Comprendere meglio Clive Staples Lewis
« ... Senza dubbio il dolore come megafono di Dio è uno strumento terribile e può condurre ad una ribellione definitiva e impenitente, ma fornisce al malvagio l'unica occasione di ravvedersi. Toglie il velo; pianta lo stendardo della verità sulla fortezza di un'anima ribelle. Se il primo attacco del dolore distrugge l'illusione che tutto vada bene, il secondo distrugge l'illusione che quello che abbiamo, buono o cattivo che sia, sia veramente nostro o sufficiente per noi. E' noto a tutti quanto sia difficile rivolgere i nostri pensieri a Dio quando tutto ci va bene. La frase “abbiamo tutto quel che vogliamo” è terribile se quel “tutto” non comprende Dio.» (Morcelliana Brescia 1957 - titolo originale “The Problem of Pain” - traduzione di Luciana Vigone) Clive Staples Lewis (1898-1963) studiò a Oxford dove insegnò dal 1925 al 1954, anno in cui si trasferì a Cambridge per insegnare Letteratura inglese medievale e rinascimentale. Negli anni di Oxford fece parte dell’influente circolo letterario degli “Inklings”, un gruppo di letterati e professori, tra i quali figuravano il cattolico J.R.R. Tolkien (autore della trilogia del "Signore degli Anelli"), Charles Williams e Hugo Dyson. C.S. Lewis si convertì dall’ateismo al cristianesimo anglicano di tendenza “alta” (affine al al "cattolicesimo romano” dal punto di vista del rituale), contribuendo con i suoi libri, articoli e conferenze alla radio, a combattere il processo di scristianizzazione in atto in Inghilterra. Probabilmente molto del valore di Lewis è connesso alle vicende della propria conversione, raccontata nella propria autobiografia “Surprised by Joy”. Tale scritto è estremamente breve, proprio per il desiderio di Lewis di concentrarsi sul cammino compiuto per avvicinarsi alla fede. Lo scopo di Surprised by Joy, è il tentativo di spiegare la conversione in termini di “gioia”. Pe Lewis la gioia è un’anticipazione della vita celeste. La gioia è quanto Dio ci offre per il tramite di piccole cose. Lewis non scoprì la sorgente della gioia finchè rimase un convinto ateista. La sua conversione si svolse in due fasi, prima divenne un teista nel 1929 e poi un cristiano nel 1931. Molti dei suoi colleghi rimasero comprensibilmente scioccati vedendo che un convinto ateista, fosse diventato un credente pressato dal desiderio di raccontare a tutti il perché della propria conversione. Sfortunatamente molta dell’opera di Lewis, ebbe un marcato taglio ecumenico, essendo convinto di dovere presentare ai propri lettori ed ascoltatori solo gli aspetti essenziali del cristianesimo, più precisamente quelli che si collocavano al di sopra della possibilità di qualsiasi controversia. Ne risultava uno spazio indebito conferito alla ragione nella scelta di quanto fosse “principale” s “secondario” nell’insieme delle dottrine bibliche, oltre ad una certa confusione nella messa in chiaro dello specifico del messaggio cristiano. A riprova di tale “generalismo” cristiano si può portare a testimonianza il largo seguito di Lewis tra cattolici, arminiani (seguaci di Wesley e pentecostali), e addirittura unitariani (anti-trinitari). Tra le altre deviazione di Lewis rispetto al messaggio biblico potremmo citare oltre all’interpretazione arminiana delle dottrine della grazia, anche la fede nella dottrina del Purgatoria e le preghiere per i morti. I Riformatori protestanti rinnegarono il dogma cattolico del Purgatorio (con tutto ciò che ad esso era associato come preghiere e messe per i morti), nel sedicesimo secolo e Martin Lutero eliminò anche dal Canone delle Scritture i due libri dell'Antico Testamento dei Maccabei, che sembravano contenere esempi di preghiere ebraiche per i morti. Nel 1801 una convenzione episcopale affermò, che per la Comunione anglicana "la dottrina cattolica riguardante il Purgatorio" è "una cosa fantasiosa, inventata inutilmente e senza alcun fondamento nella Scrittura, essendo davvero ripugnante