Creati
a Sua immagine
Il racconto di Genesi 1 converge verso la creazione dell’uomo, e
mentre la creazione di tutte le altre creature è presentata in modo sommario
(addirittura nulla è detto a proposito della creazione degli angeli), all’uomo
è destinata una più larga descrizione che diviene ancora più particolareggiata
in Genesi 2.
Riflettendo sulla natura di Adamo dobbiamo guardarci da due estremi,
immaginarlo come un bambino innocente che deve giungere a maturità, o come un
essere maturo nel corpo ma non in possesso di maturità spirituale e pertanto in
posizione neutrale rispetto al vero e al falso o alla verità e all’errore. In
realtà Dio crea l’uomo con una dignità superiore a quella delle altre creature,
cosa testimoniata dal fatto che Dio porta queste ultime semplicemente
all’esistenza tramite la propria parola. Nel creare l’uomo, Dio prima
conferisce con Sè medesimo decidendo di porlo in essere a “propria immagine e
somiglianza”. Tale caratteristica pone l’uomo in una speciale relazione tanto
nei confronti di Dio, quanto rispetto a tutte le altre creature (angeli
compresi). La posizione di preminenza dell’uomo non deve essere come disprezzo
della vita animale, che condivide con l’uomo lo stesso mistero della vita. Va
ricordato che il significato della vita animale non si esaurisce nel servizio
dell’uomo (carne, pelliccia, compagnia), ma nel mandato ricevuto dall’uomo di
sottomettere e dominare la terra. In tal modo essi assumono rilievo per la
scienza, l’arte e la moralità. Dio ha in generale molto da dirci attraverso gli
animali, come attraverso l’intera creazione, animata e inanimata. Botanica e
zoologia non saranno mai disprezzate da un credente. Ad esempio gli animali da
sempre sono considerati simboli della virtù e del vizio: il cane della fedeltà,
il ragno della industriosità, il leone del coraggio, l’agnello dell’innocenza,
la colomba della purezza, la volpe della furbizia, il verme della miseria, la
tigre della crudeltà, il maiale della bassezza, la scimmia alla caricatura
dell’uomo.
Le Scritture
enfatizzano che Dio creò non un uomo, ma gli uomini a propria “immagine e
somiglianza”. In Genesi 1:27 maschio e femmina sono i portatori dell’immagine
di Dio, e secondo il senso del v. 28, la benedizione pronunciata su loro è
anche per la loro posterità. Le Scritture sottolineano come il senso di questa
immagine deve esprimersi nel dominio su tutti gli esseri viventi e nella
soggezione a Dio dell’intera terra. L’uomo è creato figlio di Dio ed erede
della terra. In Gen. 1 l’uomo è presentato come l’ultima creatura chiamata
all’esistenza dall’onnipotenza di Dio, l’enfasi è posta sull’uomo come fine o
scopo della creazione. In Gen. 2, la narrazione comincia con la creazione e la
vocazione dell’uomo, l’enfasi è sul cominciamento della storia.
In Gen. 2 vi sono
almeno tre elementi concernenti l’origine dell’uomo che sono un’ulteriore
rielaborazione di quanto contenuto in Gen. 1: A) è affrontata la questione
della prima abitazione dell’uomo. In Gen. 1 ciascuna creatura viene posta in un
luogo specifico, mentre solo in Gen. 2 è affrontato il medesimo problema in
relazione all’uomo, per il quale Dio piantò un giardino in Eden ad est della
Palestina. Il giardino produceva alberi da frutta, due di questi sono designati
per nome e sono nel centro del giardino. Il giardino era attraversato da un
fiume che aveva origine a nord di Eden e che si divideva in quattro rami:
Pishon, Gihon, Tigri ed Eufrate. La
culla dell’umanità doveva essere in un qualche punto tra l’Armenia al nord e
Babilonia al sud. B) In origine il primo uomo era semplicemente chiamato “uomo”
(ha-adam), perché era solo e non vi era alcun altro come lui, solo in
Gen. 4:25 il nome di Adamo appare senza articolo a sottolineare che l’uomo era
divenuto un individuo. Ciò una volta di più sottolinea che il primo uomo era il
rappresentante dell’intera razza, con un duplice compito da esprimere: 1)
coltivare e preservare il giardino di Eden; 2) mangiare liberamente di tutti
