Il
Donatismo e la disputa sull’unità della chiesa
Sotto l'imperatore romano Diocleziano (284-313),
la chiesa cristiana sperimentò a partire dal 303 d.C., un periodo di dure
persecuzioni. La fine di tale periodo coincise con la conversione di Costantino
e l'emanazione dell'editto di Milano nel 313. Diocleziano con un editto del
febbraio 303, ordinava di consegnare affinché fossero bruciati i libri
cristiani e di demolire i locali di culto. Coloro che consegnarono i libri per
essere bruciati furono chiamati traditores, un termine latino che significa “coloro che consegnano” (da tradere).
Uno dei tanti “traditori” fu un certo Felice di Aptunga, che nel 311, consacrò
Ceciliano vescovo di Cartagine.
Molti cristiani del luogo si indignarono per il fatto che
a Felice, nonostante i propri trascorsi di persona che aveva rinnegato con il
proprio gesto la fede cristiana, fosse stato permesso di compiere quella
consacrazione e per protesta non accettarono l'autorità di Ceciliano. Tale
protesta era tesa a sottolineare come la legittimità della stessa gerarchia
ecclesiastica, doveva essere messa in dubbio nel momento in cui la “purezza”
morale dei propri membri veniva meno. I donatisti credevano che a causa dei
traditores, l'intero sistema sacramentale della chiesa si fosse corrotto. Era
quindi necessario sostituire i traditores con persone che nonostante la
persecuzione, erano rimaste ferme nella loro fede. Era anche necessario
ribattezzare e ri-ordinare tutti coloro che erano stati battezzati e ordinati
dai traditores. Inevitabilmente, questo comportò la formazione di una
fazione scissionista. Agostino tornò in Africa nel 388 e comprese che
coloro che aderivano a tale prospettiva erano la maggioranza dei credenti.
Aspetti sociologici turbavano la comprensione del problema teologico; i
donatisti (così chiamati dal responsabile della scissione, Donato) ricercavano
il sostegno della popolazione berbera, mentre i cattolici puntavano a
raccogliere consenso presso i colonizzatori romani.
Tanto i Donatisti quanto i cattolici si rifacevano
agli insegnamenti di Cipriano di Cartagine, un vescovo africano del III sec.
D.C., che nella sua opera del 251: De catholicae ecclesiae unitate aveva
in campo ecclesiologico stabilito due punti fra loro collegati:
1) lo scisma è sempre ingiustificato.
L'unità della chiesa non può mai, con alcun pretesto, essere spezzata. Pertanto
“staccarsi” dalla chiesa significa perdere ogni possibilità di salvezza.
2) i vescovi caduti (fapsi)
o scismatici non possono amministrare i sacramenti, né pasturare la
comunità. Non si può permettere loro di ordinare presbiteri o vescovi e
pertanto chi è stato da loro ordinato deve essere considerato illegittimo, chi
è stato da loro battezzato deve ripetere il battesimo.
Ma che cosa succede se un vescovo che è stato
debole durante le persecuzioni, successivamente si pente? Cipriano in modo
piuttosto contraddittorio afferma:
1. Con il cedimento, il vescovo ha apostatato e dunque ha
peccato. Pertanto ha perduto la propria autorità e non può più curare la
comunità dei credenti e amministrare i sacramenti.
2. Se il vescovo si pente della
propria apostasia, viene perdonato da Dio e riacquista pertanto le proprie
prerogative.
I donatisti ritennero giusto adottare soltanto la prima posizione, mentre i cattolici adottarono anche la seconda. I donatisti sottolineavano il carattere scandaloso dell'apostasia, mentre i cattolici consideravano inammissibile lo scisma. Agostino riuscì a risolvere la situazione sottolineando la peccaminosità dei cristiani. La chiesa non è una società di soli santi, ma un «corpo misto» (corpus permixtum) di santi e peccatori. Agostino a supporto di tale tesi si richiama a due parabole di Gesù: la parabola della rete che cattura molti pesci, e la parabola del grano e della zizzania (Matteo 13:24-31). Quest'ultima narra di un agricoltore che dopo avere seminato scopre che le piante che crescono includono sia grano sia zizzania (erbacce). Cercare di separare le spighe dall'erbaccia mentre le due piante sono ancora nella fase di crescita comporterebbe il danneggiamento delle piante di grano. Ma al momento del raccolto grano e zizzania possono essere separate senza alcun pericolo di danneggiare il grano. I due tipi di pianta rappresentano i buoni e i cattivi, presenti nella chiesa del Signore, essi potranno essere riconosciuti e separati solo alla fine dei tempi e non nel corso della storia. Prima di allora nessun essere umano può operare tale separazione al posto di Dio. Per Agostino la santità della chiesa non è quella dei suoi membri, ma quella di Cristo. La chiesa non può essere la congregazione dei santi in questo mondo, in quanto i suoi membri sono contaminati dal peccato originale. Ciononostante la chiesa è santificata e resa santa da Cristo, tale santità diverrà perfetta e pienamente visibile solo al giudizio finale. A sostegno della propria tesi, Agostino fa notare come gli stessi donatisti non vivevano del tutto in linea con i loro elevati princìpi morali.
