tale
analogia nella sua Expositio Fidei:
L'anello con cui Vostra
Maestà è stato fidanzata alla regina Vostra consorte non è da lei valutato
solo in quanto oggetto d'oro. È d'oro, ma in pari tempo non ha prezzo perché è
il simbolo del suo regale consorte. Per questo motivo ella lo considera il più
importante di tutti i suoi anelli, e se le capitasse di dover elencare e
valutare i suoi gioielli direbbe: «Questo è il mio re, ossia, questo è l'anello
con cui il mio regale sposo si è fidanzata a me. È il segno di un'unione e di
una fedeltà indissolubili».
L'anello acquista dunque significato e valore
secondo il contesto: non sono inerenti, ma acquisiti. CosÌ, dice Zwingli,
accade con il pane della comunione. Il pane, come l'anello, in se stesso non si
trasforma, ma il suo significato cambia enormemente. Tale significato, ossia
ciò che viene associato all' oggetto, può variare senza che vi sia alcuna
modificazione nella natura dell' oggetto stesso. Zwingli avanza l'idea che,
nel caso del pane e del vino, si realizzi lo stesso processo. Nel consueto
contesto giornaliero sono pane e vino ordinari e comuni, senza significato
particolare. Ma, trasferiti in un contesto diverso, assumono nuovi e importanti
significati. Quando sono messi al centro di una comunità riunita per il culto e
quando vengono nuovamente narrate
L'altra idea sviluppata da Hoen è quella della commemorazione di Cristo in sua assenza. Hoen osserva che le parole: «questo è il mio corpo» sono immediatamente seguite dalle altre: «fate questo in memoria di me», quindi argomenta che il secondo gruppo di parole suggerisce esplicitamente la commemorazione di «una persona che è assente (per lo meno fisicamente assente».
Lutero reagì con molta freddezza alle idee contenute in questo scritto. Zwingli tra novembre e dicembre del 1524 sostenne con energia le idee di Hoen e l'anno seguente fece in modo che la lettera fosse pubblicata. Nell'estate del 1525 il dotto Ecolampadio, Riformatore di Basilea, si unì al dibattito pubblicando un libro in cui sosteneva che gli scrittori del periodo patristico non sapevano nulla della transustanziazione, né delle idee di Lutero sulla presenza reale, ma tendevano verso una posizione che veniva sempre più accostata al nome di Zwingli.
Zwingli sosteneva che la Scrittura usa diversi tipi di linguaggio, perciò la parola «è» significa talvolta: «è assolutamente identico a», ma altre volte vuoI dire: «rappresenta» o «significa». Nel suo trattato Sulla Cena del Signore (1526) egli scrive per esempio:
In tutta la Bibbia
troviamo delle figure retoriche, chiamate in greco tropos, ossia un parlare
metaforico, che va inteso in un senso diverso. Per esempio in Giov. 15 Cristo
dice: «lo sono la vite». Ciò significa che Cristo è come una pianta di vite
nei confronti di noi che siamo sostenuti e cresciamo in lui come i tralci
crescono dal ceppo [...]. Allo stesso modo, in Giov. 1, leggiamo: «Ecco
l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo». La prima parte del versetto
è un tropo, poiché Gesù non è un agnello in senso letterale. […] se le parole
di Cristo in Matteo 26: «questo è il mio corpo» possono essere intese
metaforicamente, o in tropice. È chiaro ormai che in quel contesto la parola
«è» non può essere intesa in senso letterale. Ne consegue che deve essere
compresa in senso figurativo o metaforico. Nelle parole: «questo è il mio
corpo», il termine «questo» indica il pane, e il termine «corpo» indica il
corpo che è stato messo a morte per noi. Perciò la parola «è» non può venir
presa in senso letterale, perché il pane non è il corpo.
