Riflessioni
sulla Epistola agli Ebrei
(di Domenico Iannone)
“Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante
il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale
sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà.” (Rom. 12:2)
Prima di affrontare lo studio dell’epistola agli Ebrei desideriamo
riflettere sul concetto di “post-modernità”.
La post-modernità implica una frammentazione delle esperienze, dei
criteri, degli standard, dello spirito civico, della solidarietà sociale.
Tutto viene commisurato all'individuo, all'immediato, all'istintivo.
In letteratura il post-modernismo equivale alla negazione della fissità
e stabilità del significato di qualsiasi testo e anche alla negazione dell'autorità
dell'autore sul lettore. Gli stili letterari tendono ad equivalersi (ad esempio,
scompare la differenza tra grandi testi e fumetti). E' negata anche la fissità
delle emozioni; in tale prospettiva emozioni opposte vengono sovente mescolate.
Il pensiero mondano post-modernista è all'opera laddove è negata l'origine
sovrannaturale della Scrittura, affermando che essa è solo frutto del lavoro
di uomini che hanno offerto un resoconto limitato e fallibile della propria
esperienza con il divino. Pertanto l'interprete della Bibbia sarebbe nella
posizione di “correggere” quanto è scritto allo scopo di fornire un messaggio
più trasparente e meglio adeguato alle proprie e altrui esigenze spirituali.
Nella Bibbia è affermato: “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile
a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia” (2Tim 3:16),
appare chiaro che nel brano in questione si intende affermare che le Scritture
posseggono una qualità che è perfettamente appropriata alla presentazione
della volontà e della persona di Dio. Conseguenza di ciò è che il lettore
è inteso non avere nessuna “autorità” sul testo che legge, ma è condotto alla
comprensione dell'autentico significato, dalla guida dello Spirito Santo.
In filosofia il post-modernismo nega la fissità e stabilità del linguaggio
e la coincidenza tra linguaggio e realtà. Il pensiero cristiano afferma al
contrario la corrispondenza e completa omogeneità tra parole e cose, ciò è
possibile perchè l'universo è creato da Dio e pertanto è stabile, allo stesso
modo anche il linguaggio risulta adatto alla descrizione dell’universo creato.
Inoltre la Scrittura ci esorta a non considerare il linguaggio un “accidente”
non degno di nota, ma piuttosto come uno strumento sotto l'attenzione di Dio:
“(mostrando) parlar sano, irreprensibile,
onde l'avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire di noi.”
(Tito 2:8)
In storia il post-modernismo nega la fissità del passato e lo pone
sotto il controllo dello storico. In
tale prospettiva meglio si comprende la notevole recrudescenza del fenomeno
del revisionismo.
Le Scritture nelle sue sezioni storiche, fa chiaramente intendere
non solo che la storia è guidata da Dio, ma anche che quanto avviene possiede
un'oggettività che dipende solo in minima parte dai fini del redattore (confronta
2Re 21:1-18 e 2Cronache 33: 1-20, a proposito della figura di Manasse).
Il post-modernismo rifiuta di distinguere tra realtà e finzione,
disprezza la memoria collettiva, privilegia l'empatia, l'esperienza personale
e diretta, la fantasia.
Il post-modernismo rifiuta le sintesi, la visione d'insieme, nella
direzione di ciò che è locale, comune e quotidiano. Pertanto è indifferente
alla coerenza e alla continuità.
Come credenti dobbiamo porci in contro-tendenza rispetto a tutti
questi elementi:
1) ricordarci del nostro passato (comunitario e storico);
2) tendere alla coerenza e alla continuità della nostra esperienza
cristiana, facendo in modo che essa investa tutte le sfere della nostra esistenza
(politica, sociale, sanitaria, economica, ect.);
3) rifiutare qualsiasi teologia dell'esperienza diretta con Dio,
la nostra vita spirituale è sempre mediata dalla Parola di Dio: “Poiché ora
vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia
a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche
sono stato perfettamente conosciuto.” (1Cor. 13:2).
Questi elementi ci proponiamo di ritrovarli nel corso della nostra
meditazione dell’epistola.
Ebrei 1:1 Iddio, dopo aver in molte volte e in molte maniere parlato
anticamente ai padri per mezzo de' profeti
Dio non è muto come lo sono gli dèi di tutte le altre
religioni; Egli non solo ha parlato in svariate occasioni (come ogni ebreo
poteva affermare), ma anche ha utilizzato svariati stili espressivi. In tal
senso basta dare un'occhiata ai caratteri stilistici dei vari libri della
Bibbia: proverbi, parabole, inni, leggi, narrazioni, epistole, poemi, enigmi
ect. Dio nella propria multiforme sapienza nulla ha trascurato per comunicare
con l'uomo. Lo strumento utilizzato per rendere nota la propria volontà sono
stati i profeti (da pro fuori, e femi esprimere). Dio parla agli
uomini servendosi di altri uomini.
Ebrei 1:2 in questi ultimi giorni ha parlato a noi mediante il suo
Figliuolo, ch'Egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale
pure ha creato i mondi;
La
Scrittura non intende mettere sullo stesso piano i profeti e il Figlio di
Dio, infatti il testo non afferma che Dio abbia parlato “tramite il Figlio”,
ma che Dio “ha parlato nel Figlio”, cioè che nel Figlio, il Padre stesso
ha espresso sè medesimo.Le Scritture attribuiscono vari titoli al Figlio:
Figlio
di Dio (Luca 1:35)
Figlio
del Padre (2Giovanni 3)
Figlio
dell'Altissimo (Luca 1:32)
Figlio
del Benedetto (Marco 14:61)
Figlio
del Suo amore (Colossesi 1:13)
Figlio
di Maria (Marco 6:3)
Figlio
di Giuseppe (Giovanni 1:45)
Figlio
del carpentiere (Matteo 13:55)
Figlio
di Davide (Matteo 1:1)
Figlio
di Abraham (Matteo 1:1)
Figlio
dell'uomo (Matteo 8.20)
Ebrei 1:3 il quale, essendo lo splendore della sua gloria e l'impronta
della sua essenza e sostenendo tutte le cose con la parola della sua potenza,
quand'ebbe fatta la purificazione dei peccati, si pose a sedere alla destra
della Maestà ne' luoghi altissimi,
Il
Figlio è presentato come:
1)L'erede
di tutte le cose
2)Il
creatore dell'universo
3)Lo
splendore della gloria di Dio
4)L'impronta
dell'essenza di Dio
5)Il
reggitore di tutte le cose
6)Colui
che purifica dai peccati
7)Colui
che si è assiso
1)
Quando un padre moriva, le sue sostanze venivano divise tra gli eredi. Se però quest'uomo aveva un solo figlio, tutta
l'eredità veniva assegnata a lui. Cristo è l'erede di tutte le cose che appartengono
al Padre, mentre questo è ancora vivente.
2)
Gesù Cristo non è stato creato, al contrario è lui il creatore di ogni cosa.
(Colossesi 1:16)
3)
Cristo è lo splendore (apaugasma) della gloria (onorabilità, fama, magnificenza, maestà, bellezza).
Tale espressione è intesa a convogliare sul Cristo una idea approssimativa
di ciò che è imperscrutabile.
4) La rivelazione di Dio in Cristo è talmente completa,
che si può senz'altro affermare che
egli è l'esatta espressione (carakter) dell'essenza divina. Il termine greco indicava
originariamente l'attrezzo usato per
intagliare, poi l'intaglio medesimo e in seguito la stessa riproduzione. L'essenza
(upostasis) è ciò
che Dio è. Cristo riproduce fedelmente in sè stesso ciò che
Dio (Padre e Spirito) è.
5) Cristo ha creato tutte le cose, ma in seguito
esse non sono state abbandonate a se stesse. L'universo non è un meccanismo
che una volta creato possa procedere da sé senza ulteriore assistenza. Cristo
continuamente dirige e controlla la sua stessa creazione. Cristo ha stabilito
le leggi che governano l'universo, ma all'occorrenza può anche interferire
in esse.
6) Cristo non ha “coperto” (nascosto) i peccati dei
credenti, la sua opera è stata ben più radicale: Egli ha compiuto una completa
“purificazione”. Tale purificazione non è stata effettuata solo in vista dei
“nostri” (dei credenti) peccati. Cristo è “Colui che toglie i peccati del
mondo” (Giovanni 1:29), anche se non è possibile pensare ad una salvezza di
tutti gli uomini, un giorno l'intero creato sperimenterà i benefici della
purificazione attuata da Cristo.
7) Le Scritture affermano che Cristo dopo aver compiuto
con la propria morte la purificazione dai peccati, si è posto a sedere alla
destra del Padre. Sedersi alla destra di un re equivaleva a condividerne la
regalità.
Ebrei 1:4 diventato così di tanto superiore agli angeli, di quanto
il nome che ha eredato è più eccellente del loro.
Ebrei 1:5 Infatti, a qual degli angeli disse Egli mai: Tu sei il mio Figliuolo, oggi ti ho generato?
e di nuovo: Io gli sarò Padre ed egli
mi sarà Figliuolo?
Evidentemente la chiesa alla quale era diretta questa epistola aveva
problemi a proposito dell'esatta comprensione della figura e dell’opera del
Cristo. In questo brano lo scrittore ispirato è impegnato a dimostrare che
il Cristo non è un semplice “messaggero”, come lo sono gli “angeli”.
Gesù ha tanti titoli, quello che ha acquistato con la propria morte e risurrezione
può essere solo quello di Redentore, titolo sicuramente più importante di
quello degli angeli che sono e rimangono solo messaggeri divini. Il brano
di Salmo 2:7 serve a dimostrare la centralità della risurrezione del Cristo.
Con l'attribuire il titolo di “Generato” al Cristo, le Scritture non fanno
riferimento a quella dottrina che trova definitiva formulazione nella cosiddetta
Confessione di Nicea (325 d.C.), dove è affermato a proposito del Cristo che
Egli fu “generato e non creato”. Il termine “generato”, nel NT
compare in Atti 13:33 ed Ebrei 1:5 e 5:5 tali brani sono citazioni dal Salmo
2:7. Il Salmo presenta la ribellione dei popoli contro il Signore e il suo
Prescelto (Unto), Dio annunzia la propria volontà di sottomettere tali nazioni
“generando” quell'Unto contro il quale le nazioni si sono ribellate. Il senso
complessivo del brano sembrerebbe essere quello di convergere l'attenzione
del lettore su tale misteriosa azione di Dio, attraverso la quale il suo Unto
viene proposto come giudice dei popoli. In Atti 13:33 Paolo annuncia la buona
novella relativa alla venuta del Cristo e il compimento delle promesse fatte
da Dio ai padri, realizzatesi con la risurrezione di Cristo dai morti, la
citazione di Salmo 2:7 è invocata a testimonianza della risurrezione di Gesù.
In Ebrei 1:5 e 5:5 il termine “generato” del Salmo diventa comprensivo oltre
che della risurrezione anche della glorificazione del Cristo alla destra del
Padre. Va altresì notato che il brano di Ebrei 5:5-6 il termine genarato è
posto in relazione all'assunzione di un ufficio, quello di sommo sacerdote,
pertanto “essere generato” è inteso come sinonimo di “diventare sommo sacerdote”.
Il Cristo risuscitato e glorificato alla destra del Padre è anche Colui che
è diventato intercessore a pro dei suoi. Interessante al riguardo anche Rom.1:4
in cui è affermato che Gesù “è dichiarato Figlio di Dio con potenza mediante
la sua risurrezione”. Siccome Cristo era Figlio di Dio prima della sua risurrezione,
il brano ha il senso di una dichiarazione tale agli occhi degli uomini.
Ebrei 1:6 E quando di nuovo introduce il Primogenito nel mondo, dice:
Tutti gli angeli di Dio l'adorino!
In
Romani 8:29 Cristo è il “primogenito tra molti fratelli”, in Colossesi 1:15 è “il primogenito di ogni creatura”, in
Col. 1:18 è “il primogenito dai morti”. Con questa espressione non si vuole dire che Gesù
Cristo sia stato il primo essere vivente creato da Dio Padre,dato che la Scrittura
dice che tutte le cose sono state create dal Padre con il concorso del Figlio
(Giov. 1:13; Col. 1:15,18 ). Nel caso la Scrittura avesse voluto affermare
che Cristo era stato la prima creatura di Dio, sarebbe stata usato il termine
greco "protoktisteos". La
parola primogenito è usata soltanto nove volte nel NT ( Mt. 1:25; Lc. 2:7;
Rom: 8:29; Col. 1:15,18; Ebr. 1:6; 11:28; 12:23; Ap. 1:5 ) e possiede due
sensi: può indicare il primo nato di una donna ( e il riferimento è chiaramente
alla generazione umana), ma può anche esprimere il rango, la preminenza, l'ufficio
di capo, la dignità di una persona, ( non diversamente dall'AT: Salmo 89:27;
Geremia 31:3 con Genesi 41:52; Esodo 4:22; 1 Cronache 5:1-2 con Genesi 25:28-34;
1Cron. 26:10; Deut. 21:16; in tutti questi brani non è in questione l'ordine
di nascita). Primogenito applicato al Cristo ha proprio il significato
di "preminente per rango".
Nel brano di Ebrei il termine Primogenito è usato senza alcuna limitazione
e descrive la dignità del Figlio. La citazione non è presente nell'AT, ma
potrebbe derivare “a senso”, dal Salmo 97:7 o forse dalla versione della LXX
di Deut. 32:43 (aggiunta tardiva?).
Ebrei 1:7 E mentre degli angeli dice: Dei suoi angeli Ei fa dei venti, e dei suoi ministri fiamme di fuoco,
Ebrei 1:8 dice del Figliuolo: Il
tuo trono, o Dio, è ne' secoli dei secoli, e lo scettro di rettitudine è lo
scettro del tuo regno.
Al v.7 il brano del Salmo 104:4 è invocato per sottolineare la natura
“creaturale” degli angeli, infatti di loro Dio “fa” (À¿¹É½). Invece al v.8 il Figliolo non è “fatto”
ossia “creato” poichè è identificato con Dio (YHWH), sulla base del Salmo
45:6-7. Gli angeli rimangono messaggeri soggetti a Dio. Mentre invece al Figlio
appartiene il governo dell’universo, rappresentato dallo scettro integro;
lo scettro non spezzato (retto) era il segno di amministrazione giusta ed
equa.
Ebrei 1:9 Tu hai amata la giustizia
e hai odiata l'iniquità; perciò Dio, l'Iddio tuo, ha unto te d'olio di letizia,
a preferenza dei tuoi compagni.
Gesù durante il proprio ministero terreno ha manifestato il carattere
di Dio, odiando l'iniquità e amando la giustizia. Tali caratteristiche hanno
prodotto i benefici effetti della vita in Cristo di cui godono i credenti.
Cristo a causa della propria sottomissione a Dio è stato unto dal Padre quale
reggitore dell’universo.
Ancora in questo brano si torna all'immagine dell'unzione regale.
L’espressione “a preferenza dei tuoi compagni” ha fatto credere a certuni
che Cristo fosse stato scelto quale Figlio di Dio, dal numero di esseri angelici
(compagni). In realtà se qui in questione sono angeli (nel salmo da cui è
tratta la citazione i “compagni” sono i re della terra) è solo per ricordare
che essi sono solo “compagni” del Cristo e nulla più.
Ebrei 1:10 E ancora: Tu, Signore,
nel principio, fondasti la terra, e i cieli son opera delle tue mani.
Ebrei 1:11 Essi periranno, ma
tu dimori; invecchieranno tutti come un vestito,
Ebrei 1:12 e li avvolgerai come un mantello, e saranno mutati; ma tu
rimani lo stesso, e i tuoi anni non verranno meno.
Questo
brano è una citazione da Salmo 102:25-27, e può essere messa in parallelo
con Ebrei 1:10-12:
“Tu Signore (il Figlio) nel principio fondasti
la terra” Ebrei 1:10
“Tu (YHWH) fondasti
la terra ab antico” Salmo
102:25
“E i cieli sono opera delle tue mani (del
Figlio)” Ebrei 1:10
“E i cieli sono
opera delle tue mani (di YHWH)” Salmo 102:25
“Essi periranno, ma tu (il Figlio) dimori”
Ebrei 1:11
“Essi periranno,
ma tu (YHWH) rimani” Salmo 102:26
“Invecchieranno tutti come un vestito” Ebrei 1:11
“Tutti quanti
si logoreranno come un vestito” Salmo102:26
“Come un mantello tu (il Figlio) li avvolgerai,
e saranno mutati” Ebrei 1:12
“Tu (YHWH) li
muterai come una veste e saranno mutati” Salmo 102:26
“Ma tu (il Figlio), rimani lo stesso, e
i tuoi (del Figlio) anni non verranno meno)” Ebrei 1:12
“Ma tu (YHWH)
sei sempre lo stesso, e i tuoi (di YHWh) anni non avranno mai fine”
Salmo 102:27
Tutto il brano è teso a dimostrare la differenza
tra il Figlio e gli angeli. Tale differenza si riduce a quella esistente tra
YHWH, il creatore, e le sue creature. Pur non essendo nell'AT molto sviluppata
la conoscenza della seconda persona della Trinità, nel NT imolti brani dell’AT
riferiti a YHWH vengono attribuiti anche al Figlio. Il brano in questione
identifica il Figlio con YHWH e non afferma che suo scopo è di stabilire che “la perennità della regalità del Messia è fondata
sull'eternità e immutabilità di Dio”
Ebrei 1:13 Ed a qual degli angeli disse Egli mai: Siedi alla mia destra
finché (mentre) abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi?