gli alberi del giardino, tranne quello della conoscenza del bene e del male. Il
primo compito sottolinea la relazione dell’uomo alla terra, il secondo al
relazione con il cielo. Adamo doveva sottomettere la terra e dominarla, ossia
esprimere un lavoro che per essere realmente tale fosse inserito in un progetto
avente una destinazione: a) “aprire” la terra facendo in modo che essa doni
tutti i tesori che Dio ha accumulato in essa; b) “sorvegliare”, “salvaguardare”
e “proteggere” la terra da tutti i mali che potrebbero minacciarla. Lavoro e
riposo, regole e servizio, vocazione terrena e celeste, civilizzazione e
religiosità, cultura e culti, debbono dall’uomo essere messi insieme attraverso
la sottomissione alle direttive divine. Da tutto ciò comprendiamo che l’uomo
non era stato creato per essere un fannullone, ma per lavorare. L’incarico
assegnatogli da Dio implicava un orizzonte mondiale e un arco di secoli per
essere portato a compimento. Tale vocazione di Adamo era strettamente connessa
alla propria natura, ossia all’immagine di Dio in cui era stato creato, che
doveva essere arricchita attraverso un dispiegamento delle proprie potenzialità
in relazione ad un progetto. L’opera di riempimento e sottomissione della
terra, doveva replicare su di un piano creaturale la stessa attività di Dio.
L’opera dell’uomo come quella di Dio doveva fondarsi sulla deliberazione e il
fine. L’uomo come immagine di Dio doveva pensare ed operare come un creatore di
qualcosa e che alla fine guardi all’opera delle proprie mani con approvazione,
riposando con piacere per quanto operato. Il Catechismo di Heidelberg sintetizza
tutto questo nel modo seguente:
D. 5
Potresti tu adempiere, se volessi, alla Legge divina?
R. No,
perché sono per natura incline ad odiare Dio ed il prossimo. Ro. 3:10. Ge.
8:21. Mt. 7:16.
D. 6. Ha
dunque Iddio creato l'essere umano così empio e perverso?
R. No,
Iddio ha creato l'essere umano buono e ad immagine propria, cioè veramente
giusto e santo, perché conosca debitamente Lui, suo Creatore, e lo ami di cuore
e viva con Lui in eterna beatitudine, per lodarlo e glorificarlo. Ge. 1:27. Ef. 1:10.
D. 7. E
da dove proviene questo stato corrotto dello essere umano?
R. Dalla caduta e disobbedienza dei nostri progenitori, Adamo ed Eva, nel Paradiso; per questo la nostra natura è divenuta viziata che noi tutti siamo concepiti e nasciamo nel peccato. Ro. 5:12. Sl. 51:7.
Genesi
1:26 insegna che Dio persegue uno scopo nel creare l’uomo a propria immagine,
ossia quello di porlo in condizione di dominare su tutte le creature, e farlo
moltiplicare allo scopo di riempire la terra e sottometterla. Comprendere la forza
dell’espressione “sottomettere la terra” significa comprendere l’essenza del
sottomettere la cultura di questo mondo a Dio. Tutta la cultura, ossia tutte le
opere che l’uomo intraprende allo scopo di sottomettersi la terra (agricoltura,
commercio, industria, scienza ect.) sono espressione della chiamata divina. Per portare a compimento tale vocazione l’uomo non
deve spezzare la connessione che lo unisce al cielo, ossia deve continuare a
credere in Dio e nella Sua Parola obbedendo ai Suoi comandamenti. Per potere
“dominare” l’uomo deve “servire” Dio che è il Creatore e Legislatore. Infatti
al comandamento di “dominare” si aggiunge ora la “proibizione” di “mangiare”.
Adamo non deve “inventare” nulla nel proprio rapporto con Dio, quest’ultimo
provvede ad istruirlo assegnandogli le condizioni e i limiti della propria
vocazione. L’uomo non è lasciato solo a se stesso, libero di legiferare. Il
comando teso a testare la fede di Adamo è detto “comando probatorio”. Se Adamo
avesse trasgredito il comando di Dio, avrebbe perduto l’immagine e la comunione
con Dio e sarebbe morto. Adamo ed Eva
non avrebbero potuto trovato nessuna spiegazione razionale al perché quel certo
albero fosse loro proibito, potevano solo obbedire al comando di Dio, dando
fiducia all’opinione da Lui espressa.