Questa argomentazione venne sviluppata nel 1527 da
Ecolampadio, il quale sostenne che, «trattando di segni, sacramenti, immagini,
parabole e interpretazioni, occorrerebbe intendere le parole in senso figurato
e non in senso letterale. Nel 1527 Lutero reagì vigorosamente contro queste
idee con il suo scritto “Le parole di Cristo:
«Questo è il mio corpo rimangono ancora salde contro i fanatici”.
Per Zwingli è inconcepibile che il pane possa essere il corpo di Cristo.
Il sacramento è il segno
di qualcosa di santo. Quando dico: «Il sacramento del corpo del Signore» mi
riferisco semplicemente al pane che èsimbolo del corpo di Cristo, che fu messo
a morte a nostro favore [...]. Ma il vero corpo di Cristo è quello che è seduto
alla destra di Dio, e il sacramento del suo corpo è il pane e il sacramento
del suo sangue è il vino, cui partecipiamo con rendimento di grazie. Ma il
segno e la cosa significata non possono essere identici. Perciò il sacramento
del corpo di Cristo non può essere il corpo stesso17.
Un altro argomento
usato da Zwingli contro Lutero, e di cui si trova un cenno nel passo testé
citato, riguarda il luogo della presenza di Cristo. Per Lutero Cristo è
presente nel pane e nel vino, e chiunque riceve il pane e il vino riceve
Cristo. Ma Zwingli faceva notare che le confessioni di fede (i credi) e la
Scrittura dicono che Cristo è attualmente «seduto alla destra di Dio». Zwingli
non sapeva affatto dove fosse questo luogo, e non perse tempo per individuarlo,
ma - sosteneva - qualunque fosse, ciò implica che Cristo non è presente
corporalmente nell'eucaristia. Non può trovarsi in due luoghi nello stesso
tempo. Lutero sostiene invece che «la destra di Dio» è un' espressione
metaforica che non va presa alla lettera. Significa: «la sfera d'influenza di
Dio», o «il governo di Dio». Dire che «Cristo è seduto alla destra di Dio» non
significa affermare che Cristo sia situato in qualche preciso posto della
stratosfera, ma vuoI dire semplicemente che Cristo è presente lìdove Dio regna.
In questo
dibattito sulla presenza reale venne dunque ancora una volta in primo piano la
questione di sapere quali passi della Scrittura vadano interpretati
letteralmente e quali vadano intesi metaforicamente.
Lo stesso criterio va applicato all'idea di «nutrirsi di Cristo», un'immagine che ha una lunga e illustre storia nella prassi della chiesa cristiana e che è tradizionalmente collegata alla dottrina della transustanziazione. Se il pane è il corpo di Cristo, si può ben dire che mangiandolo il credente si nutre di Cristo. Zwingli insiste nell'affermare che tale immagine biblica va intesa in senso figurato come allusione alla fiducia che si ha in Dio per mezzo di Cristo.
Differenze tra Lutero e
Zwingli
1. Ambedue i Riformatori
rifiutarono lo schema sacramentale medievale dei sette sacramenti, mentre essi
insistevano sul fatto che i sacramenti sono solo due: il battesimo e la santa
Cena. Lutero aveva mantenuto in un
primo tempo l'idea che anche la confessione (o penitenza) fosse un sacramento,
per poi abbandonare questa opinione nel 1520.
2. Lutero
ritiene che la Parola di Dio e i sacramenti sono indissolubilmente uniti;
ambedue rendono testimonianza a Gesù Cristo e mediano il suo potere e la sua
presenza. I sacramenti possono quindi creare la fede, oltre a rafforzarla e
manifestarla. Per Zwingli è la Parola di Dio che crea la fede e i sacramenti
ne sono la pubblica manifestazione. La Parola e i sacramenti sono ben
distinti, e la Parola è la più importante.
3. I due
Riformatori mantengono la pratica tradizionale del battesimo dei neonati, ma
per ragioni molto diverse. Secondo Lutero i sacramenti possono suscitare la
fede, e quindi il battesimo può produrre la fede in un neonato. Secondo
Zwingli i sacramenti dimostrano la fedeltà e l'appartenenza a una comunità,
quindi il battesimo dimostra che quel bambino appartiene a una comunità.