Viene citato ancora un salmo (Salmo 110). La parola “finchè” (ews), non deve far pensare che la regalità del Messia avrà
termine quando il Padre avrà assoggettato ogni nemico al Figlio (Marco 14:32
per un uso simile del termine ews)
Ebrei 1:14 Non sono eglino tutti spiriti ministratori, mandati a servire
a pro di quelli che hanno da eredare la salvezza?
Ebrei 2:1 Perciò bisogna che ci atteniamo vie più alle cose udite,
che talora non siam portati via lungi da esse.
“Aderire”
(prosecein) alle cose udite è l'unico modo per impedire che
esse ci vengano portate via. In ambito cristiano risulta intollerabile la
libera espressione della superficialità, dell'apatia e dell'indifferenza.
Diventare sordi alla Parola di Dio, anche per correre dietro a rivelazioni
personali ci espone all'azione della nostra carnalità.
Ebrei 2:2 Perché, se la parola pronunziata per mezzo d'angeli si dimostrò
ferma, e ogni trasgressione e disubbidienza ricevette una giusta retribuzione,
Il
riferimento è alla tradizione giudaica, che riteneva che la Legge mosaica
fosse stata promulgata al Sinai per mezzo di messaggeri angelici. Il messaggio
del Cristo implica maggiore responsabilità. La legge mosaica si rivelò severa
a causa delle punizioni imposte su quanti ne trasgredivano i precetti. Trasgressioni
(parabasis) erano le positive infrazioni alla legge, le disobbedienze
(parakoh) , erano invece le inadempienze nei confronti della
medesima legge.
Ebrei 2:3 come scamperemo noi se trascuriamo una così grande salvezza?
La quale, dopo essere stata prima annunziata dal Signore, ci è stata confermata
da quelli che l'aveano udita,
Ebrei 2:4 mentre Dio stesso aggiungeva la sua testimonianza alla loro,
con de' segni e de' prodigi, con opere potenti svariate, e con doni dello
Spirito Santo distribuiti secondo la sua volontà.
Il
v.3 ci ricorda che è peccato non soltanto rifiutare l'evangelo, ma anche trascurarne
l'importanza. In Matteo 22:5 troviamo usato lo stesso verbo (amalesantes).
Il
Signore è stato il primo annunziatore della buona novella, anche se suo scopo
principale fu quello di agire in modo che vi fosse una buona novella da proclamare.
Al v.4 è ricordata l'importanza dei testimoni oculari del messaggio di Cristo,
nell'opera di trasmissione dell'evangelo.
Il
v.4, fa anche riferimento a segni, prodigi e miracoli (i termini si trovano
assieme ma in ordine inverso in Atti 2:22,
ed i primi due in 2Tess. 2:29). I segni ratificano l'autorevolezza del messaggio
annunziato e di colui che lo annunzia (sono segni i miracoli di Gesù, poichè
questi rimandano alla sua autorità come Figlio di Dio: Marco 1:26). Il segno
può essere sia un miracolo, che un prodigio (miracoli e prodigi sono sempre
segni, ossia sono testimonianza dell’opera di salvezza del Cristo, per tale
motivo Dio non compie miracoli o prodigi inutili). Il termine italiano “miracolo”
(dunameis, potenza), deriva dal latino “miraculum” che significa
“prodigio”, tale origine linguistica fonde in una sola parole i termini scritturali
“miracolo” e “prodigio”, che invece bisognerebbe tenere distinti.
Il
miracolo (guarigione fisica ed esorcismo) punta sempre a Gesù, esso è fatto
a chi crede già a Gesù (Marco 1:13). I miracoli non sono uniformemente distribuiti
nel corso della storia della salvezza, notiamo un loro incremento nel corso
dell'esodo, durante il conflitto con il paganesimo al tempo di Elia ed Eliseo,
al tempo di Gesù. Va altresì notata una certa riluttanza di Gesù a compiere
miracoli su larga scala, forse perchè questo sarebbe risultato a detrimento
dell'insegnamento.
Il
termine “prodigio” (terasin) , pone enfasi sullo sbalordimento che il miracolo
lascia in coloro che ne sono testimoni.
Ebrei 2:5 Difatti, non è ad angeli ch'Egli ha sottoposto il mondo a
venire del quale parliamo;
E'
molto probabile che il mondo avvenire del quale si parla sia quello inaugurato
dalla risurrezione del Figlio.
Ebrei 2:6 anzi, qualcuno ha in un certo luogo attestato dicendo: Che cos'è l'uomo che tu ti ricordi di lui o
il figliuol dell'uomo che tu ti curi di lui?
Ebrei 2:7 Tu l'hai fatto di poco
inferiore agli angeli; l'hai coronato di gloria e d'onore;
Nota
il generico riferimento all'AT. L'uso dell'aoristo rende preferibile la traduzione
“tu l'avevi fatto”. Il termine “poco”, ha un senso sia locale che temporale,
il secondo senso è quello da preferire. E' seguita la versione dei LXX, mentre
l'ebraico dice “l'hai fatto di poco inferiore a Dio”.
Ebrei 2:8 tu gli hai posto ogni
cosa sotto i piedi. Col sottoporgli tutte le cose, Egli non ha lasciato
nulla che non gli sia sottoposto. Ma al presente non vediamo ancora che tutte
le cose gli siano sottoposte;
Ebrei 2:9 ben vediamo però colui che è stato fatto di poco inferiore
agli angeli, cioè Gesù, coronato di gloria e d'onore a motivo della morte
che ha patita, onde, per la grazia di Dio, gustasse la morte per tutti.
Il
brano dell'AT citato è quello del Salmo 8. Il Salmo sembrerebbe far riferimento
all'umanità in generale, ma l'autore dell'epistola agli Ebrei vi legge una
descrizione del dominio spirituale e materiale dell'Uomo che rappresenta tutti
gli uomini, Gesù.
Vi è una certa difficoltà a stabilire se la lezione
del brano sia “per la grazia di Dio” (cariti qeou), oppure “senza”, “separatamente da Dio” (cwris qeou). La seconda lezione è contenuta in soli due manoscritti
(0121b, 1739) è sembrerebbe essere stata ricavata dal brano di Matteo 15:34.
Ebrei 2:10 Infatti, per condurre molti figliuoli alla gloria, ben s'addiceva
a Colui per causa del quale son tutte le cose e per mezzo del quale sono tutte
le cose, di rendere perfetto, per via di sofferenze, il duce della loro salvezza.
Interessante
l'espressione utilizzata per descrivere il Figlio. Essa non va intesa come
una ripetizione del medesimo concetto. Cristo non solo è Colui “per mezzo
del quale sono tutte le cose” (di¢ on
ta panta), essendone il creatore,
ma è anche Colui “cagione del quale sono tutte le cose” (di ou ta panta). L'illuminismo ha influenzato a tal punto la mentalità dell'uomo occidentale,
da fargli ritenere che il mondo abbia come centro l'uomo stesso ed i propri
bisogni. Diversamente insegna la Scrittura, Dio compie ogni propria azione
per darsi gloria. E' proprio questa la prospettiva che dovrebbe essere tenuta
ferma nelle nostre riflessioni teologiche.
L'espressione
“fu reso perfetto dalle sofferenze” non deve essere intesa nel senso che le
sofferenze perfezionarono un essere imperfetto dal punto di vista morale,
il significato di teleiosan è quello di “rendere adeguato” o “completamente
efficace”. Senza tali sofferenze Cristo
non sarebbe risultato completamente efficace nel proprio ruolo vicario di
rappresentante dell'umanità.
Ebrei 2:11 Poiché e colui che santifica e quelli che son santificati,
provengono tutti da uno; per la qual ragione egli non si vergogna di chiamarli
fratelli,
Il
verbo santificare ha nell'epistola agli Ebrei, lo stesso significato di giustificare
nelle epistole paoline. Essere santificati è l'atto compiuto da Dio nelle
nostre vite per mezzo del quale possiamo accedere alla presenza di un Dio
tre volte santo. La santificazione ha dunque in questo caso più una connotazione
giuridica che etica, ossia muta la nostra relazione con Dio piuttosto che
il nostro carattere.
Ebrei 2:12 dicendo: Annunzierò
il tuo nome ai miei fratelli; in mezzo alla raunanza canterò la tua lode.
E'
una citazione del Salmo 22:22. Il salmista faceva riferimento ad un'esperienza
di liberazione dalla sofferenza, in Ebrei il riferimento è alla risurrezione
ed all'esaltazione del Cristo.
Ebrei 2:13 E di nuovo: Io metterò
la mia fiducia in Lui. E di nuovo: Ecco me e i figliuoli che Dio mi ha dati.
E'
ancora citato l'AT: 2Sam. 22 e Isaia 8:18. L'AT è ritenuto dall'autore dell'epistola
agli Ebrei un testo vivo e come tale usato in modo funzionale agli argomenti
tesi a dimostrare la dignità della figura del Cristo. Il brano di Isaia 8:18
si riferiva originariamente allo stesso Isaia ed ai suoi due figli, il nostro
autore vede in Isaia una figura del Cristo, e nei figli una figura del resto
fedele che Cristo sarebbe venuto a salvare.
Ebrei 2:14 Poiché dunque i figliuoli partecipano del sangue e della
carne, anch'egli vi ha similmente partecipato, affinché, mediante la morte,
distruggesse colui che avea l'impero della morte, cioè il diavolo,
Cristo
divenne uomo non solo in “apparenza” ma “realmente”. Il termine “distruggesse”
(katargese) significa propriamente “rendere nullo”, cioè rendere
impotente. Cristo espiando il peccato dell'uomo sulla croce, ha reso impotente
colui che aveva il potere della morte. Non viene però affermato che Cristo
ha abolito la morte stessa. Per il credente la morte ha perduto il proprio
pungiglione (1Cor. 14:55).
Ebrei 2:15 e liberasse tutti quelli che per il timor della morte erano
per tutta la vita soggetti a schiavitù.
Probabilmente
il significato del brano è: “e liberasse tutti quelli che per il timore suscitato
dalla morte erano per tutta la vita soggetti ad una sorta di schiavitù”. La
conoscenza della volontà e della persona di Dio che le Sacre Scritture ci
offrono, è uno dei canali attraverso cui si esprime tale liberazione.
Ebrei 2:16 Poiché, certo, egli non viene in aiuto ad angeli, ma viene
in aiuto alla progenie d'Abramo.
In
Romani 4 è affermato che Abramo credette a Dio e ciò gli fu contato come espressione
di salvezza (giustificazione).
Ebrei 2:17 Laonde egli doveva esser fatto in ogni cosa simile ai suoi
fratelli, affinché diventasse un misericordioso e fedel sommo sacerdote nelle
cose appartenenti a Dio, per compiere l'espiazione dei peccati del popolo.
Il
termine “doveva” (ofeilo), indica l'obbligazione morale di divenire un uomo
tra gli uomini. Essere “reso simile in ogni cosa”, ha a che fare con il condividere
le prove, le tentazioni, il dolore e la pena degli uomini. Ma tale similarità
ebbe delle eccezioni: Cristo non nacque come un uomo normale (nacque da una
vergine), visse senza peccare, e morì per i peccati del mondo secondo le Scritture.
Ebrei 2:18 Poiché, in quanto egli stesso ha sofferto essendo tentato,
può soccorrere quelli che son tentati.
La
conoscenza che Cristo possiede delle nostre sofferenze non è qualcosa di teorico.
Ebrei 3:1 Perciò, fratelli santi, che siete partecipi d'una celeste
vocazione, considerate Gesù, l'Apostolo e il Sommo Sacerdote della nostra
professione di fede,
Queste
due funzioni furono ricoperte, sotto l'antico Patto, da Mosè e da Aaronne.
Mettendo per il momento da parte l'ufficio di sacerdote, che sarà discusso
in seguito, l'autore dell'epistola agli Ebrei si concentra sulla funzione
di ambasciatore svolta dal Cristo. Il termine “fratelli santi” è di derivazione
vetero-testamentaria, tutti gli ebrei si consideravano fratelli. Anche il
termine “santi” acquista una connotazione “etica”. Il termine “santo” era
nell'AT posto in relazione tanto con la separazione da cose materiali (mestruo,
morti, malati), quanto con specifici peccati (adulterio, omosessualità, omicidio).
Nel NT il termine “santo” non indica più la separazione dalla sporcizia del
corpo, ma la sola separazione dal peccato.
Ebrei 3:2 il quale è fedele a Colui che l'ha costituito, come anche
lo fu Mosè in tutta la casa di Dio.
La
fedeltà è la caratteristica dell'autentico ambasciatore. In Num. 12:7, Mosè
era stato dichiarato “fedele in tutta la casa”. Tale brano è usato dagli anti-trinitari
per affermare la creaturalità di Cristo, infatti “costituito” significa propriamente
“fatto”, “creato” (poiesanti), ma il riferimento
è qui alla natura dell'ufficio che Cristo ha acquisito con l'incarnazione.
Ebrei 3:3 Poiché egli è stato reputato degno di tanta maggior gloria
che Mosè, di quanto è maggiore l'onore di Colui che fabbrica la casa, in confronto
di quello della casa stessa.
“Casa”
indica l'intero popolo di Dio. Cristo è il costruttore della casa, Mosè pur
occupando una posizione di grande importanza, era soltanto un membro o una
parte della casa.
Ebrei 3:4 Poiché ogni casa è fabbricata da qualcuno; ma chi ha fabbricato
tutte le cose è Dio.
L'autore
dell'epistola non opera alcuna separazione tra Cristo e Dio. In 1:2 Dio è
il creatore e il Figlio è il mediatore, in 2:10 il Padre è presentato come
il mediatore della creazione (dia con il genitivo).
Ebrei 3:5 E Mosè fu bensì fedele in tutta la casa di Dio come curatore
per testimoniar delle cose che dovevano esser dette;
Il
termine “curatore” (qerapon), è usato invece del più comune “domestico” (oiketes)
o “servo-schiavo” (doulos). Si desidera con ciò porre in evidenza il carattere
di intimità tra Dio e Mosè. La funzione di Mosè era transitoria, si vuole
ovviamente far riferimento non soltanto a Mosè in quanto persona, ma alla
stessa legislazione mosaica. Va ricordato che le prescrizioni della legge
mosaica abolite in Cristo, sono perlopiù quelle di tipo cerimoniale.
Ebrei 3:6 ma Cristo lo è come Figlio, sopra la sua casa; e la sua casa
siamo noi se riteniam ferma sino alla fine la nostra franchezza e il vanto
della nostra speranza.
L'espressione
“ferma sino alla fine” non è presente nei codici B e P46, infatti mentre “il
vanto” è neutro, “ferma” è femminile.
Ebrei 3:7 Perciò, come dice lo Spirito Santo, Oggi, se udite la sua voce,
Ebrei 3:8 non indurate i vostri
cuori, come nel dì della provocazione, come nel dì della tentazione nel deserto
Ebrei 3:9 dove i vostri padri
mi tentarono mettendomi alla prova, e videro le mie opere per quarant'anni!
Ebrei 3:10 Perciò mi disgustai
di quella generazione, e dissi: Sempre erra il cuor loro; ed essi non han
conosciuto le mie vie,
Ebrei 3:11 talché giurai nell'ira
mia: Non entreranno nel mio riposo!
La
citazione di Ebrei 3:7-11 è tratta dal Salmo 95:7-11, ed è attribuita alla
“voce” dello Spirito Santo. Lo Spirito
“dice”, il tempo presente indica che la terza persona della Trinità parla
ancora.
Lo
Spirito parla tramite Qualcuno che è più grande di Mosè. Oggi lo Spirito esorta
al ravvedimento.
Il
salmo fa riferimento alle ribellioni verificatesi a Meribah (Es. 17:1-7) e
a Massah (Num. 14:1-13), all'inizio e alla fine del pellegrinaggio di 40 anni
nel deserto. L’intenzione dell’autore è quella di convincere i lettori ebrei
dell’epistola che anche Israele dal principio alla fine delle sue peregrinazioni
nel deserto fu il destinatario dell’esortazione di Dio al ravvedimento dalle
proprie ribellioni.
L'obiezione
rabbinica (vecchia quanto il cristianesimo) che affermava essere le citazioni
dell'AT presenti nel NT, prese fuori dal loro contesto e significato, e dunque
applicate artificialmente alla vita del Cristo, è estremamente superata (Dialogo
con Trifone). Gli autori neotestamentari hanno compreso l'AT non diversamente
da come facevano i rabbini del tempo, ossia cercando di cogliere in primo
luogo il “significato letterale” o “grammaticale” di quanto veniva detto.
Quanti
ritengono che lo Spirito Santo abbia illuminato gli autori del NT a cogliere nei brani dell'AT elementi dottrinali
“nascosti”, è probabile che non abbiano compreso il senso delle citazioni.
I
Vangeli, fanno largo uso dell'Antico testamento, sopratutto per mostrare che
il Cristo è realmente venuto secondo quanto le profezie al suo riguardo anticipavano.
Le citazioni che i Vangeli mostrano sono per lo più attinte dalla versione
greca dell'Antico Testamento, la versione dei Settanta (LXX o Septuaginta);
non dovremmo dunque sorprenderci di trovare deviazioni minime rispetto alla
traduzioni in italiano, dal testo ebraico, contenute nelle nostre Bibbie.