alla Parola di Dio ". Lewis nella propria confessione di fede pubblicata postuma nel 1964, nel libro: Letters to Malcolm: Chiefly on Prayer, afferma: "Certo che prego per i morti. L'azione è così spontanea, così inevitabile, che solo il tipo teologico più compulsivo potrebbe dissuadermi dal farlo. E non so come il resto delle mie preghiere sarebbe sopravvissuto se quelle per i morti fossero proibite. Alla nostra età, la maggior parte di quelli che amiamo di più sono morti. Che tipo di relazione con Dio potrei avere se ciò che amo di più non potesse essere menzionato prima di Lui?" Nella tradizionale visione protestante, tutti i morti sono già condannati o salvati. Se sono persi, la preghiera per loro è inutile. Se sono salvati, Dio ha già fatto tutto per loro. Cos'altro, allora, dovremmo chiedere? La visione dell'autore anglicano aveva molto di personale e di paradossalmente cattolico. CS Lewis era infastidito, dalle descrizioni di St. Thomas More e St. John Fisher del Purgatorio, poiché aveva l'impressione che le pene richiamassero alla mente più un "Inferno temporaneo" che un luogo appropriato di purificazione. Era contento, al contrario, di ciò che era stato detto nell'opera poetica The Dream of Gerontius , di John Henry Newman, in cui "l'anima salva, proprio ai piedi del trono di Dio, implora di essere portata via e purificata, incapace di sopportare un altro momento in cui la sua oscurità viene affrontata da quella luce. " “La durezza di Dio è più mite della dolcezza umana, e le Sue costrizioni sono la nostra liberazione”, commenta Lewis mentre sta per concludere il racconto della sua conversione al Cristianesimo. E' il 1931, da sei anni Lewis è assistente d'Inglese al Magdalen College di Oxford, dove si è laureato dopo aver combattuto durante la prima guerra mondiale. Di giorno studia e insegna la letteratura medievale inglese, la sera discute con gli amici delle sue ricerche e soprattutto confida loro gli arretramenti e i progressi della sua crisi spirituale. Abbiamo già detto della lenta evoluzione da posizioni di ateismo dogmatico al dubbio e poi alla certezza dell'esistenza di Dio, sino alla piena adesione al messaggio cristiano. « ... Tutto solo in quella stanza di Magdalen, avvertivo su di me, una notte dopo l'altra, ogniqualvolta la mia mente si distraeva anche un attimo dal lavoro, la ferma, inesorabile stretta di Colui che mi rifiutavo ostinatamente di conoscere. Ciò che avevo più temuto si era alla fine impadronito di me. Durante il trimestre della trinità del 1929 mi arresi, ammisi che Dio era Dio e mi inginocchiai per pregare: fui forse, quella sera, il convertito più disperato e riluttante d'Inghilterra. Allora non mi avvidi di quello che oggi è così chiaro e lampante: l'umiltà con cui Dio è pronto ad accogliere un convertito anche a queste condizioni. Per lo meno, il figliol prodigo era tornato a casa coi suoi stessi piedi. Ma chi potrà mai adorare adeguatamente quell'amore che schiude i cancelli del cielo a un prodigo che recalcitra e si dibatte, e ruota intorno agli occhi risentito in cerca di scampo? ... »
Le lettere di Berlicche
Nel 1942 Lewis pubblica “Le lettere di Berlicche”, che erano già apparse in forma seriale sul Guardian. Lewis immagina che un funzionario di Satana istruisca un giovane diavolo apprendista, Malacoda, suo nipote, spiegandogli i mezzi e gli espedienti più idonei, secondo la sua esperienza, per conquistare (e dannare) gli uomini. Ogni manifestazione della vita del credente, dalla meditazione alla preghiera, dall'amore all'amicizia, dal divertimento alla vita sociale, dal piacere al lavoro alla guerra, può essere asservito allo scopo di deviare un'anima dal proprio cammino di sottomissione a Dio. Lewis disserta sottilmente sui temi filosofici più alti facendosi amare, oltre che per l'arguzia e l'ironia delle sue argomentazioni, per la limpidezza dello stile. (Edizioni Oscar Mondadori - titolo originale “The Screwtape