4. Lutero è molto più
tradizionalista di Zwingli nel modo di considerare la celebrazione dell'
eucaristia. Nella sua opera principale di riforma della liturgia, L'ordine del
servizio divino nella comunità (1523), Lutero spiega chiaramente di essere
disposto a conservare il nome tradizionale di «messa», purché non sia
frainteso come se implicasse un sacrificio, e di autorizzarne la celebrazione settimanale, preferibilmente
in lingua corrente, come principale atto di culto della
domenica. Zwingli, invece,
abolì il nome di «messa» e propose che il corrispondente rito evangelico - la santa Cena - venisse celebrato
solo tre o quattro volte all' anno. Esso non costituiva più il centro del culto
cristiano. Lutero accresceva l'importanza della predicazione, ma nel contesto
dell' eucaristia; Zwingli sosteneva invece che quesì' accresciuta importanza
doveva eliminare la tradizionale celebrazione settimanale dell' eucaristia.
5. Lutero e Zwingli non poterono trovarsi d'accordo sul significato
delle parole: Hoc est corpus meum (Matteo 26,26), ritenute fondamentali nell'eucaristia.
Per Lutero est vuoI dire «è»; per Zwingli vuoI dire «significa». Dietro questo
disaccordo stanno due maniere molto diverse d'interpretare la Scrittura.
6.
Ambedue i Riformatori respingono la dottrina medievale della transustanziazione,
ma Lutero lo fa a motivo delle basi aristoteliche di quella dottrina, pur
essendo disposto ad accettarne il concetto di fondo, ossia la presenza reale di
Cristo all' eucaristia. Zwingli, invece, respinge sia il termine che l'idea:
nell'eucaristia Cristo viene commemorato mentre è assente corporalmente (ma
certo spiritualmente presente).
7.
Zwingli afferma che Cristo, stando attualmente alla destra di Dio, non può
essere personalmente presente altrove. Lutero liquida tale affermazione come
troppo rozza filosoficamente e sostiene l'idea che Cristo è presente senza
limiti di tempo e di spazio. La difesa che Lutero fa della «ubiquità di
Cristo» si basava su certe distinzioni proposte da Guglielmo d'Ockham; i suoi
oppositori ne dedussero che egli fosse ricaduto in unnuovo tipo di scolastica.
La disputa tra Lutero e
Zwingli è importante a livello teologico e a livello politico. Sul piano
teologico essa sollevò i dubbi più gravi riguardo al principio dell'assoluta
«chiarezza della Scrittura». Lutero e Zwingli non riuscirono a mettersi
d'accordo sul significato di frasi come: «Questo è il mio corpo» (che Lutero
interpretava in senso letterale e Zwingli in senso metaforico), o «alla destra
di Dio» (che, con evidente incoerenza dalle due parti, Lutero interpretava
invece metaforicamente e Zwingli letteralmente). L'ottimismo esegetico
degl'inizi della Riforma è naufragato su questo scoglio: la Scrittura -
evidentemente - non è affatto così semplice da interpretare.