In Genesi
2 l’uomo risulta veramente grato a Dio solo dopo avere ricevuto il dono della
donna. Solo essa riesce a condurre l’uomo fuori dalla situazione di solitudine
nella quale questo versava. La natura dell’uomo è inclinata al sociale, deve
pertanto essere abile ad esprimere se stessa e a donarsi dando forma ai propri
sentimenti ad un altro essere che possa ricevere e comprendere tale opera. La
solitudine è pertanto povertà. Solo Dio conosce il modo per rendere l’uomo
“partner”. In Gen. 2:19-21 Dio conduce le bestie all’uomo allo scopo di
mostrare la relazione di queste a lui, la loro subordinazione è resa chiara dal
fatto che l’uomo attribuisce a tutte le bestie dei nomi. Adamo associa le
bestie al proprio mondo, dando ad esse un nome. Evidentemente la natura di
Adamo, in quanto essere razionale, risultava perfettamente in grado di
classificarli e suddividerli, assegnando a ciascuno di essi il posto giusto
nell’universo. Adamo scopre che nessun essere era in grado di fargli adeguatamente
“compagnia” e ciò non a causa di ignoranza o superbia da parte dell’uomo
stesso, ma perché esiste una differenza in “specie” tra uomo e animali,
nonostante le corrispondenze tra animali e uomo: la fisicità, varie specie di
necessità e desideri per quanto concerne cibo e bevande, la generazione, i
cinque sensi. Tuttavia l’uomo e differente dall’animale, a causa della ragione,
della volontà e pertanto può esprimere religione, morale, linguaggio, leggi,
scienze ed arte. La donna è un dono di Dio dato a prescindere dagli atti di
volontà umana, l’uomo è fatto cader in un profondo sonno, senza che venga
dunque pagato alcuno sforzo o prezzo. Come la sostanza per creare Adamo era
stata presa dalla terra, così quella per creare la donna è presa dall’uomo,
costei è connessa all’uomo e nel medesimo tempo differisce da lui. La donna
viene dopo Adamo e da Adamo, e nel contempo deve la propria esistenza
all’onnipotenza di Dio. La donna sarà l’assistente dell’uomo nell’opera di
sottomissione della terra, non la sua serva o schiava.
Leggiamo in Genesi 1:26 che ‘Dio creò l’uomo “nella” (il termine
usato qui è l’ebraico ‘as’ che indica una comunanza ‘in essenza’ beth
essentiae) propria immagine (selem) secondo la propria somiglianza (demut)’
affinchè l’uomo potesse avere dominio su tutte le creature, in modo particolare
sulle creature viventi. Le parole “immagine e somiglianza” si amplificano e
supportano a vicenda, insieme servono ad esprimere il fatto che l’uomo è una
perfetta e corrispondente immagine di Dio. L’uomo è in miniatura ciò che Dio è
in modo infinito. Nello stesso tempo è sottolineata la relazione dell’uomo a
Dio: l’uomo non è libero e indipendente, ma limite e libertà, dipendenza e
indipendenza, incommensurabile distanza e intimità sono combinate in modo incomprensibile
nell’essere dell’uomo. In Genesi 1:26 è detto che Dio creò gli “uomini” a
propria immagine e somiglianza, ciò testimonia che l’intenzione di Dio era
quella di creare non un uomo, ma piuttosto uomini. Infatti Dio crea l’uomo e la
donna, non in separazione l’uno dall’altro ma in relazione di comunione tra
loro (v. 27), al fine di esprimere pienamente l’immagine di Dio.
Cosa bisogna intendere con l’espressione “creato ad immagine, a somiglianza di Dio”? L’esegesi classica[1] ha ritenuto che “immagine” e “somiglianza” fossero due cose distinte, corrispondenti all’anima e allo spirito in ossequio alla tri-ripartizione spirito, anima e corpo dell’uomo. Pertanto l’uomo avrebbe conservato l’immagine perdendo la sola somiglianza. Altri ancora hanno ritenuto che “immagine e somiglianza” siano entrambe state perdute o sfigurate con la caduta (quest’ultima interpretazione è ritenuta tipica del protestantesimo). La difficoltà con tali interpretazioni è che in nessun luogo della Bibbia è affermato che con la caduta l’immagine o la somiglianza o entrambe siano andate perdute. E’ curioso che tale dottrina non sia discussa nell’AT e riappaia solo nel NT. Ciò che è importante sottolineare è che l’immagine e la somiglianza non sono legate alla Caduta, quanto piuttosto alla situazione instaurata da Dio nell’Eden.