Letters” - traduzione di Alberto Castelli - nov. 1998) « ... Io avevo una volta un paziente, un ateo ben saldo, che era solito recarsi a studiare nella biblioteca del British Museum. Un giorno, mentre stava leggendo, mi accorsi che un certo filo del pensiero cominciava a prendere una direzione sbagliata. Il Nemico, naturalmente, gli fu in un attimo al fianco. Prima che riuscissi a raccapezzarmi, vidi che il mio lavoro di vent'anni cominciava a barcollare. Se, perdendo la testa, mi fossi messo a tentare una difesa per mezzo di una discussione, sarebbe stata finita per me. Senza perder tempo colpii quella parte che in lui era più di ogni altra sotto il mio controllo, e suggerii che era giunto ormai il tempo di andare a fare un po' di colazione. Il Nemico, è presumibile, (poichè sai che non è mai proprio possibile riuscire ad afferrare ciò che Egli dice loro!) fece a sua volta la contro-insinuazione che ciò che stava pensando era più importante della colazione. Almeno io penso che la Sua linea sia stata questa, perchè, quando io osservai: “perfettamente. Anzi, è troppo importante perchè ci s'accinga a trattarne a mezzogiorno”, il volto del paziente s'illuminò considerevolmente; ed io non feci in tempo ad aggiungere : “molto meglio tornare dopo pranzo, e trattare l'argomento con mente fresca”, che era già a mezza strada verso la porta. Una volta sulla via la battaglia fu vinta. Gli mostrai il giornalaio che gridava le notizie delle edizioni pomeridiane, e un autobus, il 73, che passava , e prima che giungesse in fondo ai gradini riuscii a convincerlo più che mai che, siano pur strane finchè si vuole le idee che sorgono in capo quando si è chiusi da soli con i propri libri, una dose salutare di “realtà della vita” (e con ciò intendevo dire l'autobus e il giornalaio) bastava per dimostrargli che “tutte quelle robe” semplicemente non potevano essere vere. Sapeva di essersela cavata per poco, e più tardi provava un gran gusto nel parlare di “quel senso inespresso della realtà che è la nostra ultima salvaguardia contro le aberrazioni della logica pura”. Ora egli è al sicuro nella casa di Nostro Padre. ... »
Scusi, quale è il suo Dio?
Probabilmente il libro più conosciuto di Lewis è “Scusi qualè il suo Dio?” (titolo originale Mere Christianity). E’ un’apologia del cristianesimo. In realtà il suo concentrarsi sulle dottrine “essenziali” del cristianesimo, portano ad un certo indebolimento della specificità di esso. Non mancano comunque note umoristiche (tipiche della prosa di Lewis), ad esempio dove parla della diffcoltà di odiare il peccato e amare il peccatore: “Per un lungo tempo, pensai che questo fosse una sciocca, dualistica distinzione, come si può odiare ciò che un uomo fa e non odiare l’uomo? Ma diversi anni più tardi Compresi che vi era un uomo peccatore che stavo amando da tutta la mia vita – me stesso!” “... Ciò che propongo è paragonabile a un'atrio in cui si aprono porte che danno su determinate stanze. Se riuscirò a condurre qualcuno in quell'atrio avrò raggiunto il mio scopo. L'atrio è il luogo di attesa da cui si possono provare le varie porte. Alcuni possono dover aspettare nell'atrio per un periodo di tempo considerevole, mentre altri sanno quasi subito a quale porta devono bussare. Ma Dio non fa attendere nessuno se non vede che l'attesa è per lui un bene ...” (Edizioni G.B.U. Roma - titolo originale “Mere christianity” - traduzione di Simona Rizzardi Battye) « ... Circa l'onnipotenza della parola del Signore, che è Egli stesso Parola, in quanto Verbo imperante, sono d'accordo. Circa l'onnipotenza dello stesso Verbo, in quanto preghiera ho dei dubbi. Si può infatti rispondere che Egli stesso nell'orto del Getsemani pregò e non ottenne. Inoltre non è una terribile verità che il libero arbitrio del peccatore possa resistere alla volontà di Dio? In un certo momento Egli limitò la Sua onnipotenza col fatto stesso di creare la creatura libera. E si legge che, non so in