Sul piano politico la
disputa consolidò la separazione permanente tra le due correnti evangeliche
della Riforma. Un tentativo di mediazione tra i due opposti punti di vista ebbe
luogo con il colloquio di Marburgo (1529), cui presero parte luminari quali
Lutero, Melantone, Bucero, Ecolampadio e Zwingli. Era ormai sempre più evidente
che, se la Riforma non fosse riuscita ad esprimere un grado elevato di
coesione interna, parecchie sue conquiste sarebbero andate perdute. I
cattolici non avevano potuto ancora intraprendere delle azioni militari contro
le città che avevano aderito alla Riforma a causa degli interminabili conflitti
dell'imperatore Carlo V con Francesco I di Francia, da un lato, e con il papa
Clemente VII, dall' altro. Nel 1529 quei contrasti si appianarono a poche
settimane di distanza l'uno dall'altro.[15]
Le due ali della Riforma si trovarono ad un tratto a dover affrontare una formidabile
minaccia politica e militare. La linea di condotta più ovvia sarebbe stata
quella di risolvere il loro dissidio interno: Bucero premeva in questo senso
sostenendo che gli evangelici dovevano tollerare le differenze, purché si
trovassero d'accordo nel riconoscere la Bibbia come sola norma e fonte della
fede. Illangravio protestante Filippo d'Assia, preoccupato per la nuova
situazione politica, fece incontrare Lutero e Zwingli nel salone del castello
di Marburgo in un estremo tentativo di risolvere il contrasto.[16]
Il tentativo naufragò su
un punto, e uno solo. Lutero e Zwingli riuscirono a trovarsi d'accordo su
quattordici articoli. Il quindicesimo era diviso in sei punti: si trovarono
d'accordo su cinque. Il sesto poneva delle difficoltà. Nel testo concordato
alla fine del Colloquio si legge:
Sebbene non abbiamo
raggiunto un accordo sul fatto se il vero corpo e sangue di Cristo siano
corporalmente presenti nel pane e nel vino, le due parti devono reciprocamente
dimostrarsi tutto l'amore consentito dalla loro coscienza e pregare
diligentemente l'Iddio onnipotente affinché, mediante il suo Spirito, ci
confermi nella retta comprensione delle cose.
Quest'unico punto rimase
dunque irrisolto: per Lutero Cristo è realmente (reaUter, da res, cosa,
materia, nel senso di corporalmente) presente nell'eucaristia, mentre per
Zwingli è presente solo spiritualmente, nel cuore e nel ricordo dei credenti.
La speranza di Filippo d'Assia di costituire un fronte evangelico unito contro
le forze cattoliche da poco raggruppate fu infranta e la credibilità politica
della Riforma ne risultò seriamente compromessa. Nel 1530 Carlo V stava ormai
riaffermando la propria autorità sulla Riforma tedesca, aiutato non poco dalle
conseguenze politiche del disaccordo tra Lutero e Zwingli sull' eucaristia.
Consapevoli di quanto
stava accadendo, i dirigenti protestanti cercarono di rimarginare le ferite al
più presto possibile. Vale la pena di ricordare uno dei tentativi più
significativi di definire una posizione protestante comune sui sacramenti: il
Consensus Tigurinus o Consenso di Zurigo, accettato nel maggio del 1549, tre
anni dopo la morte di Lutero. Tale documento, redatto dai maggiori dirigenti
della Riforma svizzera, francese e della Germania meridionale, tra cui
Giovanni Calvino e Heimich Bullinger (successore di Zwingli come principale
Riformatore della città di Zurigo), riuscì a stabilire un'importante area di
consenso nel protestantesimo che fino ad allora era rimasto diviso su tale
questione.