Il perchè dell'uso di una versione greca dell'AT piuttosto di quella ebraica,
trova la propria ragion d 'essere nel fatto che la chiesa delle origini era
composta in massima parte da persone provenienti da aree geografiche in cui
era usato il greco come lingua internazionale, e non piuttosto l'ebraico,
per cui risultava più che naturale utilizzare come testo sacro tanto per l'insegnamento
teologico la suddetta versione dei Settanta. Le citazioni dall'AT, sono sovente
precedute dal verbo “adempiere”, (plerein),
il quale a secondo dei contesti assume significati di volta in volta differenti.
Considerando i limiti del presente studio,, concentreremo la nostra attenzione
su solo due “tipi” di citazioni: il primo tipo può essere presentato attraverso
il brano di Matteo 2:6, Erode desideroso di conoscere il luogo dove il Messia
promesso sarebbe dovuto nascere,consulta i sacerdoti e gli scribi, questi
sulla scorta del brano di Michea 5:2, riferiscono che il Messia sarebbe nato
a Bethleem di Giuda: “E tu, Betleem di Giuda, non sei punto la minima fra
le città principali di Giuda; perché da te uscirà un principe, che pascerà
il mio popolo Israele”. Questa citazione è una profezia, ossia una anticipazione
delle vicende che avrebbero caratterizzato la vita del Messia. Il secondo
tipo di citazioni, può essere esemplificato dal brano di Matteo 2:15: “Fuor
d'Egitto chiamai il mio figliolo”, l'evangelista cita questo passo tratto
da Osea 11:1, in relazione alla fuga di Giuseppe in Egitto onde sottrarsi
alla follia di Erode.
Il
brano di Osca fa riferimento alla vicenda storica di Israele che fu portato
da Dio “fuori dall'Egitto”. In che modo questo brano si lega alla vita del
Cristo? L'evangelista parla di “adempimento” nel senso che ha inteso operare
nelle vicende della vita di Gesù gli stessi “principi” che hanno operato nel
caso della storia di Israele. Infatti tanto Israele quanto il Cristo sono
stati in maniera sovrannaturale liberata dalla mano di un re oppressore, tanto
Israele quanto Cristo sono stati salvati da una persona a cui Dio aveva parlato
(Mosè e Giuseppe), tanto Israele quanto Cristo hanno trovato scampo uscendo
da una nazione ed entrando in un'altra: dall'Egitto dirigendosi verso Canaan,
nel caso di Israele, dalla Giudea per dirigersi verso l'Egitto nel caso di
Gesù e della sua famiglia terrena.
Possiamo
concludere affermando che Matteo non è interessato alla “lettera” della citazione,
quanto piuttosto alla vicenda che il brano citato evoca, non importa dunque
se la citazione parla di una uscita dall'Egitto mentre Giuseppe vi entra (è
lo stesso angelo che appare in sogno a Giuseppe, ad offrire spunto per una
connessione delle vicende del Cristo, ai principi di azione liberatrice di
Dio proposti nell'Esodo; infatti l'angelo dice a Giuseppe: “Levati prendi
il fanciullino e sua madre, e vattene nel paese di Israele;perché sono
morti coloro che cercavano la vita del fanciullino” Matteo 2:20, espressione
simile a quella di Esodo 4:19,”Or l'Eterno disse a Mosè in Madian: Va tornatene
in Egitto, perché tutti quelli che cercavano di toglierti la vita son morti.”).
Abbiamo
individuato due modi differenti di citare l'Antico Testamento da parte del
Nuovo, il primo potremmo definirlo “esplicito”, in tal caso il brano citato
si lega con “evidenza” immediata alle vicende presentate, il secondo potremmo
definirlo “implicito”, in tal caso la citazione ha bisogno di essere “mediata”
da una comprensione preliminare del testo dell'AT da cui è tratta.
Scartiamo
sempre un uso dell'AT in chiave “allegorica” o secondo il modello “tipo/antitipo”;
per quanto concerne la allegoria il NT usa questo termine in brani come Gal.
4:24, dove è evidenziato come nelle vicende narrate nell'AT siano presenti
“principi” caratterizzanti l'azione salvifica
di Dio nei confronti dell'uomo, principi che il NT ripropone (tali
principi hanno a che fare con la manifestazione del carattere di Dio).
Con
ciò non si avalla una interpretazione “ciclica” della storia, ma di una presentazione
del carattere di Dio che dona contenuto alla storia stessa. L'allegoria nel
suo senso biblico, senso diverso da quello patristico e medievale, non è un
metodo interpretativo inteso a far affiorare dalla Scrittura tutto il possibile
e il suo contrario (significati infiniti), piuttosto è occasione di riflessione
su quanto detto esplicitamente dalla Scrittura a proposito del carattere divino.
Pensiamo per avere un’idea della “allegoria” non biblica (non sottomessa al
dato scritturale agli eccessi interpretativi dello scritto databile al I°sec.
che va sotto il nome di “Epistola di Barnaba”: un esempio di”eccesso interpretativo”
tratto dalla Epistola di Barnaba è quello che fa ritenere al suo scrittore
che in tutti i luoghi dell'AT nei quali si parla di “legno” sia da riconoscere
la “croce” del Cristo).
II
metodo allegorico finisce con lo stabilire collegamenti spesso illeciti,tra
vecchio e nuovo Patto (pensiamo alla figura, ad esempio ,di Giuseppe figlio
di Giacobbe,che è spesso presentato.come “una bella figura del Cristo”, dove
la Scrittura non stabilisce questo tipo di collegamento.
In
Romani 5:14, si fa riferimento ad Adamo come “tipo” di Cristo, ad una lettura
ettenta del testo in questione comprendiamo che Paolo non vuole affatto dire
che Adamo con i suoi atti anticipa quelli del Cristo, quanto piuttosto che
lì dove la disubbidienza di uno , ha esteso una condanna a tutta l'umanità,
l'ubbidienza di uno (Cristo), ha esteso la benedizione a tutto il genere umano.
Paolo
sa coglier alcuni elementi nodali in cui le due figure si incontrano e sovrappongono:
A)
tutti e due stanno all'inìzio di un corso decisivo della storia,sia pure con
esiti diversi. E' una vera è propria creazione-ricreazione quella che ognuno
dei due comincia;
B)
tutti e due hanno una “rappresentatività corporativa”, in virtù della quale
i destini dell'umanità sono legati a ciascuno di loro ; l'uno restaura ciò
che l'altro distrugge. II riferimento ad Adamo può tornare utile anche per
chiarire come l'Antico Testamento non “anticipi” o “provi” il contenuto del
Nuovo Testamento soltanto ma anche come esso evidenzi una “continuità” di
progetto da parte di Dio, il quale non si smentisce ma si supera.
Cerchiamo
di applicare ora alcune delle conclusioni affermate a qualche brano della
Scrittura; in Matteo 1:23 è citato un brano tratto da Isaia 7, in quest'ultimo
apprendiamo di una guerra in corso nel 734 a.C, tra il regno di Giuda, sul
quale regnava Acaz, e una coalizione formata dal regno di Siria e da Israele
(Efraim) .
L'Eterno
per il tramite di Isaia promette non soltanto di far fallire i piani di conquista
della coalizione Siro-Efraimita, ma anche di fiaccare entro 65 anni (il TM
su questo punto presenta varianti) definitivamente Efraim. A suggello (garanzia)
di tale profezia Acaz è esortato a chiedere un segno, al suo rifiuto Isaia
(v.I4) presenta il segno che l'Eterno ha scelto: la giovane (una persona nota
tanto ad Isaia quanto ad Acaz) partorirà un figliolo a cui sarà posto nome
Emmanuele.
Prima
che questo fanciullo sappia “discernere il bene dal male” il paese dei due
sovrani coalizati contro Israele sarà devastato (v.16); il “discernimento”
secondo la tradizione ebraica era acquisito dal fanciullo (un maschio) al
raggiungimento dei 12-13 anni (attualmente è ufficializzato con la festa del
Bar-T'itwa) . Il senso del “segno” dell'Emmanuele è dunque il seguente: entro
circa 13 anni al massimo dalla nascita di “un certo fanciullo da una certa
giovane”, la Siria ed Efraim sarebbero andati incontro un progressivo decadimento,
fino alla complèta distruzione di Efraim nel volgere di 65 anni.
Tornando
a Matteo 1:23, l'angelo apparso in sogno a Giuseppe comunica che quanto sta
per nascere per il tramite di Maria è “segno” del favore divino; la citazione
tratta da Isaia vuole connettere esplicitamente la vicenda miracolosa della
nascita del Cristo, al segno di liberazione dal nemico e dunque di benedizione
promesso da Isaia ad Acaz; come il “segno” dell'Emmanuel sarebbe stato indice
di salvezza per il regno di Giuda ma di giudizio per i regni coalizzati di
Siria ed Efraim, allo stesso modo il Cristo con la propria opera sarebbe stato
segno di contraddizione (Luca 2:34:”posto a caduta e rialzamento di molti
in Israele”). Riassumiamo chiarendo ulteriormente, la citazione da Isaia nel
Vangelo di Matteo vuole attirare l'attenzione sul valore di “segno” di salvezza
e contemporaneamente giudizio che due “nascite” hanno posseduto, la prima
quella di un fanciullo chiamato Emmanuel avvenuta durante il regno di Acaz,
la seconda quella del Cristo.
Le
due nascite pur nella loro specificità storica (contesto differente, natura
del nascituro differente) manifestano una modalità di azione di Dio, e quindi
un aspetto del Suo carattere.
Vorremmo
aggiungere anche che Gesù non nacque da “vergine” per assumere le caratteristiche
di “uomo senza peccato”, come affermato dalla teologia cattolica, piuttosto
Dio scelse quel modo per far venire al mondo il Figlio per dare un segno della
propria capacità di irruzione miracolosa nella storia degli uomini; inoltre
secondo l'interpretazione data al brano di Matteo 1:23 questo non mira affatto
ad informarci che Gesù nacque da una donna che non aveva avuto rapporti sessuali
con un uomo (da una “vergine”), nè che il”vero” nome di Gesù fosse Emmanuele
(ebr. Dio con noi), essendo tale nome citato solo perché presente nel brano
di Isaia.
Alcuni
parti molto limitate dell'Antico come del Nuovo Testamento richiedono l'uso
delle suddette letture. Per quanto concerne l'utilizzo del metodo “allegorico”
pensiamo all'interpretazione del contenuto di brani presenti nei libri di
Zaccaria, Ezechiele, Daniele, Apocalisse; per il metodo “tipologico” a brani
dei libri del Levitico e dell'Epistola agli Ebrei.
L'uso
di un metodo anziché un altro non è a discrezione dell'interprete, essi devono
trovare ratifica da parte della stessa Scrittura, cercheremo ad esempio di
mettere da parte tanto l'allegoria quanto la tipologia nell'analisi di quel
libro dell'AT che va sotto il nome di Cantico dei Cantici, non avallando la
stessa Scrittura una sua lettura in tali sensi.
La
Sunamita che corteggia il re, non sarà dunque intesa come un “tipo” della
Chiesa nel proprio corteggiare il Signore, o come un'allegoria delle vicende
dell'anima credente nei suoi rapporti con
il
Creatore, nel caso in questione una lettura del testo tesa a comprenderne
il contenuto inquadrandolo nella propria cornice culturale e storica (metodo
storico-grammaticale), permetterà di comprenderne il senso come apprezzamento
dell'amore nel suo duplice aspetto di spiritualità e sensualità.
Tal
e modo di procedere potrà sembrare ad alcuni uno svuotare la Scrittura della
propria “profondità”, ma il “sola Scrittura” ci costringe a censurare tutto
quanto non è fondato su affermazioni “esplicite” da parte della Scrittura
medesima: “sta scritto” e “non oltre ciò che è scritto” sono ancora regole
di qualsiasi ortodossa interpretazione.
Il
rapporto tra Antico e Nuovo Testamento è particolarmente esplicito lì dove
il primo è citato dal secondo. Un particolare tipo di citazione è quello a
cui appartiene il brano di Marco 1:2-3 dall'evangelista attribuita al profeta
Isaia: “Ecco, Io mando davanti a te il Mio messaggero a prepararti la via...”,
tale brano è in realtà presente in Malachia 3:1 dove appaiono varianti significative,”davanti
a me” piuttosto che il “davanti a tè” di Marco , “a prepararmi” invece che
“a prepararti”. Tali varianti sono spiegabili con l'estrema libertà con la
quale gli scrittori del Nuovo Testamento si confrontavano con i testi dell'AT
(testo vivente) in modo particolare quando bisognava utilizzarlo per circostanziare
le vicende della vita terrena del Cristo.
E'
possibile congetturare per il brano di Marco 1:2-3 la trascrizione fedele
da parte dell'evangelista del modo con il quale
Giovanni Battista presentava il brano di Malachia (possederemmo in
tal modo una prova ulteriore della storicità della predicazione del Battista,
infatti lo scrittore ispirato avrebbe ben potuto adeguare le propria citazioni
al testo dell'AT).
Molto
più verosimilmente ci troviamo in presenza di un caso di “conflazione”, fenomeno
molto frequente nel NT , in virtù del quale due brani scritturali provenienti
da autori differenti vengono posti sotto il nome di un solo autore, di solito
quello della parte di citazione più conosciuta. Sembra anche che gli ebrei
usassero dividere le Scritture dell'AT in Legge, Profeti, Scritti(Agiografi).
La sezione degli “Scritti” era intitolata “Salmi” in quanto questo libro appariva
come il primo della raccolta, è probabile che la raccolta dei “Profeti” fosse intitolata
ad Isaia, ed ogni citazione dalla raccolta veniva presentata come tratta”da Isaia”. Però lo studioso della Scrittura
Lightfoot, citando il rabbino David Zimchi, è convinto che invece la raccolta
degli scritti profetici fosse intitolata invece a Geremia (vedi Matteo 27:9-10).
Ebrei 3:12 Guardate, fratelli, che talora non si trovi in alcuno di
voi un malvagio cuore incredulo, che vi porti a ritrarvi dall'Iddio vivente;
L'autore
dell'epistola considerava seriamente la prospettiva che in mezzo al popolo
di Dio potessero esservi delle persone incredule. Confessarsi credenti non
significa necessariamente esserlo! Ora l'incredulità è contagiosa, pertanto
il rimedio a tale veleno appare essere il “guardare” (blepete vedi
per lo stesso significato anche Mc. 4:24, 8:15, Atti 13:40), ossia propriamente
il “vegliare” affinchè non ci si “ritragga” (aposthnai), da Dio. Il termine “apostasia” nella Scrittura non designa mai l'allontanamento
dei credenti dalla fede (Atti 21:21; 2Tess. 2:3).
Ebrei 3:13 ma esortatevi gli uni gli altri tutti i giorni, finché si
può dire: 'Oggi', onde nessuno di voi sia indurato per inganno del peccato;
In
questo brano è chiarito il senso della comunione fraterna, essa è permessa
dal Signore per la reciproca edificazione. Tutti i giorni i credenti sono
chiamati a lavorare sulla propria fede per evitare che il peccato possa diventare
un elemento “normale” all'interno delle nostre esistenze
Ebrei 3:14 poiché siam diventati partecipi di Cristo, a condizione
che riteniam ferma sino alla fine la fiducia che avevamo da principio,
Diventare
“partecipi di Cristo” possiede lo stesso significato dell'espressione “non
più io ma Cristo” (Gal. 2:20).
Ebrei 3:15 mentre ci vien detto: Oggi,
se udite la sua voce, non indurate i vostri cuori, come nel dì della provocazione.
Gli
israeliti nel deserto sperimentarono l'incredulità, i loro cuori erano “induriti”,
ossia l'orientamento delle proprie persone era del tutto refrattario all’zione
di Dio.
Ebrei 3:16 Infatti, chi furon quelli che dopo averlo udito lo provocarono?
Non furon forse tutti quelli ch'erano usciti dall'Egitto, condotti da Mosè?
L'autore
dell'epistola sembra qui voler dire che coloro che si allontanarono da Dio
non erano persone differenti da quelle che ebbero la forza di ribellarsi al
giogo degli egiziani.
Ebrei 3:17 E chi furon quelli di cui si disgustò durante quarant'anni?
Non furon essi quelli che peccarono, i cui cadaveri caddero nel deserto?
Proprio
coloro che ottennero la liberazione dall'Egitto caddero nel deserto! Ciò sembra
significare che caddero coloro che avevano sperimentato i benefici della liberazione
Ebrei 3:18 E a chi giurò Egli che non entrerebbero nel suo riposo,
se non a quelli che furon disubbidienti?
Ebrei 3:19 E noi vediamo che non vi poterono entrare a motivo dell'incredulità.
Gli
israeliti che si ribellarono a Dio nel deserto, a causa della propria incredulità
non poterono ottenere di entrare in Canaan, la Terra Promessa.
Ebrei 4:1 Temiamo dunque che talora, rimanendo una promessa d'entrare
nel suo riposo, alcuno di voi non appaia esser rimasto indietro.
Viene
proposto un paragone: coloro che oggi si ribellano a Dio, rischiano di non
godere della giustificazione. Bisogna pertanto “temere” (fobhqwmen) non tanto per se stessi, quanto piuttosto per coloro che “appaiono
essere rimasti indietro” (dokh tis
ex umwn usterhkenai)
Ebrei 4:2 Poiché a noi come a loro è stata annunziata una buona novella;
ma la parola udita non giovò loro nulla non essendo stata assimilata per fede
da quelli che l'avevano udita.
Anche
agli israeliti usciti dall'Egitto era stata comunicata una “buona notizia”,
ma diversamente dai destinatari dell'epistola essa non era “stata assimilata
per fede” (sugkekerasmenous th pistei
tois akousasin), il participio perfetto
usato ci fa comprendere che l'azione qui evocata ha a che fare con l'esperienza
iniziale della salvezza. Si vuole con ciò dire sottolineare che diversamente
dagli israeliti ribelli, i credenti oggetto delle esortazioni hanno creduto
di cuore nell'evangelo e pertanto sono salvati.