Agostino sostiene che lo scisma e la traditio (la consegna dei libri cristiani, od ogni altra forma di caduta dalla fede) sono ambedue peccato, ma che per Cipriano, lo scisma è di gran lunga il peccato più grave. I donatisti sono quindi colpevoli di un grave travisamento dell'insegnamento del grande vescovo martire nordafricano. ll donatismo è un errore fatale. La chiesa è un corpo misto, il peccato è un aspetto inevitabile della vita della chiesa nell' età presente e non può essere la giustificazione di uno scisma.
La Riforma e la
concezione della chiesa
Lutero nutrì a lungo una
profonda avversione per lo scisma. All'inizio del 1519 scriveva: “Purtroppo vi
sono a Roma molte cose che è impossibile migliorare, ma non c'è, e non può
esserci, alcuna ragione per separarsi dalla chiesa con lo scisma. Anzi, quanto
più la situazione si aggrava, tanto più ognuno dovrebbe aiutare e soccorrere la
chiesa, perché lo scisma e il disprezzo non pongono rimedio a nulla”. Le idee
di Lutero su questo punto somigliano a quelle di molti altri gruppi
riformistici in tutta Europa secondo le quali la chiesa doveva essere riformata
dall'interno, tale illusione durò sino al 1541 ai Colloqui di Ratisbona, quando
teologi protestanti e cattolici compresero che le rispettive posizioni erano
irreconciliabili. Nel 1545 si riunì il
Concilio di Trento, che intendeva istituire un grandioso programma
riformistico al proprio interno e antiriformistico in rapporto al
protestantesimo. Solo alcuni membri del Concilio (Reginald Pole e Giovanni
Morone) avevano sperato che il Tridentino si sarebbe dimostrato conciliante
verso i protestanti. La chiesa protestante si rese conto che la propria
esistenza separata non era temporanea ma permanente e pertanto doveva
giustificare la propria esitenza a fronte della chiesa cattolica romana. Fu questo il problema che preoccupò
la seconda generazione dei Riformatori. Lutero aveva concentrato la sua attenzione
sul problema: «Come posso trovare un Dio che abbia misericordia di me?», i
suoi successori affrontarono la questione: «Dove posso trovare la vera
chiesa?».
I primi Riformatori erano convinti che la chiesa
medievale si era corrotta poichè la dottrina biblca aveva subito distorsioni.
Inizialmente l'idea che Lutero si faceva della chiesa rispecchiava
l'importanza che egli attribuiva alla Parola di Dio:
Ora, ovunque tu oda o
veda [la Parola di Dio] predicata, creduta, confessata e messa in
pratica, non puoi dubitare che là vi sia la vera ecclesia sancta
catholica, un «santo popolo cristiano», per quanto pochi ve ne si trovino là.
Poiché la parola di Dio «non torna indietro a vuoto» (Isaia 55,11), ma deve
prender possesso almeno di un quarto o di una parte del campo. E quand'anche
non vi fosse altro segno che questo solo, esso sarebbe sufficiente a dar prova
che là esiste un santo popolo cristiano, perché non vi può essere Parola di Dio
senza popolo di Dio, e per converso non vi può essere popolo di Dio senza
Parola di Dio. Chi mai infatti predicherebbe la Parola, o chi la udirebbe, se
non vi fosse alcun popolo di Dio? E che cosa mai potrebbe o vorrebbe credere il
popolo di Dio, se non vi fosse parola di Dio?[1].