I sacramenti per Calvino
sono dei segni che manifestano una identità e senza sacramenti non c'è chiesa
cristiana. “Dove troviamo che la Parola di Dio è correttamente predicata ed
insegnata, e i sacramenti sono amministrati secondo l'istituzione di Cristo,
non possiamo dubitare che ivi esista la chiesa”. Ciò che costituisce la vera
chiesa non è dunque la qualità dei suoi membri, ma la presenza dei mezzi di
grazia autorizzati. Calvino stabilisce dunque che una delle “notae ecclesiae”
(o caratteri distintivi della chiesa) è l’amministrazione dei sacramenti, ma
subito dopo si vede obbligato a definire esattamente che cosa siano i veri
sacramenti secondo l'evangelo e come vadano intesi. Nell’accingersi a questo
compito Calvino era perfettamente consapevole delle divergenze esistenti tra
Lutero e Zwingli e si sforzò di trovare una via di mezzo tra quegli opposti
punti di vista. Calvino propose due definizioni di sacramento: “un simbolo
esterno mediante il quale il Signore imprime nelle nostre coscienze le sue promesse
di ben volere nei nostri riguardi, per rafforzare la nostra debole fede” e:
“un segno visibile di qualcosa di sacro, o una forma visibile di una grazia
invisibile”. La prima definizione è creazione di Calvino, la seconda la si deve
ad Agostino, ma Calvino la considerava troppo concisa perché potesse essere di
qualche utilità. Egli insisteva sul fatto che un sacramento si fonda “su una
promessa e un ordine del Signore”. Per Calvino i sacramenti sono modi con cui Dio
nella sua grazia, tiene conto della nostra debolezza e si adatta alle nostre
limitazioni:
Il
sacramento non esiste se non viene preceduto dalla Parola di Dio, anzi si
aggiunge ad essa quasi appendice per significarla, attestarla, certificarla a
noi in modo più pieno [...]. Sì piccola e debole e rachitica è la nostra fede
che può essere all'improvviso scossa, agitata e vacillante, qualora non
sia puntellata da ogni lato e sostenuta in tutti i modi. Ed essendo noi così ignoranti
e radica ti nelle realtà terrestri, e carnali da non essere in grado di intendere né di
concepire alcunché di spirituale, il Signore misericordioso si adegua in
questo alla ignoranza della nostra natura, conducendoci a sé per mezzo di
questi elementi terreni, e ci fa contemplare anche nella carne, come in uno
specchio, i suoi doni spirituali.[17]
Il
centro del dibattito tra Lutero e Zwingli riguardava il rapporto tra il segno
sacramentale e il dono spirituale che esso significa. Si può dire che Calvino
occupi una posizione più o meno intermedia tra quei due estremi. Nei
sacramenti, afferma, c'è un rapporto talmente stretto tra il simbolo e il dono
simboleggiato che «possiamo passare facilmente dall'uno all'altro». Il segno è
visibile e fisico, mentre la cosa significata è invisibile e spirituale;
tuttavia, a causa dell'intimo rapporto tra segno e cosa significata, si può applicare
l'uno all'altra. Di modo che la cosa significata è effettuata dal segno. Quando i credenti vedono
dei simboli stabiliti dal Signore devono pensare ed essere convinti che la
verità della cosa significata vi è presente. Dio mette al nostro cospetto il
simbolo del suo corpo per darci la certezza che partecipiamo realmente ad esso
e quando riceviamo il simbolo del corpo abbiamo la certezza che il corpo stesso
ci è ugualmente dato. Calvino in tal modo manteneva la distinzione tra segno e
cosa significata, pur insistendo sul fatto che il segno indica realmente la
cosa significata:
Dico perciò... che il
sacro mistero della Cena del Signore consiste in due cose: un segno fisico che,
quando ci è messo dinanzi agli occhi raffigura per noi, secondo le nostre
deboli capacità, delle cose invisibili; e inoltre una verità spirituale che è
al tempo stesso rappresentata ed esibita dai simboli stessi.
La posizione di Calvino è non solo un esercizio di
diplomazia ecclesiastica allo scopo di conciliare i punti di vista di Zwingli e
di Lutero, ma rispecchia piuttosto il suo modo d'intendere la maniera in cui
ci è trasmessa la conoscenza di Dio. In tutte le sue riflessioni sul rapporto tra Dio e
l'umanità, Calvino assume a modello l'incarnazione del Cristo, cioè l'unione (e
non fusione) della divinità e dell'umanità nella persona di Gesù Cristo. Calvino si appella alla formula cristologica
“distinctio sed non separatio”, le nature in Cristo si possono distinguere ma
non separare. Allo stesso modo la “conoscenza di Dio” e la “conoscenza di noi
stessi” possono essere distinte, ma non isolate l'una dall'altra. La teologia ha come
elemento centrale “la conoscenza di Dio e la conoscenza di noi stessi”, lo
schema del “distinguere senza separare” identifica il tipico modo calviniano
pensare le relazioni di Dio. Tale principio lo si può vedere all' opera
nella Istituzione della Religione Cristiana: nel rapporto tra la Parola di Dio
e le parole degli esseri umani, nella predicazione, nel rapporto tra il
credente e Cristo nella giustificazione, nel rapporto tra il potere secolare e
quello spirituale. Nel caso dei sacramenti si possono distinguere, ma non
separare, il segno e la cosa significata, diversi ma pur sempre inseparabili.