Ebrei 4:3 Poiché noi che abbiam creduto entriamo in quel riposo, siccome
Egli ha detto: Talché giurai nella mia
ira: Non entreranno nel mio riposo! e così disse, benché le sue opere
fossero terminate fin dalla fondazione del mondo.
Coloro
che credono sperimentano il “riposo di Dio”.
Il
termine “riposo” in questa epistola ha diversi significati:
1)
in Gen 2:2 si parla di un “riposo di Dio” dopo i sei giorni della creazione.
E' evidente da altri contesti che Dio non ozia (Giov. 5:17). Il Signore non
“crea più” (ciò ha certamente delle conseguenze scientifiche importanti: ad
esempio legittima la fede nella fissità delle specie, diversamente da quanto
ritiene l'evoluzionismo) ma è comunque attivamente impegnato nell'opera di
sostegno della creazione, ma si occupa anche della redenzione dei credenti;
2)
in Ebrei 3:7-11 si parla del “riposo di Canaan” (Deut. 1:34-36; 12:9; Giosuè 23:1). La citazione è tratta dal Salmo
95, dove non sembra essere in vista solo l'ingresso in Canaan (infatti anche
Mosè morì prima di godere di quel riposo, ciononostante egli apparve a Cristo
sul monte della trasfigurazione, inoltre per il fatto che essa è offerta ancora
agli Israeliti residenti in Canaan significa che essa non si identifica con
il possesso della Terra), quanto soprattutto la tregua da parte dei nemici,
non diversamente da quella che realizzò Giosuè nel momento in cui conquistò
la Terra Promessa;
3)
il “riposo sabatico” è un termine che ha il medesimo significato di “paradiso”
(Ap. 14:13)
Ebrei 4:4 Perché in qualche luogo, a proposito del settimo giorno,
è detto così: E Dio si riposò il settimo
giorno da tutte le sue opere;
Ebrei 4:5 e in questo passo di nuovo: Non entreranno nel mio riposo!
Ebrei 4:6 Poiché dunque rimane per alcuni di entrarvi, mentre quelli
a cui prima fu annunziata la buona novella non vi entrarono a motivo della
loro incredulità,
Il
messaggio di Mosè è qui definito non “Legge”, ma “Buona Novella” (euaggelisqentes), non diversamente dal vangelo di Cristo, infatti le modalità di chiamata
e salvezza non sono mutate dal passaggio dall'AT al NT, infatti contrariamente
a quanto si crede prima della venuta del Cristo si era “giustificati per grazia
mediante la fede a prescindere dalle opere (della Legge)”.
Ebrei 4:7 egli determina di nuovo un giorno: Oggi dicendo dopo tanto
tempo, come è stato detto prima per mezzo di Davide: «Oggi, se udite la sua
voce, non indurite i vostri cuori».
Ebrei 4:8 Perché, se Giosuè avesse dato loro riposo, Dio non avrebbe
in seguito parlato di un altro giorno.
Il
riposo dato da Giosuè era solo una figura del vero riposo.
Ebrei 4:9 Resta dunque un riposo di sabato per il popolo di Dio.
Ebrei 4:10 Chi infatti è entrato nel suo riposo, si è riposato anch'egli
dalle proprie opere, come Dio dalle sue.
Ebrei 4:11 Diamoci da fare dunque per entrare in quel riposo, affinché
nessuno cada seguendo lo stesso esempio di disubbidienza,
Ebrei 4:12 La parola di Dio infatti è vivente ed efficace, più affilata
di qualunque spada a due tagli e penetra fino alla divisione dell'anima e
dello spirito, delle giunture e delle midolla, ed è in grado di giudicare
i pensieri e le intenzioni del cuore.
In
Ebrei 3:12 Dio era stato definito il “Dio vivente”, in 4:12 la Parola che ammonisce è vivente allo stesso
titolo. Mette in conto di soffermarsi sulla natura della Parola, in 1Tim 3:16
essa è detta “ispirata da Dio” (qeopneustos), tale traduzione
è derivata dalla vulgata latina e si è trasmessa grazie al francese del XIV°
sec. il significato che normalmente si dà al brano è che le Scritture sono
un prodotto divino realizzato tramite uomini entro cui lo Spirito Santo ha
“soffiato”, cosicchè il prodotto della loro opera trascende le capacità umane
e d è rivestito di autorità divina. In
realtà il termine non significa “soffiata dentro” (in-spirata) gli autori
umani, ma piuttosto che essa è “alitata da Dio”, cioè è il prodotto dell'attività
creativa di Dio.
Il
messaggio dato agli Israeliti nel deserto, non è diverso da quello rivolto
in Cristo ai credenti del Nuovo Patto, pertanto tanto l'Antico quanto il Vecchio
Testamento hanno la medesima autorità, essendo entrambi alitati da Dio cioè
“opera” di Dio.
Ebrei 4:13 E non vi è alcuna creatura nascosta davanti a lui, ma tutte
le cose sono nude e scoperte agli occhi di colui al quale dobbiamo rendere
conto.
Ebrei 4:14 Avendo dunque un gran sommo sacerdote che è passato attraverso
i cieli, Gesù, il Figlio di Dio, riteniamo fermamente la nostra confessione
di fede.
Ebrei 4:15 Infatti, noi non abbiamo un sommo sacerdote che non possa
simpatizzare con le nostre infermità, ma uno che è stato tentato in ogni cosa
come noi, senza però commettere peccato.
Ebrei 4:16 Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia,
affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per ricevere aiuto al tempo
opportuno.
In
relazione alla dottrina della Provvidenza divina si confrontano sostanzialmente
due tesi: la prima afferma che Dio abbia inserito sin dal principio, quasi a guisa di informazioni genetiche, all’interno
dell’umanità la nozione di bene, pertanto tale virtù si esprimerebbe negli
uomini a prescindere da un intervento particolare e continuo da parte di Dio.
La
seconda tesi ritiene che essendo l’uomo naturale “morto nel peccato e nei
falli” e pertanto non abitando in lui alcun bene, Dio sia costantemente costretto
ad intervenire per correggere l’azione della sua creatura affinché questa
non si corrompa completamente abbandonandosi all’esercizio del male.
La
prima tesi non deve necessariamente essere intesa come di derivazione pelagiana,
coloro che la propugnano ritengono Dio solo la “causa iniziale” del procedere
dell’universo, e sono disposti ad ammettere una blanda forma di determinismo
per quanto concerne l’uomo rigenerato.
Dio
dopo avere con la creazione avrebbe messo in moto l’universo, che pertanto
procederebbe secondo leggi fisiche stabilite da Dio. Ora risulta problematico
concepire come della materia inerte, possa “seguire delle leggi”, infatti
tale opinione non si discosta molto dall’opinione di Platone che riteneva
che l’universo avesse un’anima, ossia una sorta di vitalità che gli consentisse
di compiere le varie operazioni osservabile (anima mundi).
Anche
a livello “morale” Dio procederebbe adottando il medesimo “modus operandi”,
l’uomo decaduto rimarrebbe in possesso di una misura sufficiente di bene onde
potere organizzare la propria vita associata. Coloro che seguono tale opinione
non sempre ritengono che tale esercizio del bene e delle giustizia possa condurre
alla conoscenza di Dio.
Nella
Scrittura vi sono sufficienti brani per ritenere che invece i destini degli
uomini rigenerati o meno e dunque anche le decisioni dell’uomo siano tenuti
ben stretti nelle mani di Dio. In Proverbi 20:24 è detto: “I passi dell’uomo
li dirige Dio; come può l’uomo comprendere la sua propria via?”, anche in
Geremia 10:23 è affermato: “O Signore io so che la via dell’uomo non è in
suo potere e che non è in potere dell’uomo dirigere i suoi passi”. Ancora
in Proverbi 16:1 è affermato: “L’uomo dispone nel suo cuore ma Dio guida la
lingua”.
E
infatti se ogni decisione non riposasse nelle mani di Dio a che chiedergli
di modificare l’operato degli uomini, infatti le nostre preghiere non hanno
a che fare soltanto con le circostanze che non dipendono dalla volontà degli
uomini, ad esempio: malattie, cataclismi e quant’altro, ma anche con richieste
tese a “forzare” la volontà umana. Questi brani attribuiscono a Dio la volontà di modificare circostanze e di piegare
la volontà degli uomini.
Il
cristianesimo non crede all’esistenza del “fato” o della “fortuna”, nulla
avviene per caso. Infatti il Dio della Bibbia è un Dio sovrano che non tollera
che cosa alcuna sfugga al proprio controllo, compresi gli uomini; costoro
non possono con le proprie volontà alterare o annullare quanto Dio ha stabilito.
A tal proposito non ha senso affermare che il piano di Dio nulla ha a che
vedere con i destini dell’umanità, avendo lasciato questa alla tutela del
Maligno.
L’espressione
“il mondo giace nel Maligno” (1Giovanni 5:19), non sta affatto a significare
che Dio ha ceduto il controllo dell’umanità al Maligno, quasi come se il Maligno
potesse influenzare gli uomini mentre a Dio tale potere non potesse essere
concesso. Piuttosto si vuole porre in contrasto la figliolanza di coloro che
sono stati acquistati da Dio a prezzo, rispetto alla figliolanza di coloro
che sono ribelli a Dio.
Le situazioni sociali non sono affidate alla libera
determinazione degli uomini, è detto nel
Salmo 57:7 “Poiché non è dal levante né dal ponente e neppure dal deserto
che viene l'esaltazione. Ma è DIO colui che giudica, egli abbassa l'uno e
innalza l'altro.”
Vita
e morte sono nelle mani di Dio, Giobbe 14:5 “Se i suoi giorni sono fissati, e il numero dei suoi mesi dipende
da te, e tu gli hai posto un termine che egli
non può varcare”.
Ebrei 5:11 Del quale abbiamo
a dir cose assai, e malagevoli a spiegare, perché siete diventati duri d'orecchi.
Ebrei 5:12 Poiché, mentre
per ragion di tempo dovreste esser maestri, avete di nuovo bisogno che vi
s'insegnino i primi elementi degli oracoli di Dio; e siete giunti a tale che
avete bisogno di latte e non di cibo sodo.
Ebrei 5:13 Perché chiunque
usa il latte non ha esperienza della parola della giustizia, poiché è bambino;
Ebrei 5:14 ma il cibo
sodo è per uomini fatti; per quelli, cioè, che per via dell'uso hanno i sensi
esercitati a discernere il bene e il male.
In questo brano è illustrata
la necessità per il credente di passare dal cibo leggero a quello più sostanzioso,
ossia da una riflessione superficiale sull’insegnamento del Signore ad una
più approfondita. Pur non essendo il cristianesimo una forma di “gnosi” o
di “speculazione intellettuale di matrice teologica”, purtuttavia è innegabile
che esso ha a che fare con una meditazione ed un approfondimento del significato
dei testi sacri “canonici”. A tale riflessione la preghiera e la comunione
debbono affiancarsi, mai sostituirsi.
Ebrei 6:1 Perciò, lasciando
l'insegnamento elementare intorno a Cristo, tendiamo a quello perfetto, e
non stiamo a porre di nuovo il fondamento del ravvedimento dalle opere morte
e della fede in Dio,
Ebrei 6:2 della dottrina dei battesimi e della imposizione
delle mani, della risurrezione de' morti e del giudizio eterno.
Ebrei 6:3 E così faremo,
se pur Dio lo permette.
L’insegnamento “elementare” ha
a che fare con la dottrina della persona del Cristo e dunque anche con il
valore della sua opera espiatrice. Cristo è anche il fondamento delle dottrine
giudaiche del ravvedimento, della fede in Dio, dei battesimi, della imposizione
delle mani, della risurrezione, del giudizio, in quanto tutte queste dottrine
convergono sulla figura e l’opera del Cristo. L’esortazione potrebbe avere
un duplice senso: 1) bisogna abbandonare l’insegnamento elementare e non questionare
a proposito delle dottrine più semplici; 2) bisogna abbandonare le questioni
a proposito del reale “fondamento” sul quale le dottrine elementari sono edificate.
Ebrei 6:4 Perché quelli
che sono stati una volta illuminati e hanno gustato il dono celeste e sono
stati fatti partecipi dello Spirito Santo
Ebrei 6:5 e hanno gustato la buona parola di Dio e le potenze
del mondo a venire,
Il
brano esordisce con una descrizione a proposito di quelle persone che sono
state “illuminate”. Non bisogna pensare che qui si stia parlando di credenti,
essendo il termine “illuminare” usato in genere per descrivere l’azione dell’evangelizzazione
(Giovanni 1:9). “Gustare il dono celeste”, è un’ulteriore spiegazione di quanto
precede. Il dono celeste presentato dall’annuncio dell’evangelo è Cristo stesso
(Giov. 3:13, 31-32; 6:32-35), probabilmente lo scrittore ispirato stava pensando
anche alla manna nel deserto della quale avevano goduto gli israeliti increduli.
Essere “partecipi del dono celeste” è espressione affine se non addirittura
sinonima a quella di 1Cor. 7:14. Tale “partecipazione” non implica “giustificazione”.
Le “potenze del mondo avvenire” si riferisce ai segni e ai miracoli che accompagnarono
e accompagnano il regno di Dio, i Farisei bestemmiarono lo Spirito nel momento
in cui, in modo pertinace, rifiutarono di riconoscere che quello a cui assistevano
era espressione della potenza di Dio.
Ebrei 6:6 se cadono,
è impossibile rinnovarli da capo a ravvedimento, poiché crocifiggono di nuovo
per conto loro il Figliuol di Dio, e lo espongono ad infamia.
Ebrei 6:7 Infatti, la
terra che beve la pioggia che viene spesse volte su lei, e produce erbe utili
a quelli per i quali è coltivata, riceve benedizione da Dio;
Ebrei 6:8 ma se porta
spine e triboli, è riprovata e vicina ad esser maledetta; e la sua fine è
d'esser arsa.
“Cadere” (da parapiptein) è verbo presente
in Ebrei 3:17; 4:11 ed è sempre riferito agli effetti dell’incredulità. La
mancanza di fede determina una fatale caduta, ma questa rivela solo un problema
già presente prima della stessa caduta. Anche il termine “ravvedimento” ha
qui un senso molto generico. Nella Scrittura il ravvedimento autentico è sempre
accompagnato da “frutti di ravvedimento”, ossia da conversione e santificazione.
L’autore dell’epistola sottolinea la mancanza di tale frutto, con l’esempio
della terra che anche se coltivata e irrigata, non produce altro che sterpaglia.
Il senso generale di Ebrei 6:4-8 sembrerebbe essere che “molti sono i chiamati,
ma pochi gli eletti” . Questo brano è uno di quelli utilizzati da coloro che
ritengono che la dottrina della giustificazione “dipenda” dal libero arbitrio
dell’uomo per diventare efficace (arminiani o semi-pelagiani):
I Cinque Punti dell'Arminianismo
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I Cinque Punti del
Calvinismo
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- Libera Volontà
o Abilità Umana
Sebbene la natura umana
sia stata seriamente contaminata dalla caduta, il peccatore non
è sfornito di mezzi per comprendere la dimensione dello spirituale.
Il fatto che la Scrittura affermi che l'uomo sia “morto nel peccato”
va minimizzato. Dio nella propria misericordia, non ha privato il
peccatore della capacità di pentirsi e di credere. Dio non interferisce
con tale libertà dell'uomo, infatti ogni peccatore possiede una
libera volontà, e il proprio destino eterno dipende da come tale
volontà sarà utilizzata. La libertà dell'uomo dipende dalla propria
abilità a scegliere il bene o il male in ambito spirituale; la sua
volontà non è schiavizzata dalla sua natura peccatrice. Il peccatore
ha il potere di cooperare con lo Spirito di Dio e di essere rigenerato
o al contrario di resistere alla grazia di Dio e perire. Il peccatore
certamente necessita dell'assistenza dello Spirito, ma non ha bisogno
di essere rigenerato dallo Spirito prima di credere, perchè la fede
è una capacità insita nell'uomo e precede la nuova nascita. La fede
è un dono che Dio pone nel cuore di tutti i peccatori, ed è essa
che l'uomo mette in causa nel processo di salvezza.
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- Totale Inabilità o Totale Depravazione
A causa della caduta, l'uomo è incapace con le proprie sole forze
di credere nell'evangelo. Il peccatore è morto, cieco, e disinteressato
alle cose di Dio; il suo cuore è menzognero e disperatamente corrotto.
La sua volontà non è libera, ed è prigioniera della sua natura malvagia,
per tale motivo non vuole, anzi in realtà non può, scegliere il
bene anzichè il male in campo spirituale. Conseguentemente, è necessaria
molto più che una semplice cooperazione da parte dello Spirito di
Dio per portare il peccatore a Cristo. Solo una totale rigenerazione
operata dallo Spirito, può rendere il peccatore vivo e donargli
una nuova natura. La fede non è una specie di contributo dell'uomo
alla propria salvezza, ma è essa stessa una parte del dono della
salvezza di Dio.
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- Elezione Condizionale
La scelta di Dio, prima della fondazione del mondo, di alcuni individui
allo scopo di salvarli era basata sulla Sua previsione di quanti
messi a contatto con l'evangelo avrebbero risposto alla Sua chiamata.
Egli seleziona solo coloro che liberamente crederanno all'evangelo,
l'elezione è dunque condizionata dalla volontà o dai desideri dell'uomo.