Una migliore conoscenza dell’ebraico antico ha permesso di stabilire che i due termini definiscono la medesima cosa da due aspetti differenti. L’uomo, creatura di Dio, non è altro che una copia (immagine) del proprio creatore. Tale copia possiede una qualità, ossia essa non è la replica esatta del Creatore stesso (l’uomo non è pertanto un secondo Dio), ma soltanto una copia “somigliante”, ossia una replica che rammenta su di un piano creaturale molte delle caratteristiche del Dio trinitario. Inoltre allo stesso modo di una copia che non risulta comprensibile senza l’originale, l’uomo è “comprensibile”, ossia ha senso, solo in relazione a Dio. Ne concludiamo che l’uomo non è destinato all’autonomia, ma alla dipendenza, e pertanto al limite impostogli da Dio. Il peccato è proprio il travalicamento di tale limite. E’ pertanto errato affermare che con la caduta l’uomo abbia perduto la “somiglianza” che è restaurata solo con la conversione. Il travalicamento del limite ha prodotto una “totale depravazione”, tale espressione non sta a significare che l’essere umano è ora talmente corrotto tanto da non potere intendere alcuna forma di bene, infatti la sua non è una “completa depravazione”, si vuole piuttosto intendere che tutte le sue facoltà e azioni sono macchiate dall’inclinazione al peccato. Uomini e donne non rigenerate compiono un sacco di buone opere in grado di gareggiare in quantità e grandezza con quelle dei credenti, ma la salvezza è per grazia non per opere. Secondo la dottrina della “totale depravazione”, l’uomo peccatore è talmente preso dall’ingranaggio del peccato tanto da non potersi sottrarre ad esso. Egli possiede una coscienza morale, ma essa è mal fondata ed utilizzata a fini malvagi, egli fa il bene ma in modo vano ed auto-distruttivo.
In Genesi 2:16-17 è
detto : “E l'Eterno Iddio diede all'uomo questo comandamento: 'Mangia
pure liberamente del frutto d'ogni albero del giardino; ma del frutto
dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché, nel
giorno che tu ne mangerai, per certo morirai'.” Questo brano ci ricorda
che in Eden l’uomo era libero sotto il controllo di Dio. Ciò che ci stupisce è
come un fatto apparentemente tanto marginale « il frutto di un albero »
possa avere avuto conseguenze tanto gravi dal punto di vista della comunione
tra uomo e Dio. Mangiare il frutto di un albero potrebbe sembrare un atto senza
importanza, ma in realtà esso costituiva disobbedienza, un peccato tanto grave
da potere essere definito “crimine”. Satana sfrutterà proprio tale apparente
futilità del comandamento per distruggere il rapporto di comunione tra uomo e
Dio. Tutto l’episodio ci ricorda che l’etica cristiana ha per fondamento
l’autorità di Dio e non piuttosto qualche nostro astratto giudizio di valore.
Tuttavia tale atto non ha turbato la natura ontologica dell’uomo (l’immagine e
la somiglianza), ma piuttosto la sua relazione con Dio e dunque il progetto nel
quale era stato concepito. In primo luogo il peccato non si configura come una macchia
materiale dell’anima che può essere tolta con il battesimo in acqua ad esempio.
In secondo luogo comprendiamo come Gesù abbia potuto essere uomo senza
commettere peccato, infatti la natura decaduta non è qualcosa di sostanziale al
concetto di uomo in quanto tale.
Va anche detto che se si considera il peccato come la retribuzione per la disubbidienza di Adamo è anche distrutto il parallelo tra peccato e sofferenza tanto in voga ai nostri giorni ossia la convinzione che il peccato e la malattia siano dovuti al peccato non confessato o all’opera di potenze diaboliche ostili. In Eden l’uomo pur essendo mortale era preservato dalla morte, a partire dalla caduta tale protezione è sparita, anche se il suo essere fisico non è radicalmente mutato. Niente autorizza l’elaborazione di una teologia biblica che associ l’idea della salvezza alla morale o alle buone opere.