Il concetto
calviniano del battesimo sembra fondere assieme elementi zwingliani e luterani.
Inclinando verso la posizione zwingliana, Calvino considera il battesimo una
pubblica dimostrazione di fedeltà a Dio: “Il battesimo è il segno
dell'iniziazione per cui siamo accolti nella società della chiesa”. Come
Zwingli aveva affermato che i sacramenti sono prima di tutto degli eventi
ecclesiastici che servono a dimostrare la fedeltà dei credenti alla chiesa e
alla società, così Calvino sottolinea la funzione dichiaratoria del sacramento
del battesimo. Ma vi include al tempo stesso l'insistenza tipicamente luterana
del battesimo come segno della remissione dei peccati e della nuova vita in
Gesù Cristo: “Il battesimo reca ancora un altro beneficio in quanto mostra che
siamo morti con Cristo per avere nuova vita in lui... Pertanto il libero
perdono dei peccati e l'imputazione della giustizia ci sono promessi in primo
luogo, e poi la grazia dello Spirito santo per trasformarci a novità di vita”.
Calvino sosteneva, con gli altri Riformatori
classici, la validità del battesimo dei neonati. Affermava che tale pratica
era una tradizione autentica della chiesa primitiva e non uno sviluppo
medievale tardivo. Zwingli aveva giustificato quella prassi richiamandosi al
rito giudaico della circoncisione. Con questo rito, diceva, si dimostrava che i
maschietti erano membri della comunità del patto. Allo stesso modo il
battesimo è il segno dell' appartenenza di un bambino - maschio o femmina -
alla chiesa, la comunità del nuovo patto. La crescente influenza degli
anabattisti, che Calvino aveva conosciuto per la prima volta durante il suo
soggiorno strasburghese, dimostrava la necessità di giustificare la prassi del
battesimo degli infanti, che gli anabattisti rifiutavano categoricamente.
Calvino dunque riprese, ampliandola, la giustificazione di Zwingli sul
battesimo dei bambini come patto: se i bambini cristiani non possono essere
battezzati si trovano in posizione svantaggiata rispetto ai bambini ebrei che,
mediante la circoncisione, sono pubblicamente e visibilmente incorporati nella
comunità del patto:
“Altrimenti, se ci è tolta la testimonianza per cui gli ebrei hanno la
certezza della salvezza della loro discendenza, la venuta di Cristo avrebbe
come risultato di rendere la grazia di Dio più oscura e meno chiaramente
attestata a noi di quanto non lo fosse agli ebrei prima di noi». Calvino
sosteneva quindi che i neonati vanno battezzati e non devono essere privati
dei benefici che quell'atto reca con sé.”