La fede che Dio prevede o preconosce non è donata al peccatore da
Dio (e dunque non è creata dal potere rigenerante dello Spirito
Santo) ma è il risultato della volontà umana. La causa ultima della
salvezza è la scelta da parte dei peccatori di Cristo e non piuttosto
la scelta di Dio dei peccatori.
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- Elezione Incondizionata
La scelta di Dio, anteriore alla fondazione del mondo, di certi
individui alla salvezza riposa esclusivamente sulla sovrana volontà
di Dio. Tale scelta non è fondata su alcuna anteveduta risposta
o obbedienza da parte dell'uomo all'evangelo; al contrario Dio dona
fede pentimento a ogni individuo che Egli sceglie. Fede e obbedienza
sono il risultato non la causa della scelta di Dio. La salvezza
non è dunque condizionata da alcuna virtù dell'uomo prevista da
Dio. Quelli che Dio sovranamente elegge sono condotti dal potere
dello Spirito ad accettare Cristo. Dio sceglie il peccatore e non
viceversa.
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- Universale Redenzione
o Espiazione Generale
L'opera di redenzione di Cristo rende possibile la salvezza presente
ma non assicura che essa sia anche un possesso eterno. Sebbene Cristo
sia morto per tutti gli uomini in particolare, solo coloro che credono
in lui sono salvati. La morte di Cristo pone Dio in condizione di
perdonare i peccatori soltanto se costoro credono, ma essa di per
sè non toglie via il peccato di alcuno. Cristo è il redentore solo
se l'uomo accetta ciò.
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- Redenzione Particolare o Espiazione Limitata
L'opera di redenzione di Cristo salva solo gli eletti e assicura
ad essi la salvezza. La Sua morte ha espiato il peccato al posto
di alcuni specifici peccatori. Oltre a togliere il peccato del Suo
popolo, la redenzione di Cristo assicura tutto il necessario per
la salvezza, inclusa la fede che unisce il credente a Dio. Il dono
della fede è applicato dallo Spirito a tutti coloro per i quali
Cristo morì e garantisce loro salvezza.
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- Lo Spirito Santo può essere
contrastato
Lo Spirito opera interiormente in tutti coloro che hanno precedentemente
accettato l'evangelo. Egli opera tutto quanto è possibile per cndurre
ciascun peccatore alla salvezza, ma poichè l'uomo è in possesso
di una libera volontà, la chiamata dello Spirito può essere contrastata.
Lo Spirito può rigenerare il peccatore a patto che questo con le
proprie forze giunga alla salvezza; la fede (che è una dimensione
della volontà dell'uomo) precede e rende possibile la nuova nascita.
In tal modo la volontà dell'uomo può rendere possibile o contrastare
l'opera salvifica del Cristo. Lo Spirito Santo può attirare a Cristo
solo coloro che permettono ciò. Se l'uomo non riconosce la signoria
di Cristo, lo Spirito è inefficace e non può dare vita. La grazia
di Dio non è dunque invincibile e può essere addirittura “vinta”
dall'uomo.
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- Irresistibile
Grazia o Efficace chiamata dello Spirito
In aggiunta alla chiamata
generale alla conversione effettuata per il tramite della predicazione
dell'evangelo, lo Spirito Santo opera negli eletti una speciale
chiamata che inevitabilmente li conduce alla salvezza. La chiamata
generale che è estesa a tutti gli uomini senza distinzione, può
essere e spesso è rigettata, ma la chiamata interiore non può essere
rigettata e conduce alla conversione. Per il tramite di tale opera
i peccatori sono condotti a Cristo. Lo Spirito costringe misteriosamente
gli eletti a cooperare con la grazia, a credere, a pentirsi, ad
andare liberamente e volontariamente a Cristo. La grazia di Dio
è dunque invincibile e non fallisce mai nel salvare coloro verso
cui è diretta.
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- Perdita della
Grazia
Coloro che credono e sono oggi salvati, possono domani perdere la
propria salvezza, smarrendo in tal modo la propria fede. Non tutti
gli Arminiani, sono concordi su tale punto: alcuni
ritengono, in modo piuttosto inconseguente rispetto alle premesse
del proprio pensiero, che i credenti sono eternamente sicuri in
Cristo e che una volta che il peccattore è stato rigenerato in Cristo
egli non può più perdersi.
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- Perseveranza
dei Santi
Tutti coloro che sono scelti da Dio, redenti tramite Cristo e resi
credenti dallo Spirito sono eternamente salvati. Essi sono mantenuti
nella fede in virtù del potere dell'Onnipotente e in tal modo possono
perseverare sino alla fine.
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Secondo l'Arminianesimo
La salvezza è il frutto congiunto degli sforzi combinati
di Dio (che prende l'iniziativa)
e dell'uomo (che deve rispondere), anche se l'opera dell'uomo è il
fattore determinante di tutta l'operazione. Dio ha provveduto salvezza
per tutti indistintamente, ma questa diventa efficace soltanto per
quelli che sulla base del proprio libero arbitrio “sceglieranno” di
collaborare con Dio e accetteranno la Sua offerta di grazia. In tal
modo è l'uomo e non Dio che decide chi sarà il destinatario del dono
della salvezza.
Questa dottrina è contenuta nella “Rimostranza Arminiana”,
che fu presentata dagli arminiani alla Chiesa olandese nel 1610, e
rigettata al Sinodo di Dort nel 1619 sulla base del fatto che non
fu possibile individuare brani scritturali che la sostenessero.
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Secondo il Calvinismo
La salvezza è portata a compimento
dall'onnipotente potere del Triuno Dio. Il Padre sceglie un popolo,
il Figlio, muore per esso, lo Spirito rende efficace tale morte conducendo
gli eletti a fede e pentimento, facendo in modo che desiderino volontariamente
di obbedire all'evangelo. L'intero processo (elezione, redenzione,
rigenerazione) è opera di Dio ed è possibile solo per grazia. E' solo
Dio e non l'uomo che determina chi sarà il destinatario del dono della
salvezza.
Tale dottrina fu riaffermata
dal Sinodo di Dort nel 1619, come l'unica dottrina biblica della salvezza.
Il sistema con il tempo venne sistemato in 5 punti (in risposta ai
cinque punti formulati dagli arminiani) ed è conosciuto come “i cinque
punti del calvinismo”.
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Ebrei 6:9 Peraltro, diletti, quantunque
parliamo così, siamo persuasi, riguardo a voi, di cose migliori e attinenti
alla salvezza;
Ebrei 6:10 poiché Dio non è ingiusto da dimenticare l'opera vostra e l'amore
che avete mostrato verso il suo nome coi servizî che avete reso e che rendete
tuttora ai santi.
Viene fatta una distinzione tra
“quelli” che si perdono (v.4) e “voi” cioè coloro che debbono ereditare la
salvezza (v.9).
Ebrei 6:11 Ma desideriamo che ciascun di voi dimostri fino
alla fine il medesimo zelo per giungere alla pienezza della speranza,
Ebrei 6:12 onde non diventiate indolenti ma siate imitatori
di quelli che per fede e pazienza eredano le promesse.
Questa esortazione
ci ricorda che il Signore applica al cuore degli autentici credenti i principi
della salvezza, per il tramite delle esortazioni.
Ebrei 6:13 Poiché, quando
Iddio fece la promessa ad Abramo, siccome non poteva giurare per alcuno maggiore
di lui, giurò per se stesso,
Ebrei 6:14 dicendo: Certo, ti benedirò e ti moltiplicherò grandemente.
Ebrei 6:15 E così, avendo
aspettato con pazienza, Abramo ottenne la promessa.
Per dare autorità alla promessa
che gli autentici credenti erediteranno le promesse, viene invocata la promessa
fatta da Dio ad Abramo. La storia di Abramo è notevole, il padre Terah lo
condusse fuori da Ur dei Caldei verso la terra di Canaan. Secondo Atti 7:2
, Abramo ad Ur ricevette la prima parola di promessa che lo invitava ad abbandonare
il proprio parentado e a scendere a Canaan, promessa alla quale non obbedì
in quanto si pose in viaggio prendendo seco anche il padre e il nipote Lot.
Dopo una prima sosta a Charan (Gen. 11:31), Terah muore. Giunto a Canaan il
Signore rivolge ad Abramo una seconda parola, confermandogli la promessa di
una discendenza (Gen. 12:7). Abramo scende in Egitto dove è costretto a mentire
(Gen. 12:10-20). Tornato in Canaan si separa da Lot, L’Eterno gli appare confermandogli
ancora la promessa (Gen. 13:14-17). Dopo essere accorso in aiuto della coalizione
sodo-gomorrita, rifiuta le ricompense offertegli. Il Signore per la quarta
volta gli appare, promettendogli di essere la sua ricompensa e riconferma
la promessa con un patto sacrificale. In Gen. 15:6 è affermato che la fiducia
di Abramo nella promessa di Dio gli fu riconosciuta come espressione di “giustizia”
ossia come “segno di salvezza”. Questi avvenimenti coprono un arco di 11 anni
(Gen. 12:4 con 16:16).
Abramo cerca la progenie promessa unendosi, su consiglio della moglie, con
Agar, una schiava. 13 anni più tardi l’Eterno per la quinta volta testimonia
ad Abramo il proprio desiderio di suscitargli una progenie tramite la moglie
Sara, ratificando tale intenzione con il segno della circoncisione (Gen. 17:1-14).
Ebrei 9:1 Or anche il primo patto aveva delle norme per il
culto e un santuario terreno.
Ricaviamo
dal contesto che con l’espressione il “primo patto” si fa qui riferimento
al patto mosaico; questo era regolato da una serie di prescrizioni che indicavano
il modo appropriato di avvicinarsi a Dio.Non è facile sottrarsi all’impressione
che sotto il nuovo patto il corrispettivo di tali norme siano la stessa teologia
della persona e del sacrificio di Cristo.
Ebrei 9:2 Infatti fu preparato un primo tabernacolo, nel quale
si trovavano il candeliere, la tavola, e la presentazione de' pani; e questo
si chiamava il Luogo santo.
Ebrei 9:3 E dietro la seconda cortina v'era il tabernacolo
detto il Luogo santissimo,
Ebrei 9:4 contenente un turibolo d'oro, e l'arca del patto,
tutta ricoperta d'oro, nella quale si trovavano un vaso d'oro contenente la
manna, la verga d'Aronne che avea fiorito, e le tavole del patto.
Ebrei 9:5 E sopra l'arca, i cherubini della gloria, che adombravano
il propiziatorio. Delle quali cose non possiamo ora parlare partitamente.
Questo
brano sembrerebbe autorizzare una lettura “allegorica” (simbolica), del contenuto
del tabernacolo. Non infrequentemente in ambiente evangelico, si è molto speculato
sul senso particolare del rituale levitico, giungendo a ravvisare il NT in
qualsiasi dettaglio dell’AT. E’ invece importante leggere l’AT come “preparazione”
all’AT, piuttosto che aderire acriticamente all’affermazione di Agostino d’Ippona:
“Il NT è contenuto nell’AT, e quest’ultimo è spiegato dal NT”.
Ebrei 9:6 Or essendo
le cose così disposte, i sacerdoti entrano bensì continuamente nel primo tabernacolo
per compiervi gli atti del culto;
Ebrei 9:7 ma nel secondo, entra una volta solamente all'anno
il solo sommo sacerdote, e non senza sangue, il quale egli offre per se stesso
e per gli errori del popolo.
I sacerdoti
“semplici”, potevano accedere soltanto nella parte del Tabernacolo detta “luogo
santo”, allo scopo di compiervi i normali atti di culto. Al contrario nel
“luogo santissimo” (shekinà) entrava una volta all’anno (il Giorno delle Espiazioni
il 10 del mese di Thisr) il solo Sommo Sacerdote. Costui recava con se del
sangue di capro per compiere l’espiazione per se stesso e per il popolo. L’espiazione
in generale fa riferimento al principio: il male (peccato) deve essere punito,
e tutti coloro che discendono da Adamo (a prescindere dall’età) sono peccatori
e meritevoli di condanna. Iddio infatti “non terrà il colpevole per innocente”
(Esodo 34:7) e “senza spargimento di sangue non vi è remissione” (Ebrei 9:22).
Il verbo espiare (caphar) originariamente significava “coprire”, successivamente
assunse il significato di “togliere, cancellare”. Un peccato espiato è un
peccato sottratto alla vista di Dio. L’espiazione, sotto il patto si realizza
tramite la morte vicaria del Cristo. Espiare in tal caso acquista il senso
di sopportare da innocente la penna meritata da altri e dunque soffrire al
posto di altri (1Pietro 2:24; 3:18). La morte di cristo offre a Dio Padre,
la possibilità di perdonare gli uomini e nel contempo soddisfa la propria
giustizia.
Ebrei 9:8 Lo Spirito
Santo voleva con questo significare che la via al santuario non era ancora
manifestata finché sussisteva ancora il primo tabernacolo.
Lo Spirito è presentato in questo brano nell’atto
di “volere”. Lo Spirito indicava che finché l’economia del Tabernacolo (e
in seguito del tempio a Gerusalemme), fosse rimasta in vigore, la vera Via
per godere della presenza di Dio non sarebbe stata “manifestata” .
Quest’ultimo verbo non può non fare pensare all’apparizione del Cristo (Ebrei
9:26).
Ebrei 9:9 Esso è una
figura per il tempo attuale, conformemente alla quale si offrono doni e sacrificî
che non possono, quanto alla coscienza, render perfetto colui che offre il
culto,
Ebrei 9:10 poiché si tratta
solo di cibi, di bevande e di varie abluzioni, insomma, di regole carnali
imposte fino al tempo della riforma.
L’espressione “esso è una figura …” è meglio tradotta
con “ciò è un ammaestramento…”. I sacrifici pur dimostrandosi !efficaci” nella
rimozione del peccato (poiché nell’intenzione di Dio ricevevano vigore dalla
prospettiva futura del sacrificio di cristo), non raggiungevano però la coscienza
dell’offerente. Il sacrificio di Cristo, possiede un’efficacia che raggiunge
la coscienza del credente, trasformandola.
Ebrei 9:11 Ma venuto Cristo,
Sommo Sacerdote dei futuri beni, egli, attraverso il tabernacolo più grande
e più perfetto, non fatto con mano, vale a dire non di questa creazione,
Ebrei 9:12 e non mediante
il sangue di becchi e di vitelli, ma mediante il proprio sangue, è entrato
una volta per sempre nel santuario, avendo acquistata una redenzione eterna.
La parola centrale del brano
è “una volta per tutte” (efapax). Tale termine ricorre anche in Ebrei 7:27 e 10:10, e in forma
modificata (apax) in Ebrei 9:26-27. Il senso di tali termini è quello della
irreversibilità ed unicità dell’espiazione compiuta da Cristo. Riflettiamo
sulla profonda tragicità di quanto afferma il cattolicesimo romano a proposito
del significato dell’eucarestia!
Ebrei 9:13 Perché, se
il sangue di becchi e di tori e la cenere d'una giovenca sparsa su quelli
che son contaminati santificano in modo da dar la purità della carne,
Ebrei 9:14 quanto più
il sangue di Cristo che mediante lo Spirito eterno ha offerto se stesso puro
d'ogni colpa a Dio, purificherà la vostra coscienza dalle opere morte per
servire all'Iddio vivente?
Il sacrificio di Cristo non è
un elemento esteriore della nostra vita spirituale. Non è un “esempio” di
dedizione a Dio, agli uomini o ad un ideale, piuttosto esso purifica efficacemente
le nostre anime, permettendoci in tal modo di divenire servitori di Dio.
Ebrei 9:15 Ed è per questa
ragione che egli è mediatore d'un nuovo patto, affinché, avvenuta la sua morte
per la redenzione delle trasgressioni commesse sotto il primo patto, i chiamati
ricevano l'eterna eredità promessa.
Cristo è Mediatore “mesiths“ non diversamente da Mosè che
aveva assolto alla medesima funzione sotto il Vecchio Patto, la differenza
è nel carattere del Patto medesimo. Cristo infatti non è soltanto Colui che
reca al popolo una nuova rivelazione della volontà di Dio, ma è Egli stesso
la sostanza del Patto.
La morte del Cristo è avvenuta per “la redenzione
delle trasgressioni commesse sotto il primo patto” (eis apolutrwsin twn epi thi prwthi
diaqhkhi parabasewn thn epaggelian labwsin). Soltanto la Nuova Diodati
traduce in modo appropriato il termine “apolutrwsin” con “redenzione”. Infatti i
termini “liberazione, redenzione e simili”, non tengono sufficientemente conto
del fatto che la liberazione del credente è avvenuta sulla base di un prezzo
pagato dal Cristo.
Ebrei 9:16 Infatti, dove
c'è un testamento, bisogna che sia accertata la morte del testatore.
Ebrei 9:17 Perché un testamento
è valido quand'è avvenuta la morte; poiché non ha valore finché vive il testatore.
L’espressione “la morte del testatore”
farebbe di Cristo un “testatore”, cioè una persone che ha dettato le sue ultime
volontà prima di morire, infatti Egli non morì affinché i termini delle disposizioni
testamentarie fossero valide per i propri eredi. In tal caso perderebbe la
propria forza il v.18, non bisogna neppure prescindere dal fatto che il termine
diaqhkh
nel NT deve essere letto alla luce della LXX, nella quale esso ha invariabilmente
il senso di “Patto”. La traduzione più appropriata sembrerebbe essere: “Dove
vi è un Patto,, una morte è necessario che si rechi (feresqai tale termine ricorda da presso
il termine utilizzato nella LXX per indicare l’azione del condurre i sacrifici
al tabernacolo) colui che fa patto; perché un patto sulla morte è fondato,
poiché nulla è valido quando colui che fa fare patto (la vittima) vive”. Bisogna
ricordare che lo scrittore dell’epistola sta scrivendo da una prospettiva
giudaica e non da quella greca, pertanto sapeva bene che per rendere valido
un patto vi era bisogno di sacrifici.