Pertanto, per salvaguardare l'esistenza della
chiesa, non è necessario un sacerdozio ordinato nella successione apostolica,
mentre invece la predicazione dell'evangelo è indispensabile all'identità della
chiesa: «Dove c'è la Parola, c'è la fede; e dove c'è la fede, c'è la vera
chiesa». La chiesa visibile è fondata dalla predicazione della Parola di Dio:
nessuna assemblea umana può pretendere di essere la «chiesa di Dio» se non è
basata sull' evangelo. Ciò che legittima la chiesa o i suoi ministri non è la
continuità storica con la chiesa apostolica, tramite la successione,
bensì la continuità teologica. È più importante predicare lo stesso
evangelo annunciato dagli apostoli che appartenere a un'istituzione
storicamente derivata da loro. Una concezione analoga della chiesa si trova in
Filippo Melantone, collega ed amico di Lutero a Wittenberg, che intendeva la
chiesa, fondamentalmente, in base alle sue funzioni di amministrare i mezzi di
grazia.
Lutero sosteneva anche che la distinzione
medievale tra clero e laici, fosse funzionale non ontologica. Ogni cristiano è
sacerdote in virtù del suo battesimo, della sua fede e dell'evangelo, una
dottrina indicata spesso con il termine: “sacerdozio universale dei credenti”.
La distinzione visibile fra i cristiani è dovuta ai diversi «uffici» o
«funzioni» (ampt) e all' «opera» o alla «responsabilità» (werck) dei
quali sono incaricati. I sacerdoti vanno visti come persone che assumono un
«ufficio»; i privilegi e le funzioni connessi a questa funzione possono
esistere solo se accettati da coloro che hanno conferito l'incarico o eletto la
persona. Lutero è molto esplicito sul fatto che un sacerdote in pensione, o
deposto, ritorna al ruolo di laico.
Hanno avuto la trovata
di chiamare ecclesiastici (geistlich stand) i papi, i vescovi, i preti e
gli abita tori dei conventi, laici (weltlich stand) invece i prìncipi,
i signori, i commercianti e i contadini; la qual cosa è una finissima ed
ipocrita costumanza, ma nessuno si lasci abbindolare da essa, e per le seguenti
ragioni: i cristiani tutti appartengono allo stesso stato ecclesiastico, né esiste tra loro
differenza alcuna, se non quella dell'ufficio (ampt) proprio a ciascuno [...].
Tutti abbiamo uno stesso battesimo, uno stesso Vangelo, una stessa fede e
siamo tutti cristiani allo stesso modo. Il battesimo, il Vangelo e la fede,
infatti, ci fanno tutti religiosi e tutti cristiani. [...] Infatti siamo tutti
consacrati sacerdoti dal battesimo, come dice San Pietro (I Pie. 2,9): «Voi
siete un regal sacerdozio ed un regno sacro»; e l'Apocalisse [Apoc. 5,10]:
«Col tuo sangue ci hai fatti sacerdoti e re». [...]
Per la qual cosa la
condizione di un sacerdote (ein prister stand) non dovrebbe differire
da quella d'un qualsivoglia magistrato (amptman): finché adempie al suo
ministero è in posizione eminente, ma, deposto che sia, altra cosa non è che
contadino o cittadino come gli altri. [...]
Ne deriva che laici o
preti, prìncipi o vescovi, o come essi dicono mondani o ecclesiastici, in
fondo vi è tra loro differenza alcuna, se ne togli quella propria all' ufficio
o all' opera di ciascuno (den des ampts odder wercks Izalben), non già alla condizione (stand); infatti essi sono
tutti del medesimo ordine religioso e veri preti, vescovi e papi, sebbene non
coi medesimi uffici.[2]
La Riforma radicale e la
chiesa
Lutero e Calvino, sono concordi nel considerare la chiesa medievale come
cristiana; il problema è che questa aveva imboccato una strada sbagliata e
necessitava di essere riformata.
Gli esponenti della Riforma radicale, invece, non
condividevano questa posizione. Per costoro la chiesa semplicemente non
esisteva più. Secondo Sebastian Franck, per esempio, la chiesa apostolica era
totalmente degenerata a causa dei suoi stretti rapporti con lo Stato, che
risalivano alla conversione di Costantino. La chiesa, in quanto istituzione,
era decaduta per le lotte di potere e le ambizioni degli uomini. Pranck
scriveva:
lo credo che la chiesa
esteriore, inclusi tutti i suoi doni e sacramenti, a motivo dell'irruzione e
della devastazione dell' Anticristo, appena dopo la morte degli apostoli è
salita in cielo e giace nascosta nello spirito e nella verità. [...] Sostengo
contro tutti i dottori, che tutte le cose esteriori e le cerimonie che erano
proprie della chiesa degli apostoli sono per sempre cessate e non debbono
essere restituite, sebbene molti senza essere mandati o chiamati siano intenti
a restaurare per proprio conto i degenerati sacramenti (fapsa sacramenta). Poiché la chiesa rimarrà
dispersa tra i pagani sino alla fine del mondo. Infatti soltanto 1'Avvento di
Cristo alla fine distruggerà e toglierà di mezzo l'Anticristo e la sua chiesa.