Nel discutere dell' eucaristia Calvino distingueva tre
aspetti della verità spirituale che ci è presentata (monstretur) ed offerta per
mezzo degli elementi visibili del pane e del vino. TI suo significato sono le
promesse divine che sono incluse e ricomprese nel segno stesso; ai credenti
viene data, specie per mezzo delle parole dell'istituzione, la certezza che il
corpo di Cristo è stato rotto e il suo sangue sparso per loro. Il sacramento
«conferma la promessa in cui Cristo assicura che la sua carne è vero cibo e il
suo sangue vera bevanda e che essi ci nutrono per la vita eterna». La sostanza
o materia dell' eucaristia riguarda il fatto che noi riceviamo il corpo di
Cristo: Dio ci comunica ciò che ci aveva promesso. Nel ricevere i segni del
corpo di Cristo (ossia il pane) riceviamo veramente al tempo stesso il corpo
di Cristo. Infine la virtù o effetto dell'eucaristia si trova nei beneficia
Christi, i benefici che Cristo ha ottenuto a favore del credente mediante la
sua obbedienza. Per fede il credente partecipa a tutti i benefici di Cristo,
quali la redenzione, la giustizia e la vita eterna. I sacramenti, infine,
incoraggiano i cristiani a valorizzare il creato. Gli elementi materiali
possono significare la grazia, la generosità e la bontà di Dio. Tale idea è
fortemente radicata nella dottrina calviniana della creazione. Per lui la
creazione rispecchia in ogni aspetto il suo Creatore. Passa dinanzi ai nostri
occhi un gran numero d'immagini con le quali Calvino cerca di far capire i
moltissimi modi in cui il creato rende testimonianza al suo Creatore; è come
un vestito visibile che il Dio invisibile indossa per farsi conoscere; è come
un libro in cui il nome del Creatore è indicato come nome dell'autore; è come
un teatro, in cui la gloria di Dio si manifesta pubblicamente; è come uno
specchio, in cui si riflettono le opere e la sapienza di Dio.
Tutto ciò ci fornisce nuovi motivi per godere della natura. Calvino è
stato
spesso dipinto come un ascetico guastafeste, tutto intento a impedire ad ogni
costo che i credenti se la godano; in realtà egli si preoccupa sinceramente di
sottolineare che il creato è stato fatto perché possiamo goderne, e non
semplicemente perché ci faccia sopravvivere. Calvino cita il Salmo 104,15 per
dire che Dio ha creato il vino per rallegrare i cuori umani. Il cibo non serve
soltanto ad assicurarsi la sopravvivenza, ma è anche qualcosa di buono, che va
apprezzato.
Dio non si limita a
provvedere alle nostre necessità e a concederei tutto quello che occorre per i
bisogni ordinari della vita, ma, nella sua bontà, ei tratta in modo ancor più
generoso rallegrando i nostri cuori con vino e olio. Dal punto di vista
naturale basterebbe bere acqua! L'aggiunta del vino si deve dunque alla
straordinaria generosità di Di
Inoltre tutto ciò che in modi diversi si
riconnette con il vino riceve un nuovo significato mediante la comunione, come
nota Calvino nel suo Piccolo trattato sulla Santa Cena24, del 1541:
Quando il vino ci viene
presentato come simbolo del sangue dobbiamo riflettere ai benefici che il vino
reca al corpo umano. Ci rendiamo conto allora che quegli stessi benefici ci
sono conferiti spiritualmente dal sangue di Cristo. Tali benefici consistono
nel nutrire, ristorare, fortificare e rallegrare.
Nell'Istituzione Calvino si sofferma a lungo su
questo tema sottolineando la nostra capacità di apprezzare e godere delle cose
buone della vita. «Tutte le cose sono state fatte per noi affinché ne possiamo
conoscere e riconoscere l'Autore e lodare la sua bontà nei nostri confronti
rendendogli grazie». Pertanto il pane e il vino dell' eucaristia ci parlano non
soltanto dell'atto compiuto da Dio per redimere il mondo in Cristo, ma anche
del suo precedente atto creatore, mediante il quale è stato posto in essere un
mondo di cui possiamo godere.
[1] M. Lutero, La cattività babilonese della chiesa (1520), in Scritti politici cit.,
pp. 253-4]. Il brano fa uso di alcuni testi biblici; soprattutto sono
importanti: Matteo 26,26-28; Luca 22,19-20; I Corinzi 11,24.
Per ulteriori particolari vedi anche Basil HALL, «Hoc est corpus meum»: The Centrality of the
Real Presence far Luther, in Luther: Theologian far Catholics and Protestants, a cura
di George Yule, Edimburgo, 1985, pp. 112-144.