Ebrei 9:18 Ond'è che anche
il primo patto non è stato inaugurato senza sangue.
Ebrei 9:19 Difatti, quando
tutti i comandamenti furono secondo la legge proclamati da Mosè a tutto il
popolo, egli prese il sangue de' vitelli e de' becchi con acqua, lana scarlatta
ed issopo, e ne asperse il libro stesso e tutto il popolo,
Ebrei 9:20 dicendo: Questo
è il sangue del patto che Dio ha ordinato sia fatto con voi.
Ebrei 9:21 E parimente asperse di sangue il tabernacolo e
tutti gli arredi del culto.
Ebrei 9:22 E secondo la
legge, quasi ogni cosa è purificata con sangue; e senza spargimento di sangue
non c'è remissione.
Anche il “primo patto” non fu
inaugurato senza vittime. Le vicende evocate nel brano sembrano apparentemente
fare riferimento a quelle di Esosdo 24:3-8. In realtà nell’AT non vi sono
brani che fanno riferimento ad un’aspersione con sangue degli arredi del tabernacolo
e al libro del patto in occasione dell’inaugurazione dell’allenza tra Dio
ed Israele. Qualche studioso ha ritenuto che l’autore dell’epistola faccia
riferimento all’opinione di Giuseppe Flavio, un autore giudaico che riferisce
particolari simili. Probabilmente il v.21 non deve essere considerato temporalmente
circostanziale a quanto affermato ai vv. 18-19, pertanto l’autore dell’epistola
potrebbe stare facendo riferimento al fatto che la legge contiene norme relative
all’aspersione del tabernacolo e dei suoi arredi (durante il Giorno dell’Espiazione,
Lev. 16:15-20.
Non tutte le cose erano purificate
con sangue, infatti l’AT contiene notevoli eccezioni, in Num. 16:46-47 è descritta
una purificazione del popolo con incenso, in Num. 19 vi è una purificazioni
di oggetti attraverso fuoco e acqua. Ciononostante la “remissione” dipendeva
esclusivamente dal “versamento del sangue”; ma anche in questo caso vi erano
delle eccezioni in Lev. 5:11 è presentato il caso dell’israelita talmente
povero da non potere recare un animale per la remissione del proprio peccato
in tal caso potevano essere presentata un’offerta incruenta (farina), esasperò
doveva essere recata all’altare e unita ai sacrifici cruenti.
Ebrei 9:23 Era dunque
necessario che le cose raffiguranti quelle nei cieli fossero purificate con
questi mezzi, ma le cose celesti stesse dovevano esserlo con sacrificî più
eccellenti di questi.
Ebrei 9:24 Poiché Cristo
non è entrato in un santuario fatto con mano, figura del vero; ma nel cielo
stesso, per comparire ora, al cospetto di Dio, per noi;
Il tabernacolo tentava imperfettamente
di rappresentare (vedi anche 4:11; 8:5) le realtà spirituali,
pertanto la sua purificazione rimandava ad una purificazione migliore delle
coscienze, che sarebbe stata realizzata nel futuro. Cristo si è presentato al Padre per mostrargli la perfezione dell’opera
compiuta. L’espressione centrale del v.24 è il “per noi” (uper
hmwn). In generale la preposizione uper è traducibile tanto con “a nostro
vantaggio”, quanto con “al posto nostro”, ma nel brano in questione il primo
significato è quello da preferire (Ebrei2:9; 5:1; 7:27; 9:7; 6:20; 13:17).
Ebrei 9:25 e non per offrir
se stesso più volte, come il sommo sacerdote, che entra ogni anno nel santuario
con sangue non suo;
Ebrei 9:26 ché, in questo
caso, avrebbe dovuto soffrir più volte dalla fondazione del mondo; ma ora,
una volta sola, alla fine de' secoli, è stato manifestato, per annullare il
peccato col suo sacrificio.
Nel brano è ripresa, in forma
semplificata, la medesima espressione di 9:10 (afapax), cioè “una volta
sola” (apac). Cristo è stato “manifestato” (ovviamente
il riferimento è alla manifestazione storica del Cristo) alla “fine dei secoli”,
ossia più propriamente al compimento dei tempi (vuvi de afax
sunteleiai twn aiwnwn). Non bisogna dimenticare
che con il Cristo i tempi sono giunti a pienezza, ossia il senso complessivo
dell’opera di Dio si è pienamente svelato, non vi è null’altro da rivelare.
Ebrei 9:27 E come è stabilito
che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio,
Questo brano taglia la testa
a qualsivoglia teologia della “duplice possibilità”. La Scrittura non avalla
nessuna possibilità di un universalismo della salvezza. Dopo la morte vi è
il giudizio tanto per coloro che sono morti in Cristo, tanto per quanti hanno
rifiutato il valore dell’espiazione.
Ebrei 9:28 così anche
Cristo, dopo essere stato offerto una volta sola, per portare i peccati di
molti, apparirà una seconda volta, senza peccato, a quelli che l'aspettano
per la loro salvezza.
Questo brano è particolarmente significativo per l’espressione
“Cristo ha portato i peccati di molti”. L’espressione è una chiara reminescenza
di Isaia 53:12, l’efficacia del sacrificio di Cristo, non è per “tutti”, ma
per i “molti” destinati a salvezza. Ciononostante è possibile affermare che
Cristo sia “morto per l’umanità”, infatti non vi è contraddizione tra il dire
che Cristo salva i suoi e Cristo salva il mondo. Afferma B.B. Warfield: “Quando
le Scritture affermano che Cristo
venne a salvare il mondo, che lo salva realmente e che il mondo sarà salvato
da Lui, non intendono asserire che non c’è essere umano che Egli non sia venuto
a salvare, che Egli non salva o che
non sarà salvato da Lui. Il significato esatto è che venne a salvare e che salva realmente la razza umana, che la
razza umana viene condotta da Dio verso la sua salvezza, che nel lungo sviluppo
della razza degli uomini si perverrà alla fine ad una salvezza completa ed
i nostri occhi si rallegreranno alla vista di un mondo salvato. La razza umana
approda dunque al fine per il quale è stata creata ed il peccato non la strappa
dalle mani di Dio: il piano primitivo viene compiuto e la razza dell’uomo,
mediante Cristo e sebbene caduta nel peccato, viene riabilitata da Dio e adempie
il suo destino originario.”
Ebrei 10:1 La legge infatti,
avendo solo l'ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose, non
può mai rendere perfetti quelli che si accostano a Dio con gli stessi sacrifici
che vengono offerti continuamente, anno dopo anno.
Ebrei 10:2 Altrimenti
si sarebbe cessato di offrirli, perché gli adoratori, una volta purificati,
non avrebbero avuto più alcuna coscienza dei peccati.
La differenza tra Antico Patto
e Nuovo Patto, ha certamente anche a degli addentellati psicologici. Gli adoratori
dell’AT non erano resi “compiuti” (teleiwsai) poiché i sacrifici
levitici operavano nell’orizzonte di un progetto di redenzione parziale. Ciò
non significa che tali sacrifici fossero “imperfetti” nel senso di “non sufficienti”
per l’opera di espiazione, poiché essi erano resi adeguati da Dio a rimuovere
il peccato.
Ebrei 10:3 In quei sacrifici invece si rinnova ogni anno il
ricordo dei peccati,
Ebrei 10:4 poiché è impossibile
che il sangue di tori e di capri tolga i peccati.
Si vuole con il v.4 ricordare
che il sacrificio di animali non possiede nulla in se che possa avere un potere
tale da potere rimuovere il peccato. Il potere di quei sacrifici non riposava
in loro, ma in altro: nel futuro sacrificio di Cristo.
Ebrei 10:5 Perciò, entrando
nel mondo, egli dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, ma
mi hai preparato un corpo;
E’ citato un brano dal Salmo 40 per provare come il sacrificio
di Cristo sia più eccellente di quello di creature mute. Il salmo afferma: “Tu non prendi piacere né in sacrifizio né in offerta; tu m'hai
aperto gli orecchi. Tu non domandi né olocausto né sacrifizio per il peccato.
v.7 Allora ho detto: Eccomi, vengo! Sta scritto di me nel
rotolo del libro”. La versione che l’autore cita è tratta dai LXX, dove l’espressione
ebraica “m’hai aperto gli orecchi” è tradotta con “mi hai preparato un corpo”.
Il testo ebraico non sembra fare riferimento alla pratica
di Deuteronomio 15:17 ed Esodo 21:6, dove è affermato che dopo sette anni
di servizio lo schiavo che avesse desiderato rimanere per sempre in casa del
proprio padrone, doveva essere sottoposto alla foratura di un orecchio in
segno della sua sottomissione volontaria. Per quanto concerne il perché della
traduzione adottata dai LXX è probabile che vada nelle direzione di una eliminazione
dell’AT di tutto quanto poteva apparire sconveniente ad una sensibilità non
giudaica, o troppo complicato da intendersi.
Ebrei 10:6 non hai gradito
né olocausti né sacrificî per il peccato.
Interessante questo riferimento
al “gradimento” di Dio. Il Signore nel momento in cui assegnava precetti per
sottolineare la propria avversione al peccato, nel contempo manifestava anche
la sua insoddisfazione nei confronti dei medesimi.
Ebrei 10:7 Allora ho detto:
Ecco, io vengo (nel rotolo del libro è scritto di me) per fare, o Dio, la
tua volontà.
Il passaggio del Salmo 40, che stiamo esaminando doveva
suonare senz’altro inquietante ad orecchie giudaiche. Nell’AT non vi era altro
modo che quello indicato nel Levitico per l’ottenimento del perdono dai peccati.
Pure vi erano precedenti di un diverso maniera utilizzata da Dio nel trattare
con il peccato. Il caso esemplare è quello di Davide, che nonostante l’omicidio
e l’adulterio è perdonato da Dio. Con ciò non si vuole affermare che la volontà
di Dio sia arbitraria, piuttosto lo stesso Signore ci indica che l’AT conteneva
l’anticipazione di un diverso modo di operare da parte di Dio nei confronti
dell’uomo. Va altresì detto che non raggiungiamo tali conclusioni in astratto
“speculativamente”.
Ebrei 10:8 Dopo aver detto prima: Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrificî, né offerte,
né olocausti, né sacrificî per il peccato (i quali sono
offerti secondo la legge), egli dice poi:
Ebrei 10:9 Ecco, io vengo
per fare la tua volontà. Egli toglie via il primo per stabilire
il secondo.
Dio
in relazione all’opera di espiazione, ha compiuto
qualcosa di assolutamente nuovo, infatti pur avendo comandato nell’AT
tutta una serie di pratiche sacrificali, esse pur essendo espressione della
stessa volontà divina, non risultano ora più gradite. Tale rimozione del vecchio
per far posto al nuovo, si attua tramite l’offerta del corpo di Cristo e risulta
essere perfettamente in conformità con la volontà di Dio. Anche il v.9 è una
diversa traduzione del testo ebraico originale.
Ebrei 10:10 In virtù di
questa «volontà» noi siamo stati santificati, mediante l'offerta del corpo
di Gesù Cristo fatta una volta per sempre.
L’espiazione che si è espressa
con la morte del Cristo ha permesso la nostra santificazione, tale atto va
considerato una vera e propria offerta del “corpo” di Cristo. La nostra liberazione
dalla morsa del peccato non è fondata sull’azione di un ideale, ma su un fatto
storico “cruento” (anche se non necessariamente “sanguinoso”, infatti tranne
in Giovanni, nei vangeli non si fa particolare riferimento al sangue della
crocifissione del Cristo). Cristo ha dato il proprio corpo in un preciso momento
della storia, anche per tale motivo il suo sacrificio è stao fatto “una volta
per sempre”; la storia “cristiana”, al contrario di quella dei miti religiosi
pagani, non è reversibile.
Ebrei 10:11 E mentre ogni
sacerdote è in piè ogni giorno ministrando e offrendo spesse volte gli stessi
sacrificî che non possono mai togliere i peccati,
Ebrei 10:12 questi, dopo
aver offerto un unico sacrificio per i peccati, e per sempre, si è posto a
sedere alla destra di Dio,
Ebrei 10:13 aspettando
solo più che i suoi nemici siano ridotti ad essere lo sgabello dei suoi piedi.
Con
questo brano si vuole confrontare la necessaria continua opera del sacerdote
per fronteggiare la virulenza del peccato, con l’opera di Cristo alla quale
ha fatto seguito il riposo. La morte di Cristo e la sua successiva ascesa
la cielo hanno inferto una ferita mortale a tutti i suoi nemici. La disfatta
finale di quanti non sono sottomessi a Dio è ora solo questione di tempo.
In Luca 10:18, Cristo afferma di avere visto Satana precipitare sulla terra,
dobbiamo chiederci se tale situazione non abbia conseguenze per la nostra
fede. In Ap. 12:10 è detto che “è stato buttato giù l’accusatore dei nostri
fratelli”.
Ebrei 10:14 Perché con
un'unica offerta egli ha per sempre resi perfetti quelli che sono santificati.
Cristo offrendo se stesso alla morte, ha compiuto il progetto
di Dio a pro della redenzione degli eletti. E’ possibile pertanto parlare
di “perfezionamento” di “quelli che sono santificati”, intendendo con questa
espressione il fatto che tramite la sua morte Cristo ha offerto ai suoi tutto
quello di cui abbisognano. In Cristo i credenti hanno “tutto pienamente” (Col.
2:10).
Ebrei 10:15 E anche lo Spirito Santo ce ne rende testimonianza.
Infatti, dopo aver detto:
Ebrei 10:16 Questo è il
patto che farò con loro dopo que' giorni, dice il Signore: Io metterò le mie
leggi ne' loro cuori, e le scriverò nelle loro menti, egli aggiunge:
Ebrei 10:17 E non mi ricorderò
più de' loro peccati e delle loro iniquità.
Ebrei 10:18 Ora, dov'è
remissione di queste cose, non c'è più luogo a offerta per il peccato.
Il v.15 ci presenta lo Spirito
nell’atto di rendere testimonianza. Il brano è presentato in modo tale da
significare: lo Spirito Santo dopo avere detto (…) egli aggiunge (…). Pertanto
è lo Spirito che fa patto con gli uomini, mettendo la legge del Signore nei
loro cuori e che inoltre non permette che vengano ricordati i loro peccati
ed iniquità. Questo brano anticipava anche che il Signore in futuro avrebbe
introdotto dei cambiamenti in relazione alla Legge.
Ebrei 10:19 Avendo dunque,
fratelli, libertà (parresian) d'entrare nel santuario in virtù del sangue di Gesù,
Ebrei 10:20 per quella via recente e vivente che egli ha inaugurata
per noi attraverso la cortina, vale a dire la sua carne,
Ebrei 10:21 e avendo noi un gran Sacerdote sopra la casa di
Dio,
Ebrei 10:22 accostiamoci di vero cuore, con piena certezza
di fede, avendo i cuori aspersi di quell'aspersione che li purifica dalla
mala coscienza, e il corpo lavato d'acqua pura.
Vengono
qui ripresi alcuni motivi della liturgia levitica al fine di presentare i
benefici dell’espiazione del Cristo. In luogo del divieto che Dio aveva posto
in merito all’ingresso nel Tabernacolo, vi è ora libertà di accesso alla presenza
di Dio. Tale “libertà” non deve essere confusa con una “libertà di opinione”,
in quanto anche dopo la morte di Cristo il nostro rapporto con il trascendente
continua a rimanere mediato dalla “Parola di Dio”; la libertà in questione
è quella di potere godere del perdono di Dio senza più la mediazione di una
classe di sacerdoti, certamente ciò ha delle implicazione anche per quanto
concerne la nostra comprensione dell’anzianato. La carne del Cristo offerta sulla croce,
ha fatto si che il velo del Tempio si squarciasse (Luca 23:45-46: “il sole si oscurò. La cortina del tempio si squarciò nel
mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani rimetto lo
spirito mio». Detto questo, spirò), pertanto la cortina squarciata viene paragonata
allo stesso corpo di Cristo, ciò ha provocato anche l’abolizione del sacerdozio
levitico e la conseguente inutilità per i credenti, diventati ora sacerdoti
di Dio, di doversi purificare con acqua prima di accedere alla presenza di
Dio.
Ebrei 10:23 Riteniamo fermamente
la confessione della nostra speranza, senza vacillare; perché fedele è Colui
che ha fatte le promesse.
Il pericolo di disaffezionarsi
a quanto da Cristo compiuto è evitabile solo “afferrando saldamente” quanto
costituisce il cuore di questa rivelazione. L’insegnamento sul Cristo costituisce
un elemento della nostra “confessione di fede”.
Ebrei 10:24 E facciamo
attenzione gli uni agli altri per incitarci a carità e a buone opere,
Ebrei 10:25 non abbandonando
la nostra comune adunanza come alcuni son usi di fare, ma esortandoci a vicenda; e tanto più, che vedete avvicinarsi
il gran giorno.
La dimensione comunitaria è un
ottimo antidoto alla superficialità della nostra conoscenza della dottrina
di Cristo. La dottrina salvifica autentica è quella che conduce a carità e
buone opere. Inoltre è qui censurato il comportamento di quanti frequentano
a singhiozzo l’adunanza, esponendosi al pericolo di una fede superficiale.