[...] Le opere [di coloro che hanno compreso ciò] sono state soppresse quali
eresie e cialtronerie di senza-dio; mentre si boriano per la elevata posizione
data ai pazzi Ambrosio, Agostino, Gerolamo, Gregario, dei quali nemmeno uno
conosce Cristo e nessuno è stato mandato da Dio a insegnare. Piuttosto, essi
sono tutti apostoli dell' Anticristo[3].
La maggior parte dei «radicali» erano estremamente
coerenti nell' applicare il principio del sola Scriptura: furono altrettanto
coerenti nel considerare la chiesa istituzionale: la vera chiesa è in
cielo; in terra ci sono solo le sue parodie istituzionali8.
È perciò chiaro che l'ala radicale della Riforma
non era interessata a parlare di riforma della chiesa. Se questa aveva cessato
di esistere si doveva parlare più di restaurazione che di rinnovamento. Per i
movimenti radicali il punto centrale era che la vera chiesa aveva cessato di
esistere. Tentando di riformare la chiesa medievale, Lutero aveva solo
cambiato l'apparenza di un'istituzione corrotta che non aveva più il diritto
di chiamarsi chiesa cristiana. Menno Simons espresse questo concetto nel suo
scritto del 1552, La confessione dei cristiani afflitti (The Confession of
Distressed Christians):
Lo splendore del sole
non ha più brillato per molti anni [...]. Ma in questi ultimi tempi il grande
Dio, pieno di grazia e per i ricchi tesori del suo amore, ha nuovamente aperto
le finestre del cielo e lasciato cadere la rugiada della sua divina parola,
cosicché la terra, come in passato, ha nuovamente prodotto i suoi verdi rami e
piante di giustizia, che portano frutto per il Signore e glorificano il suo
grande e adorabile nome. La sacra parola e i sacramenti del Signore risorgono
nuovamente dalla cenere.[4]
È chiaro che la concezione dei radicali sulla
chiesa è più affine a quella dei donatisti che a quella di Agostino. Per Menno
Simons la chiesa è «un' assemblea di giusti», un corpo puro non contaminato
dal peccato. Al contrario delle chiese riconosciute dallo Stato, che godono dei
suoi privilegi, la vera chiesa è assolutamente pura e rigenerata.
La vera congregazione di
Cristo consta di coloro che sono sinceramente convertiti, che sono nati
dall'alto, da Dio, che hanno una mente rigenerata dall'opera dello Spirito
santo tramite l'ascolto della Parola di Dio, e sono diventati i figli di Dio,
obbediscono a Lui, vivono in maniera irreprensibile i suoi santi comandamenti
e vivono tutti i loro giorni, o a partire dalla loro vocazione, in accordo con
il Suo volere.
Si nota come il tema della disciplina all'interno
della chiesa sia molto importante
per i leaders
radicali. La disciplina è
il mezzo mediante il quale la purità dottrinale e morale può essere rafforzata nella
chiesa. Il «bando» (vedi pp. 244 s.) serve a garantire la purità della chiesa e
ad allontanare coloro che potrebbero contaminare o compromettere la
congregazione sotto questo punto di vista.
L'impostazione data dai radicali alla dottrina
della chiesa era fortemente coerente e costituì una seria sfida per i
principali Riformatori, in particolare Lutero, che elaborarono una
ecclesiologia del «corpo misto», seguirono cioè le orme di Agostino, includendo
nella chiesa sia santi sia peccatori.
[1]M. LUTERO, Secondo la Scrittura un'assemblea o comunità cristiana ha il diritto e la facoltà di giudicare ogni dottrina e di chiamare, insediare e destituire i dottori (1523), trad. ita1., in Scritti religiosi, a cura di V. VINAY, Torino, UTET, 19862, p. 641.
[2] M. LUTERO, Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca, in Scritti politici cit., pp. 130-132.
[3] Lettera a Johannes Campanus, 1531, in: B. BECKER, Fragment van Francks latijnse briejaan Campanus, "Nederlands Archie£ voor Kerkegeschiedenis" 46 (1964-65), pp. 197205.
[4] Complete Writings ojMenno Simons, a cura diJ.C Wenger, Scottsdale, PA, 1956, p. 502.