[2] M. Lutero, Sermone sul venerabile sacramento del santo vero corpo di Cristo e sulle confraternite, trad. di G. Miegge, in Scritti religiosi, a cura di V. Vinay, Torino, UTET, 19862, pp. 301-302
[3] Enrico VIII d'Inghilterra ottenne dal papa, in
seguito a sua richiesta, il titolo di Fidei Defensor “difensore della fede”
per il suo scritto antiluterano Assertio septem sacramentorum, in cui
riaffermava l'esistenza di sette sacramenti. Quel titolo, che appare tuttora
sulle monete inglesi con l'abbreviazione F.D., costituisce la risposta
polemica alle tesi sviluppate da Lutero ne La cattività babilonese della
chiesa.
[4] M. Lutero, La cattività babilonese della chiesa
(1520), in Scritti politici cit., p. 234.
[5] Nella
messa o culto di comunione sono proclamate efficaci le promesse di grazia e di
perdono. Si tratta di «una promessa di perdono dei peccati che ci è stata fatta
da Dio e che è stata confermata dalla morte del Figlio di Dio». La comunità dei
credenti proclamando la morte di Cristo, afferma che le preziose promesse di
perdono e di vita eterna sono divenute effettive per coloro che hanno la fede.
Tre elementi debbono sostanziare la
liturgia:
1. afferma le promesse di grazia e di perdono;
2. identifica coloro ai quali tali promesse sono
fatte;
3. annunzia la morte di colui che ha fatto quelle
promesse.
Vedi dunque che ciò che noi chiamiamo messa è la promessa della remissione dei peccati, promessa fatta da Dio, e rafforzata dalla morte del Figlio di Dio. Promessa e testamento non differiscono se non in quanto il secondo comporta la morte del testatore [...]. Se Dio ha fatto un testamento, significa che ha dovuto affrontare la morte: e non avrebbe potuto morire, se non si fosse incarnato: così nella parola testamento brevemente si comprende l'incarnazione e la morte di Cristo.” Da “La cattività babilonese della chiesa” in Scritti Politici pag. 234
[6] I valdesi medievali seguirono in genere la prospettiva donatista, mentre Lutero e i Riformatori classici seguirono la prospettiva agostiniana.
[7] Ibid., p. 238
[8] Tra gli altri testi importanti
di cui si è servito Lutero si notano: I Cor. 10,16-33; 11,26-34. Vedasi David C. Steinmetz, Scripture and the Lord's
Supper in Luther's Theology, in Luther in Context, Bloomington, Ind., 1986, pp.
72-84. Vedi anche P. Ricca, Lutero e Zwingli: la Cena, in AA.VV,
Lutero nel suo e nel nostro tempo, Torino, Claudiana, 1983, pp. 227-245.
[9] Ibid., p.
250.
[10] Ibid., pp. 254-255
[11] Non bisogna dimenticare che Zwingli era
cappellano delle milizie della Confederazione svizzera e fu testimone della
disastrosa disfatta di Marignano, inflitta dai francesi nel settembre 1515.
[12]
Zwingli usa il vocabolo tedesco
Pflichtzeichen, ossia «segno di fedeltà», per designare l'essenza del
sacramento.
[13]
Zwingli and
Bullinger, a cura di G.W. Bromiley, Library of Christian Classics, 24, Filadelfia,
1953, p. 131.
[14]
S.
Caponetto, La metafora dell'anello nella dottrina
della Santa Cena di Huldrych Zwingli, "Protestantesimo"
48, 1993, n. 4, pp. 318-320
[15] Papa Clemente VII accettò la pace a Barcellona il 29 giugno; il re di Francia venne a un accordo con Carlo V il 3 agosto. Il Colloquio di Marburgo ebbe luogo dal 1 o al 5 ottobre 1529.
[16] Per un ottimo resoconto del Colloquio di Marburgo, vedi: G. R. Potter, Zwingli, Cambridge, 1976, pp. 316-342. In italiano: P. Ricca, Lutero e Zwingli: la Cena.