L’esortazione che i credenti debbono esprimere è posta sullo sfondo dell’imminente
ritorno di Cristo. Non è possibile vivere la fede in Cristo prescindendo da
un’attesa trepidante del suo ritorno.
Ebrei 10:26 Perché, se
pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non
resta più alcun sacrificio per i peccati;
Ebrei 10:27 rimangono una
terribile attesa del giudizio e l'ardor d'un fuoco che divorerà gli avversarî.
Peccare dopo avere avuto conoscenza
della salvezza in Cristo, per questi giudei convertitisi al cristianesimo
significava ritornare alle pratiche della legge mosaica. Tale rifiuto della
salvezza in Cristo, che ammetteva il valore di altre forme di espiazione,
esponeva questi “indecisi” ad un grave pericolo. Fuori di Cristo non esistono
altre dottrine salvifiche. Volendo comparare questa situazione alla nostra
potremmo pensare a quanti dopo avere ricevuto conoscenza della salvezza in
Cristo, cercano di armonizzarla con i principi del cattolicesimo o della New
Age.
Ebrei 10:28 Uno che abbia
violato la legge di Mosè, muore senza misericordia sulla parola di due o tre
testimoni.
Ebrei 10:29 Di qual peggior
castigo stimate voi che sarà giudicato degno colui che avrà calpestato il
Figliuol di Dio e avrà tenuto per profano il sangue del patto col quale è
stato santificato, e avrà oltraggiato lo Spirito della grazia?
Ignorare la dottrina di Cristo
è esporsi alla concreta eventualità di andare all’inferno. Quanti pensano
che il cristianesimo sia compatibile con altre forme di religiosità. Ciò dovrebbe
indurci a presentare con particolare cura la presentazione dell’evangelo.
Nel brano in questione gli “apostati”. 1) calpestano il Figliolo; 2) considerano
immondo il sangue da lui versato, 3) oltraggiano lo Spirito della grazia.
Va notato che “lo spirito della grazia con il quale è stato santificato” è
riferito al cristo e non all’apostata. Infatti Cristo venne santificato, ossia
appartato, per essere un eterno Sommo Sacerdote.
Ebrei 10:30 Poiché noi
sappiamo chi è Colui che ha detto: A me appartiene la vendetta! Io darò
la retribuzione! E ancora: Il Signore giudicherà il suo popolo.
Ebrei 10:31 È cosa spaventevole
cadere nelle mani dell'Iddio vivente.
Un Dio non temibile non è un Dio degno di essere ascoltato.
Riflettiamo allora sul significato che il mondo dona all’espressione “Dio
è amore”.
Ebrei 10:32 Ma ricordatevi
dei giorni di prima, quando, dopo essere stati illuminati, voi sosteneste
una così gran lotta di patimenti:
Ebrei 10:33 sia coll'essere
esposti a vituperio e ad afflizioni, sia coll'esser partecipi della sorte
di quelli che eran così trattati.
Ebrei 10:34 Infatti, voi simpatizzaste coi carcerati, e accettaste
con allegrezza la ruberia de' vostri beni, sapendo d'aver per voi una sostanza
migliore e permanente.
Questi
giudeo-cristiani non avevano sperimentato una sorta di vangelo del benessere
e della prosperità, tutt’altro, essi avevano sperimentato povertà e ingiusto
incarceramento.
Ebrei 10:35 Non gettate dunque via la vostra franchezza la
quale ha una grande ricompensa!
IL termine “franchezza” (parrhsian) ha a che
fare tanto con la chiarezza di pensiero, quanto con l’esprimere senza reticenza
le proprie opinioni.
Ebrei 10:36 Poiché voi
avete bisogno di costanza, affinché, avendo fatta la volontà di Dio, otteniate
quel che v'è promesso. Perché:
Ebrei 10:37 Ancora un brevissimo
tempo, e colui che ha da venire verrà e non tarderà;
Ebrei 10:38 ma il mio giusto
vivrà per fede; e se si trae indietro, l'anima mia non lo
gradisce.
Ebrei
10:39 Ma noi non siamo di quelli che si traggono indietro a loro perdizione,
ma di quelli che hanno fede per salvar l'anima.
È
citato dalla LXX il brano di Habacuc 2:4, che afferma: “il giusto vivrà per
la mia fedeltà”, nel brano di Ebrei l’aggettivo possessivo è posto prima del
termine “giusto”. La profezia ha a che fare con l’imminente liberazione dai
Caldei. Anche i destinatari dell’epistola verranno presto liberati, ma tale
promessa Anche nella sezione finale di questo brano “esortativo”, troviamo
la stessa tenera cura dello scrittore ispirato non dissimile da quella di
Ebrei 6.
Ebrei 11:1 Or la fede
è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di cose che non si vedono.
Il brano andrebbe tradotto alla lettera: “E’ la fede sostanza di ciò che
è sperato, dimostrazione delle cose che non si vedono”.
Ebrei 11:2 Infatti, per essa fu resa buona testimonianza agli
antichi.
Ebrei 11:3 Per fede intendiamo
che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio; cosicché le cose che si
vedono non sono state tratte da cose apparenti.
Il termine “mondi” traduce il greco aiwn
che appare con il medesimo significato in Ebrei 1:2;
non si sta qui tanto facendo riferimento all’opera creazionale (Genesi 1),
quanto piuttosto alla provvidenza di Dio all’opera in tutte le epoche. La
traduzione del brano è propriamente: “Per fede comprendiamo che le epoche
sono preparate dalla parola di Dio, in modo che le cose che cadono sotto i
nostri sensi non nascono da cose fortuite”.
Ebrei 11:4 Per fede Abele
offerse a Dio un sacrificio più eccellente di quello di Caino; per mezzo d'essa
gli fu resa testimonianza ch'egli era giusto, quando Dio attestò di gradire
le sue offerte; e per mezzo d'essa, benché morto, egli parla ancora.
Nel brano in questione non si
comprende se “per mezzo” sia da riferirsi alla fede oppure al sacrificio offerto
da Abele (in quest’ultimo caso la costruzione grammaticale apparirebbe più
semplice). Il brano di Genesi 4:1-5, ci informa che Caino offrì in sacrificio
di frutti della terra (era un agricoltore), mentre Abele offrì i primogeniti
del proprio gregge e il loro grasso. Tale peculiarità del sacrificio di Abele
potrebbe far pensare a disposizioni divine concernenti non solo la necessità
di offrire sacrifici, ma anche il modo appropriato di presentarli. Pertanto
sulla base di questa considerazione potremmo adottare la lezione: “per mezzo
del sacrificio offerto con fede, gli fu resa testimonianza che era giusto”.
Il termine “giusto”, in un contesto “giudaico, come appare essere quello dell’epistola
agli Ebrei, è simile a quello di Matteo 1:19, dove “giusto” significa “sottomesso
alle disposizioni della legge mosaica”. Pertanto Abele sarebbe stato giusto
perché fedele alle disposizioni impartite da Dio, contrariamente a Caino,
che non era un uomo di fede e pertanto neppure giusto. Il sacrificio di Caino
e quello di Abele ci permettono di riflettere sui due tipi di devozione religiosa
espressa dagli uomini; da una parte abbiamo la religiosità del dono tramite
la quale l’uomo tenta di propiziarsi Dio offrendogli dei doni, dall’altra
la religiosità dell’espiazione, con la quale l’uomo si riconosce peccatore
e bisognoso di perdono da parte di Dio.
Ebrei 11:5 Per fede Enoc
fu trasportato perché non vedesse la morte; e non fu più trovato, perché
Dio l'avea
trasportato; poiché avanti che fosse trasportato fu di lui testimoniato
ch'egli era piaciuto a Dio.
L’autore dell’epistola segue
qui la versione dei LXX. L’ebraico afferma: “egli non era, perché Dio lo prese”.
La Scrittura è molto parca di informazioni a proposito di Enoc (Genesi 5:24),
è sorprendente che questo notevole uomo di Dio, accomunato alla sorte finale
di uomini quali Mosè ed Elia, non abbia un rilievo maggiore nelle Scritture,
ciò deve farci riflettere sull’oscurità di quei tanti uomini di fede che vengono
premiati solo al cospetto di Dio e non a quello degli uomini.
Ebrei 11:6 Or senza fede
è impossibile piacergli; poiché chi s'accosta a Dio deve credere ch'Egli è,
e che è il rimuneratore di quelli che lo cercano.
Confidare in Dio è l’unico modo
per ottenere accesso a lui. Ciò significa sostanzialmente “disperare di se
stessi”, ossia non ritenere che in sè medesimi abiti qualche bene, non diversamente
da quanto detto in Romani 7:18-19: “Difatti, io so che in me, cioè nella mia carne, non abita
alcun bene; poiché in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene,
no. Infatti il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio,
quello faccio”. L’espressione “credere Dio è” è molto probabilmente un rimando
a Esodo 3:14, in tale brano dopo che l’Eterno è apparso a Mosè nel pruno ardente
per comandargli di liberare il popolo di Israele dalla schiavitù egiziana,
gli comunica il proprio nome “Io sono” cioè YHWH. Era questo il nome del Dio
dei padri, Mosè pertanto non annunciava liberazione da parte di un dio “straniero”,
quanto piuttosto recava un messaggio da parte di quel Dio che già si era preso
cura degli antenati di Israele. Accostarsi a Dio significa essere nella storia
di salvezza di questo Dio che si è preso cura di Adamo, Abramo, Isacco, Giacobbe
ect.
Ebrei 11:7 Per fede Noè,
divinamente avvertito di cose che non si vedevano ancora, mosso da pio timore,
preparò un'arca per la salvezza della propria famiglia; e per essa fede condannò
il mondo e fu fatto erede della giustizia che si ha mediante la fede.
Nell’originale
non appare l’espressione “e per essa fede”, infatti il complemento è lasciato
nel vago potendo perciò essere o la fede o la stessa arca. In Genesi 6:9 Noè
è chiamato “giusto” e in 2Pietro 2:5 “predicatore di giustizia”. In 1Pt. 3:18-20
la figura di Cristo è connessa a quella di Noè, a questo punto si pone la
questione del significato di questo brano. Articoleremo lo studio cercando
di rispondere a 8 domande fondamentali per la comprensione del brano in questione:
1)Chi sono gli spiriti in carcere?
2)Che cosa predicò Cristo?
3)Quando predicò?
Per rispondere a tali quesiti sono formulabili 5 ipotesi interpretative:
1) Dopo la propria morte Cristo andò a predicare
alle persone che si trovavano ali'inferno, offrendo loro una seconda possibilità
di salvezza.
2)Dopo
la morte Cristo andò a predicare alle persone che si trovavano all'inferno
, proclamando che aveva trionfato su di loro e la loro condanna era definitiva.
3)Dopo
la sua morte. Cristo andò a proclamare la liberazione a coloro che si erano
pentiti poco prima di morire nel diluvio e li portò in paradiso traendoli
fuori dal Purgatorio (carcere).
5)Dopo
la propria morte o dopo essere risorto (prima di ascendere al cielo) Cristo
si recò all'inferno per proclamare il proprio trionfo sugli angeli caduti
che avevano peccato sposando le donne umane prima del diluvio.
5)Quando
Noè stava costruendo l'arca, Cristo “in spirito” era in Noè e predicava il
pentimento e la giustizia per suo tramite ai non credenti che vivevano a quel
tempo ma che ora sono “spiriti in carcere”.
Cominciamo
cercando di comprendere a chi Pietro si riferisca con il termine “spiriti
carcerati”. Il termine “spirito” nella Scrittura può (anche se non è seguito
da un genitivo di specificazione) significare tanto “spirito umano”, “spirito
diabolico”, “spirito angelico”, quanto “Spirito di Dio”. In tutti questi casi
è il contesto che viene in aiuto alla mancanza di una esplicita specificazione.
Tale precisazione esclude che si possa decidere sulla base della parola “spiriti
in carcere” se questi spiriti siano spiriti di uomini o di demoni ; inoltre
non risulta neppure chiaro il tempo della predicazione fatta a tali “spiriti”,
infatti supponendo che essi siano spiriti di uomini ,la frase potrebbe significare
“Cristo predicò a coloro che ora sono spiriti all'inferno ma che al tempo
della sua predicazione erano esseri umani viventi sulla terra”.
Nel
brano è specificato che tali “spiriti” non obbedirono , al tempo di Noè, mentre
si preparava l'arca; ora la letteratura ebraica non connetteva in modo unanime
una supposta ribellione di angeli in Gn. 6:2-4 con il diluvio, anzi molti
interpreti autorevoli (Filone,Simmaco, il Targum Babilonese) interpretano
Gn. 6:2-4 come la descrizione di una ribellione di uomini. Nei brano di Gn.
6 sembra chiara l'intenzione di Dio di punire non angeli ma uomini. Nessun
testo di qualsiasi filone della tradizione giudaica tratta di angeli che disubbidirono
“durante la costruzione dell'arca”. Lo schiacciante peso della tradizione
extra-biblica, come la -testimonianza biblica stessa, pongono in evidenza
i peccati umani, mai quelli angelici, pertanto uomini peccatori sembrerebbero
essere i più probabili referenti dell'espressione di Pietro.
In
Gn .6:3 Dio proclama esserci 120 anni prima del Diluvio, tale “pazienza” da
parte del Signore è certamente da porre in connessione con l'espressione di
lPt. 3:20 “quando la pazienza di Dio aspettava”.
E'
notevole che in 2Pt. 2:5 Noè venga definito “predicatore (khrux) di
giustizia, non diversamente da Cristo in 1Pt. 3:19
E'
rilevante l'uso della famiglia del termine khrux nel
NT, essa è molto spesso usata per riferirsi alla predicazione dell'evangelo
del Cristo, o all'appello al pentimento e alla fede. Se Pietro avesse voluto
affermare qualcosa come “Cristo proclamò la condanna finale a chi si trovava
all'inferno” avrebbe dovuto dire “proclamò la condanna” (katakrima) o “proclamò il giudizio” (krisin), con ciò crediamo di
avere confutato le ipotesi 2 e 4. .Anche l'ipotesi 3, secondo la quale Cristo proclamò giunto il
completamento della redenzione dei credenti dell'AT, non rende giustizia al contesto, infatti la menzione
del “carcere”, della “disobbedienza” e “dell'attendere la pazienza di Dio”,
fa pensare ad una predicazione diretta ai peccatori necessitanti di pentimento
, non al santi giusti in attesa di udire un grido di vittoria (se Pietro avesse
voluto dire che la predicazione del Cristo annunciava vittoria avrebbe dovuto
specificare l'evento utilizzando nikos o qualche
altro termine simile).
L'espressione
“messo a morte nella carne , ma reso vivente nello spirito, nel quale andò
a predicare agli spiriti in prigione...è andato nel ciclo e sta alla destra
di Dio”(vv.l8, 19, 22), è particolarmente significativa
infatti
essa segna il passaggio da un'argomentazione ad un'altra. Pietro con l’espressione “messo a morte nella carne, ma reso vivente nello spirito”, vuole ovviamente riferirsi
alla morte e alla risurrezione del Cristo, ora
il termine “spirito” è utilizzato per passare ad
un'altra serie di argomentazioni, riteniamo infatti che “in esso” o “nel quale”
facciano riferimento allo “spirito” e non piuttosto all'essere “vivificato
nello spirito” (risurrezione), Pietro fa sovente uso di un pronome relativo
(chi o che) talvolta con la preposizione, talvolta senza, come trampolino
di lancio per passare da un argomento ad un altro (vedi: 1:6; 1:8; 1:10; 2:4;
2:22; 3:21). Tale precisazione sintattica , fa il paio con un'altra di tipo
grammaticale, vi sono forti ragioni per ritenere che che il participio “apeithsasin” non debba essere interpretato come riferito agli “spiriti prigionieri”
(valore aggettivale), ma debba piuttosto essere riferito al verbo “predicare”,
assumendo in tal modo valore avverbiale. Infatti il participio per avere valore
aggettivale dovrebbe o essere in posizione attributiva (tra l'articolo e il
sostantivo), oppure avere il proprio articolo. L’espressione tradotta “che
precedentemente disubbidirono” (v.20) verrebbe allora tradotta nel modo seguente
“quando precedentemente disubbidirono”. Il brano nel complesso , a prescindere
dalla morte e risurrezione del Cristo, starebbe affermando che il Cristo ,in
spirito, ha predicato a spiriti (ora) prigionieri, quando essi furono ribelli
ai tempi di Noè. (Ipotesi 5).
E'anche
possibile una variante di tale ipotesi, supporre gli “spiriti carcerati” in
tale situazione di prigionia a causa del peccato, Pietro starebbe allora affermando
“in spirito Cristo predicò la salvezza agli schiavi del peccato, agli uomini
ribelli, quando la pazienza di Dio aspettava al tempo di Noè.
Ebrei 11:8 Per fede Abramo,
essendo chiamato, ubbidì, per andarsene in un luogo ch'egli avea da ricevere
in eredità; e partì senza sapere dove andava.
Ebrei 11:9 Per fede soggiornò
nella terra promessa, come in terra straniera, abitando in tende con Isacco
e Giacobbe, eredi con lui della stessa promessa,
Ebrei 11:10 perché aspettava
la città che ha i veri fondamenti e il cui architetto e costruttore è Dio.
Ebrei 11:11 Per fede persino
Sara , benché fuori d'età, ricevette forza di concepire, perché reputò fedele
Colui che avea fatto la promessa.
Ebrei 11:12 E perciò, da
uno solo, e già svigorito, è nata una discendenza numerosa come le stelle
del cielo, come la rena lungo la riva del mare che non si può contare.