Nonostante la propria ribellione a Dio l’uomo continua in un senso
“largo” a conservare l’immagine di Dio (riformati contro luterani e cattolici),
e nel contempo solo convertendosi a Dio si riappropria dell’immagine distrutta
dal peccato in senso “stretto”. Secondo i Riformati l’immagine di Dio è più
grande ed inclusiva della giustizia originaria richiesta ad Adamo, poiché pur
essendo tale giustizia perduta a causa del peccato, l’uomo non ha tuttavia
perduto tale immagine. La giustizia originaria pertanto non era un alcunché di
separato ed indipendente rispetto alla natura umana, un alcunché di aggiunto
all’immagine di Dio, poiché non è possibile credere che l’uomo esistesse in
origine come un essere puramente naturale al quale era aggiunta la giustizia.
In realtà quest’ultima era una caratteristica, ora perduta, dell’essere
dell’uomo. L’uomo originario era l’immagine di Dio, non diversamente dall’uomo
attuale e ciò nella misura in cui quest’ultimo ha conservato il rimanente
dell’immagine di Dio. Quando un uomo diviene malato nel corpo o nell’anima,
egli continua ad essere uomo anche se ha perduto la salute, allo stesso modo la
giustizia originaria era l’integrità e salute dell’uomo, minata dalla malattia
spirituale del peccato. La concezione riformata preserva la relazione e la
distinzione tra natura e grazia, e creazione e redenzione. L’immagine di Dio è
rivelata nelle abilità o attività che lo spirito dell’uomo esprime, quali ad
esempio il pensiero, le emozioni, la volontà e più in generale la personalità.
La corporeità non è esclusa dall’immagine di Dio, non vogliamo con ciò cadere
nell’eresia degli “antropomorfiti” (o Audiani del 4° sec.), che ritenevano Dio
avesse un corpo; anche se la Scrittura afferma che “Dio è Spirito” (Gv. 4:24),
e in nessun luogo è attribuito a Lui un corpo, Dio è tuttavia il creatore delle
cose materiale che controlla con la propria potenza e che “rendono visibili”
alcune caratteristiche del Suo essere (Rom. 1:20).
I luterani non operano distinzione tra l’immagine di Dio in un
senso “formale” o “materiale”. Per loro l’immagine di Dio non è altro che la
giustizia originaria, ossia le virtù della conoscenza, giustizia e santità
possedute da Adamo. Essi riconoscono l’immagine di Dio solo in un senso stretto
e ritengono sia andata perduta con la caduta. In tal modo isolano l’area
religioso-morale dalla del credente rispetto alle aree dello stato, della
società, delle arti e delle scienze.
Il cattolicesimo fa distinzione tra immagine in senso stretto e
largo, cercando di connetterle. Ma questa connessione è esteriore, artificiale
e meccanica. La teologia cattolica ritiene che l’uomo possa esistere senza le
virtù sovrannaturali della conoscenza, della giustizia e della santità
(immagine in senso stretto). In tale stato l’uomo può almeno teoricamente
esprimere una dignitosa vita morale sulla base della legge naturale e della
legge umane. Queste però non possono condurre l’uomo in paradiso, e sono
continuamente oscurate dalla concupiscenza che anche se in sé non è un peccato
può certamente provocarlo. La ragione è sempre minacciata dal potere della
carne. Per queste ragioni Dio nella propria sovranità accorderebbe l’immagine
di Dio in un senso stretto all’uomo naturale. Dio avrebbe potuto creare l’uomo
senza tale immagine, ma preconoscendo che questi sarebbe stato facile preda dei
desideri della carne e desiderando sollevarlo ad un più alto livello di
benedizione sulla terra, Dio gli donò la giustizia o grazia sovrannaturale. Con
tale grazia sovrannaturale l’uomo poteva ora controllare i desideri della carne
e compiere i doveri prescritti da Dio. Persa tale grazia con la caduta, l’uomo
ha di nuovo bisogno di tale addendum sovrannaturale allo scopo di
limitare il potere della carne ed acquisire meriti.