quale regione, il Signore non aveva potuto fare miracoli perchè mancò la fede negli uomini. ... » « ...Ma dicendo che “del sesso non c'è da vergognarsi”, si può intendere: “non c'è da vergognarsi dello stato in cui si trova oggi l'istinto sessuale”. Chi la intende cosí, penso si sbagli. Penso che ci sia molto da vergognarsi. Non c'è niente di vergognoso nel godere del cibo: ma sarebbe vergognoso che mezzo mondo facesse del cibo l'interesse precipuo della propria vita, e passasse il tempo a guardare immagini di cibo e a leccarsi baffi. Non dico che voi e io siamo individualmente responsabili della situazione presente. I nostri antenati ci hanno tramandato organismi viziati a questo riguardo; e noi cresciamo circondati da una propaganda che favorisce la lussuria. C'è gente che vuole eccitare di continuo il nostro istinto sessuale per guadagnarci sopra. Perché, naturalmente, un uomo con un'ossessione è un uomo che ha pochissima resistenza alle proposte d'acquisto. [...] Infine, anche se ho dovuto parlare piuttosto a lungo del sesso, voglio dire nel modo piú chiaro possibile che il centro della morale cristiana non è qui. Se qualcuno pensa che i cristiani considerino la lussuria come il vizio supremo, si sbaglia di grosso. I peccati della carne sono certo gravi, ma meno di tutti gli altri. Tutti i piaceri peggiori sono puramente spirituali: il piacere di mettere il prossimo dalla parte del torto, di tiranneggiare e di guardare dall'alto in basso, di fare il guastafeste e di calunniare; i piaceri del potere e dell'odio. Perché dentro di me ci sono due cose, in gara con l'io umano che devo cercare di diventare: l'io animale e l'io diabolico. L'io diabolico è il peggiore dei due. Ragion per cui un freddo e borioso perbenista che va regolarmente in chiesa può essere molto piú vicino all'inferno di una prostituta. Ma è meglio, si capisce, non essere né l'uno né l'altra. ... » « ...Di fronte a Dio, siamo di fronte a qualcosa che è, sotto ogni riguardo, incommensurabilmente superiore a noi. Chi non riconosce Dio come tale - e quindi non riconosce sé stesso come un niente al Suo confronto - non conosce affatto Dio. Finché sei superbo non puoi conoscere Dio. Un uomo superbo guarda tutto e tutti dall'alto in basso, e se guardi in basso non puoi vedere qualcosa che sta sopra di te. Sorge qui un grave quesito. Come mai persone palesemente divorate dalla superbia e dall'orgoglio possono dire di credere in Dio, e considerarsi religiosissime? Il fatto è, temo, che costoro adorano un Dio immaginario. Ammettono teoricamente di essere niente al cospetto di questo Dio fantomatico, ma in realtà sono convinte che Egli le approvi e le ritenga molto migliori della gente comune: pagano a Dio, cioè, un soldo di umiltà immaginaria, e ne ricavano mille di superbia verso i loro simili. A questa gente pensava Cristo, suppongo, annunciando che alcuni avrebbero predicato e scacciato i demoni in Suo nome, ma alla fine del mondo si sarebbero sentiti dire che Egli non li aveva mai conosciuti. E ognuno di noi può cadere in ogni momento in questa trappola mortale. Fortunatamente c'è una cosa che può metterci sull'avviso. Quando ci accorgiamo che la nostra vita religiosa ci dà la sensazione di essere buoni - di essere, soprattutto, migliori di qualcun altro - possiamo essere sicuri, penso, che in noi non agisce Dio, ma il diavolo. [...] Non di rado accade di vincere la propria pusillanimità, lussuria o iracondia dicendo a sé stessi che queste sono cose indegne di noi - ossia, per superbia. Il diavolo se la ride. È contentissimo che tu diventi casto, coraggioso e capace di dominarti, purché egli possa istituire dentro di te la dittatura della superbia; cosí come sarebbe felicissimo che tu guarissi dai geloni, se in cambio gli fosse consentito di farti venire il cancro. La superbia, infatti, è un cancro spirituale: divora ogni possibilità di amore, di contentezza, di semplice buonsenso. ... » di Domenico Iannone |