Secondo le Scritture, la conoscenza che il primo uomo possedeva
non implicava la onniscienza, e che pertanto nnon dovesse comprendere cose
ulteriori a proposito di Dio di se stesso e del mondo. Il frutto di tale
conoscenza era giustizia e santità. Santità significa che il primo uomo fu
creato libero dall’influenza del peccato, pertanto senza nessun cattivo
pensiero o deliberazione o desiderio proveniente dal suo cuore. Adamo non era
né innocente né un sempliciotto, egli conosceva e amava la legge di Dio scritta
nel proprio cuore. Giustizia significa che l’uomo conosceva la legge di Dio e
ad essa aderiva con la propria mente, desideri e volontà, corrispondendo alla
legge di Dio e soddisfacendo interamente alla Sua giustizia stando alla Sua
presenza senza colpa.
Ciononostante lo stato del primo uomo non dovrebbe essere
indebitamente esagerato. Pur essendo creato ad immagine di Dio, egli poteva
perdere tale caratteristica e la relativa gloria. Egli poteva perdere la
salvezza per se e per la propria posterità. Lo stato dei credenti in paradiso
sarà migliore di quello di Adamo in Eden. Adamo dipendeva dal cambio delle stagioni e dal tramontare e sorgere
del sole, dal sonno e dalla veglia, ma nella futura Gerusalemme non vi sarà più
notte (Ap. 21:25 e 22:5), i redenti dal sangue dell’agnello staranno davanti al
trono di Dio giorno e notte (Ap. 7:15), i credenti riposeranno eternamente, non
solo il settimo giorno (Eb. 4:9 e Ap. 14:13), non mangeranno né berranno (1
Cor. 6:13), non si uniranno in matrimonio (Matt. 22:30), avranno un corpo
spirituale (1 Cor. 15:45-49), non peccheranno né moriranno più (Gv. 11:25-26; 1
Gv. 3:9), nè potranno perdere la fede in Dio (1 Pt. 1:5).
[1] G.
Calvino nel “Commentario a Genesi 1-23” afferma: “Gli interpreti non concordano
in merito al significato di queste parole. La maggior parte, cioè quasi tutti,
ritengono che la parola “immagine” debba essere distinta da “somiglianza”. La
distinzione comune è, che l’immagine consiste nella sostanza, la somiglianza
negli accidenti di qualcosa. Coloro che definiscono il soggetto brevemente,
dicono che nell’immagine sono contenuti quei requisiti che Dio ha
conferito alla natura umana in generale,
mentre intendono la somiglianza nel senso di “doni gratuiti”. Ma Agostino, più
degli altri, specula con eccessivi cavilli, allo scopo di individuare una
Trinità nell’uomo. Poiché egli conserva le tre facoltà dell’anima enumerate da
Aristotele, l’intelletto, la memoria e la volontà, per affermare che dall’unica
Trinità derivano I molti. Se qualche lettore ha tempo e desiderio di
approfondire tale speculazione può leggere il 10° e 14° libro della “Trinità”,
e anche l’11° libro della “Città di Dio”. I so che in verità vi è qualcosa
nell’uomo rapportabile al Padre, al Figlio e allo Spirito, e non ho difficoltà
ad ammettere la distinzione fatta sopra tra le facoltà dell’anima, sebbene la
più semplice divisione in due parti, che è più usata nelle Scritture, è meglio
adatta alla retta dottrina della pietà; ma una definizione dell’immagine di Dio
deve riposare su di una base più ferma rispetto a tali sottigliezze. Quanto a
me, prima di definire cosa è l’immagine di Dio, negherei che essa differisce
dalla somiglianza. Perché quando Mosè in seguito ripete le medesime cose egli
omette la somiglianza, e si accontenta di menzionare la sola immagine. Qualcuno
potrebbe intendere tale eccezione, come una mirata brevità, al che io replico
che dove le due volte egli usa il termine “immagine”, egli non fa menzione
della somiglianza. Sappiamo anche che era costume degli ebrei ripetere la
medesima cosa con parole differenti. Inoltre la frase stessa mostra che il
secondo termine fu aggiunto per maggiore chiarezza, “Facciamo”, dice, “l’uomo
nella nostra immagine, secondo la nostra somiglianza” che significa che l’uomo
può essere come Dio, o può rappresentare l’immagine di Dio. Finalmente nel V°
capitolo, senza fare alcuna menzione dell’immagine, Mosè pone la somiglianza al
posto di lei (v. 1) Sebbene abbiamo posto da parte tutte le differenze tra le
due parole, non abbiamo ancora specificato cosa tale immagine o somiglianza è.
Gli antropomorfiti erano molto grossolani quando cercavano la somiglianza nel
corpo umano; lasciamo fantasia al proprio destino. Altri procedono con un poco
più di sottigliezza, e sebbene non immaginino Dio in modo corporeo, ritengono
tuttavia che l’immagine di Dio sia il corpo dell’uomo, poiché il Suo ammirabile
talento splende proprio lì potentemente; ma questa opinione, come vedremo, non
si accorda con le Scritture. L’esposizione di Crisostomo non è maggiormente
corretta, egli intende [l’immagine di DIo] come il dominio che era dato
all’uomo di modo che lui potesse, in un certo senso, operare come il
vice-reggente di Dio nel governo del mondo. In realtà questa è una porzione,
sebbene molto piccola, dell’immagine di Dio. Poiché l’immagine di Dio è stata
distretta in noi dalla caduta, noi possiamo giudicare dalla sua restaurazione
cosa originalmente essa fosse. Paolo afferma che siamo trasformati nell’immagine
di Dio dal vangelo, E, secondo lui, la rigenerazione spirituale non è
nient’altro chela restaurazione della medesima immagine (Col. 3: 10, ed Ef. 4:
23). Che faccia consistere tale immagine nella “giustizia e vera santità” è
affermato per sinnedoche, poiché sebbene questa sia la parte principale,
tuttavia non è la completezza dell’immagine di Dio. Dunque con questa parola la
perfezione della nostra intera natura è indicata, come essa appariva quando
Adamo era rivestito con un retto giudizio, aveva affezioni in armonia con la
ragione, aveva tutti i propri sensi integri e ben regolati, e veramente
eccelleva in ogni bene. In tal modo il seggio principale dell’immagine divina
era nella sua mente e nel cuore, dove era eminente, e inoltre non vi erano parti
di lei in cui non vi fosse un qualche fulgore. Poiché vi era una temperanza
nelle diverse parti dell’anima, che corrispondeva con I loro vari uffici. Nella
mente una perfetta intelligenza fioriva e regnava, la rettitudine la
frequentava quale compagna, e tutti I sensi erano preparati e equipaggiati per
la dovuta obbedienza alla ragione; e nel corpo vi era una appropriata
corrispondenza con questo ordine interno. Ma ora, sebbene oscuri lineamenti di
quella immagine sono trovati ancora in noi, tuttavia sono talmente viziati e
feriti, che possono davvero essere detti distrutti. Perché inoltre alla
deformità che ovunque appare orribile, questo ulteriore male è aggiunto, che
nessuna parte è libera dall’infezione del peccato. “Nella nostra imagine,
secondo la nostra somiglianza”, io non insisto sulle particelle ebraiche “beth”
e “caph”. Non so se vi è qualcosa di solido nell’opinione di coloro che
affermano che è detto così, perché l’immagine di Dio era solo adombrata
nell’uomo finché non fosse giunto alla propria perfezione. La cosa in buona
sostanza è vera, ma non credo che un pensiero del genere sfiorasse la mente di
Mosè. E’ anche detto che Cristo è la sola immagine del Padre, ma le parole di
Mosè non supportano l’interpretazione che “nell’immagine” significhi “in
Cristo”. Potrebbe essere aggiunto, che anche l’uomo sebbene sotto altro
aspetto, è chiamato immagine di Dio. Dalla quale cosa alcuni padri furono
ingannati poiché pensavano di potere battere i teologi asiatici con questa
arma, cioè che Cristo solo fosse immagine di Dio. Qui si presenta un’ulteriore
difficoltà che deve essere affrontata: perché sembra che Paolo neghi che la
donna sia immagine di Dio, quando Mosè onora entrambi i sessi con questo
titolo, senza distinzioni? La soluzione è semplice, Paolo allude solo alla
relazione domestica. Egli restringe l’immagine di Dio al governo, in cui l’uomo
ha superiorità sulla moglie, e certamente è significato niente più che l’uomo è
superiore nel grado di onore.”