Abbiamo già avuto modo di riflettere
sulla figura di Abramo (Ebrei 6:13-15). Basta qui ricordare che noi siamo
“figli di Abramo”, in virtù di una fede simile alla sua. Pertanto la nostra
fede si alimenta necessariamente dello stesso spirito di rinuncia di cui si
alimentò la fede di Abramo. La figura di Abramo è evocata anche in Galati
3:1-16, in relazione al medesimo problema che stava travagliando i destinatari
dell’epistola agli Ebrei. I credenti di Galazia ritenevano possibile una salvezza
“per il tramite delle opere della legge”, non credevano cioè che la salvezza
fosse fondata esclusivamente sul sacrificio di Cristo, ma che essa necessitasse
della messa in pratica di prescrizioni quali la circoncisione. L’argomentazione
che Paolo adduce per smentire tale falsa posizione è che alla Legge Mosaica
è connessa una maledizione (Gal. 3:10, gli studiosi non sono del tutto d’accordo
a proposito del modo delle modalità di tale maledizione, se cioè essa testimonia
della impossibilità di mettere in pratica “tutta la legge” o di mettere in
pratica “bene” la legge).
Ebrei 11:13 In fede morirono tutti costoro, senz'aver ricevuto
le cose promesse, ma avendole vedute e salutate da lontano, e avendo confessato
che erano forestieri e pellegrini sulla terra.
Ebrei 11:14 Poiché quelli
che dicon tali cose dimostrano che cercano una patria.
Ebrei 11:15 E se pur si ricordavano di quella ond'erano usciti,
certo avean tempo di ritornarvi.
Ebrei 11:16 Ma ora ne desiderano
una migliore, cioè una celeste; perciò Iddio non si vergogna d'esser chiamato
il loro Dio, poiché ha preparato loro una città.
I credenti di cui si è appena
parlato morirono “in fede”, ossia “senza avere smarrito” o “essere venuti
meno” nella fede, eppure tale “fedeltà” non li mise nelle condizioni di ottenere
quanto legittimamente desideravano: Abramo non ottenne una patria, allo stesso
modo Isacco e Giacobbe, tutti costoro aspirarono senza realizzare quanto avevano
desiderato. Abramo in Gn. 23:4 si dichiara “straniero e avventizio”, Davide
nel Salmo 39:12 si dichiara “straniero e pellegrino”.
Ebrei 11:17 Per fede Abramo, quando fu provato, offerse Isacco;
ed egli, che avea ricevuto le promesse, offerse il suo unigenito: egli, a
cui era stato detto:
Ebrei 11:18 È in Isacco
che ti sarà chiamata una progenie,
Ebrei 11:19 ritenendo che
Dio è potente anche da far risuscitare dai morti; ond'è che lo riebbe per
una specie di risurrezione.
Questo brano ci informa del pensiero di Abramo all’atto
dell’offerta di Isacco. L’espressione “lo riebbe per una specie di risurrezione”
traduce en parabolh che è variamente tradotta: “in parabola” o “per
similitudine” (RV, Diodati), “come in figura” (AV, RSV, Ricciotti), “come
un simbolo” (CEI, Nardoni), “per una specie di risurrezione” (Riv. RR). Probabilmente
è giusta la traduzione della Riveduta, Abramo riuscì ad intuire dietro la
restituzione della persona di Isacco, una verità più profonda: quella della
risurrezione dai morti.
Ebrei 11:20 Per fede Isacco
diede a Giacobbe e ad Esaù una benedizione concernente cose future.
L’episodio qui narrato si riferisce
non al momento in cui le benedizioni furono pronunciate, ma a quando Isacco
scoperto l’inganno di Giacobbe si rifiutò di ritirare le promesse. La fede
in questione è quella derivante dall’impossibilità di mutare quanto pronunciato
nel nome di Dio. Fu Giacobbe e non Esaù a percepire il valore della benedizione
di Isacco.
Ebrei 11:21 Per fede Giacobbe,
morente, benedisse ciascuno dei figliuoli di Giuseppe, e adorò appoggiato
in cima al suo bastone.
Ebrei 11:22 Per fede Giuseppe,
quando stava per morire, fece menzione dell'esodo dei figliuoli d'Israele,
e diede ordini intorno alle sue ossa.
Giuseppe era fermamente convinto
che la promessa fatta ad Abramo sarebbe stata adempiuta da Dio (Genesi 15:13).
Tale brano ci informa anche in merito al fatto che quanto costituiva rivelazione
da parte di Dio, veniva trasmesso ai membri del clan.
Ebrei 11:23 Per fede Mosè,
quando nacque, fu tenuto nascosto per tre mesi dai suoi genitori, perché vedevano
che il bambino era bello; e non temettero il comandamento del re.
La versione dei LXX menziona
entrambi i genitori di Mosè, costoro videro nella bellezza del figlio un segno
da parte di Dio tale da permettere di sfidare la volontà del faraone.
Ebrei 11:24 Per fede Mosè,
divenuto grande, rifiutò d'esser chiamato figliuolo della figliuola di Faraone,
Ebrei 11:25 scegliendo piuttosto d'esser maltrattato col popolo
di Dio, che di godere per breve tempo i piaceri del peccato;
Si allude con tali versi alla
seconda partenza di Mosè dall’Egitto (Esodo 2:15). La prima partenza di Mosè
fu caratterizzata dall’omicidio e dalla paura di essere punito (Esodo 2:14).
Mosè pensava che Dio lo avesse investito di una posizione di prestigio per
fare del bene ai suoi fratelli “giudice e principe”. Per tale motivo uccise
l’egiziano che percuoteva un ebreo “dopo avere guardato di qua e di là”, ossia
uccise in modo intenzionale, nascondendo la vittima del suo delitto “sotto
la sabbia”. Solo dopo 40 anni trascorsi
nel deserto, il Signore gli apparve e gli rivelò il proposito di farlo essere
per davvero il liberatore di Israele (Esodo 3:10-14 con Atti 7:35 “Quel Mosè che aveano rinnegato dicendo: Chi ti ha costituito
rettore e giudice? Iddio lo mandò loro come capo e come liberatore con l'aiuto
dell'angelo che gli era apparito nel pruno.”). In Atti 7:23-25
è affermato: “Ma quando fu pervenuto all'età
di quarant'anni, gli venne in animo d'andare a visitare i suoi fratelli, i
figliuoli d'Israele. E vedutone uno a cui era fatto torto, lo difese e vendicò
l'oppresso, uccidendo l'Egizio. Or egli pensava
che i suoi fratelli intenderebbero che Dio li voleva salvare per mano di lui;
ma essi non l'intesero.
Ebrei 11:26 stimando egli
il vituperio di Cristo ricchezza maggiore de' tesori d'Egitto, perché riguardava
alla rimunerazione.
Vi è qualche incertezza al senso
da dare all’espressione “vituperio di Cristo”, è certo che Mosè considerò
l’essere oltraggiato tanto da Faraone, quanto dal popolo di Israele ribelle
alla volontà di Dio, motivi non validi per tirarsi indietro rispetto al compito
affidatogli.
Ebrei 11:27 Per fede abbandonò
l'Egitto, non temendo l'ira del re, perché stette costante, come vedendo Colui
che è invisibile.
Il brano ci rivela l’atteggiamento
di Mosè al momento dell’abbandono della terra di schiavitù, egli non temette
il faraone. Ciò fu frutto della costanza (ekarterhsen). Nel NT il termine in questione. La fede permette
di “vedere” quanto è “invisibile” (“dimostrazione di realtà che non si vedono”
Ebrei 11:1), l’esempio è proprio la fede di Mosè, egli adempì il compito affidatogli
da Dio, senza riguardare alle difficoltà che gli eventi “materiali” gli ponevano
innanzi. Tale fede era fondata su una “esplicita” rivelazione da parte di
Dio; è la Parola di Dio a fare la differenza tra la testardaggine o a qualsiasi
altro atteggiamento che potrebbe essere apparentemente inteso come fede.
Ebrei 11:28 Per fede celebrò
la Pasqua e fece lo spruzzamento del sangue affinché lo sterminatore dei primogeniti
non toccasse quelli degli Israeliti.
L’autore dell’epistola agli Ebrei,
evoca in questo brano l’istituzione mosaica della Pasqua (da una radice ebraica
che significa “passare oltre” nel senso di “risparmiare”) è questo uno dei
momenti più importanti che caratterizzarono l’uscita del popolo dall’Egitto.
Il presupposto del brano sembra essere “dove non vi è fede vi è morte”, la
mancanza di fede non fece porre il sangue dell’agnello (l’ebraico seh è termine
abbastanza neutrale e potrebbe essere tradotta: capo di piccolo bestiame,
capretto o agnello) sugli architravi e gli stipiti delle porte, ciò causò
la morte dei primogeniti degli egiziani, da parte dello sterminatore. Il soggetto
del brano è ancora Mosè, infatti fu lui che in primo luogo ebbe fede nel fatto
che il Signore avrebbe mantenuto la propria promessa. In Esodo 11:4-7 sono
accomunati tanto gli uomini quanto gli animali. Il sacrificio dell’agnello
sarebbe stato il simbolo di un “nuovo inizio” per l’intero popolo di Dio,
e infatti l’anno religioso ebraico sarebbe cominciato sul far della sera (all’imbrunire)
al momento dell’uccisione dell’agnello. L’uscita dall’Egitto è l’inizio del
cammino di liberazione del popolo per giungere alla terra di Canaan. E’ difficile
sottrarsi al valore prefigurativo rappresentato dalla pasqua ebraica, infatti
nel NT il sacrificio e l’opera di Cristo sono costantemente connesse a tale
cerimoniale: Esodo 12:14 “Quel giorno sarà per voi un giorno di commemorazione (ricordo),
e lo celebrerete come una festa in onore del Signore; lo celebrerete di età
in età come una legge perenne” con 1Cor. 11:24; Esodo 12:15 “Per sette giorni mangerete pani azzimi. Fin dal primo giorno
toglierete ogni lievito dalle vostre case; perché, chiunque mangerà pane lievitato,
dal primo giorno fino al settimo, sarà tolto via da Israele” con 1Cor. 5:8;
Esodo 12:5-6 “Il vostro agnello sia senza difetto, maschio,
dell'anno; potrete prendere un agnello o un capretto. Lo serberete fino al quattordicesimo giorno di questo mese,
e tutta la comunità d'Israele, riunita, lo sacrificherà al tramonto” con 1Pietro
1:19; Esodo 12:46 “Si mangi ogni agnello per intero in una casa.
Non portate fuori casa nulla della sua carne e non gli spezzate neanche un
osso” con Giov. 19:36.
La notte in cui Cristo venne tradito, coincise con la pasqua
ebraica, tale sovrapposizione era intesa a rendere chiara l’autentico significato
dell’antica istituzione, che in futuro avrebbe non significato più la liberazione del popolo ebraico
dalla schiavitù egiziana, ma più in generale, la liberazione dell’uomo peccatore
dalla schiavitù del peccato. Come detto la “Ultima Cena” fu consumata da Cristo
e dai suoi discepoli “all’imbrunire” (Nm. 9:11, Luca 22:14-15; Marco 14:17)
cioè nel momento in cui in ogni casa ebraica veniva offerto l’agnello pasquale.
La Pasqua ebraica era un “segno”, una “ricordanza” (Es. 13:9), non diversamente
dalla Pasqua cristiana che ripropone al credente il “fondamento” della propria
fede. Una giustificazione “biblica” dell’uso dei termini “segni e simboli”
per indicare il pane e il vino della Cena del Signore va ricercato proprio
nel brano di Es. 13:9. Un ulteriore elemento di affinità con la pasqua ebraica
è costituito dal fatto che entrambe sono proposte in un contesto di “pasto
comune”, infatti l’agnello pasquale ebraico, era parte di un pasto a base
di azzimi e erbe amare, mentre la “cena del Signore” è presentata nel contesto
di un pasto detto di “agape” (1Cor. 11:17:34). Diversamente dalla pasqua ebraica,
la pasqua cristiana deve essere riproposta quanto più spesso possibile, la
chiesa degli Atti aveva la consuetudine di “spezzare il pane” in occasione
del “primo giorno della settimana (Atti 20:7), ma è probabile che tale pratica
fosse quotidiana (Atti 2:42). E’ probabile che l’agape conservasse anche la
consuetudine ebraica (praticata dallo stesso Cristo Luca 22:19-20) di spezzare
il pane all’inizio del pasto e di far passare il calice solo alla fine.
Va comunque ricordato, in polemica con il cattolicesimo
romano, che Cristo non offrì il proprio corpo in occasione della cena
pasquale, ciò avenne solo in seguito, con la propria morte sulla croce; pertanto
è impossibile presentare la pasqua cristiana e di conseguenza la cena del
Signore, come una ri-offerta o ri-sacrificio del Cristo. Tale offerta del
Cristo sulla croce, è una ulteriore riprova del valore “simbolico” di quanto
detto da Cristo durante il corso dell’ultima cena.
Solo in un’epoca successiva a quella della chiesa primitiva la dottrina di
“offerta” del proprio corpo da parte di Cristo nel corso dell’Ultima Cena,
cominciò ad affermarsi, ne sono testimonianza la Didachè, Giustino Martire,
Ireneo, Ippolito ed altri. Verso il 4° secolo il terreno per la dottrina della
transustanziazione è già pronto. Ben presto la chiesa operò una trasformazione
teologica sul significato della pasqua: da una parte si cercò di conservare
la commemorazione di quel giorno dell’anno in cui Cristo diede se stesso alla
morte (da qui le dispute tra credenti occidentali ed orientali, a proposito
del giorno esatto in cui commemorare la pasqua), mentre a partire da 2° sec.
la cena del Signore venne distinta dall’agape e i due momenti dello spezzare
il pane e del far passare il calice con i relativi ringraziamenti, furono
fusi in un unico momento. La chiesa orientale per distinguere ancora di più
l’agape dalla cena del Signore, affermò che era l’epiclesi (l’invocazione
fatta allo Spirito affinché scendesse sugli elementi del pane e del vino)
a consacrare le specie, mentre le chiese occidentali affermavano che fossero
le parole dell’istituzione del Cristo ad operare la consacrazione (va ricordato
che i testi biblici rendono noto che le uniche cose che Cristo istituì a proposito
della cena pasquale, furono la sua interpretazione del pane e del vino, posti
in relazione alla sua morte e non più agli eventi di liberazione dalla schiavitù
egiziana) . La Cena del Signore ricorda anche che attraverso la fede il credente
si nutre costantemente del Cristo, vi è dunque una realtà “concreta” dietro
il simbolismo del pane e del vino. Solo in seguito simbolo e realtà cominciarono
ad essere identificati, Pascasio Radberto (785-860) fu il primo a teorizzare
la teoria della transustanziazione (diventata dogma con il 4° Concilio Laterano
del 1215), secondo la quale pane e vino, pur conservando le loro qualità esteriori
(sapore, odore, colore ect.), mutavano nel vero corpo e sangue di Cristo (ossia
gli accidenti non mutano, ma solo la sostanza). Lutero si muove nella linea
di tale interpretazione (aristotelicheggiante, almeno nel linguaggio che distingue
sostanza e accidenti), affermando che il corpo e il sangue di Cristo sono
presenti “con, in e sotto il pane e il vino”, pertanto il pane e il vino rimangono
tali (sostanza e accidenti non mutano), ma ad essi si accompagnano realmente
la carne e il sangue di Cristo con i relativi benefici spirituali (consustanziazione).
Ciò che è fondamentale nella celebrazione della “cena del Signore” sono le
parole dell’istituzione pronunciate dal cristo, senza tali parole (ossia senza
l’avallo della Parola di dio), pane e vino non avrebbero nessun valore per
l’anima del credente.
Calvino pur rigettando tanto la transustanziazione cattolica,
quanto la consustanzione luterana, si muove nel solco di una comprensione
“medievale” del corpo e del sangue di cristo; anche per lui, il pane e il
vino non possono avere un valore “solo simbolico”, secondo lui tale sacramento
non è offerto per essere “guardato”, ma per essere “mangiato e bevuto” e a
causa delle parole “questo il mio corpo, questo il mio sangue” pane e vino
presentano al credente realmente il Cristo, che è presente in quegli elementi
“spiritualmente” (Cristo è alla destra del Padre, pertanto sulla terra è all’opera
lo Spirito), per onorare tanto la fede dei credenti, quanto la promessa di
essere tramite quegli elementi presente in mezzo ai suoi. I credenti accostandosi,
verrebbero per lo Spirito innalzati sino al trono di Dio, dove Cristo è seduto
alla destra di dio Padre.
Zwingli negò che i sacramenti fossero “mezzi di grazia”
ed anzì uso il termine “sacramentum” nel suo senso originario di “giuramento
di fedeltà”, intendendolo come un modo per confermarsi nella fede, Purtroppo
il tentativo di conciliare luterani e zwingliani, non andò a buon fine a causa
della resistenza di Lutero che in occasione dei Colloqui di Marburg (1529),
volle con un gesto estremo non recedere dalle sue convinzioni. Narra lo stesso
Lutero di avere scritto sul tavolo dove si affrontavano le discussioni, con
un pezzo di gesso: “questo è il mio corpo”, allo scopo di non derogare dalla
sua comprensione “sostanzialista” della cena del Signore.
|
Cattolicesimo Romano
|
Luteranesimo
|
Riformati
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Battisti
|
Scopo
Principale
|
Conferisce
grazia e perdono dei peccati. Pane e vino sono lo stesso Cristo che
è ri-sacrificato dal sacerdote offerente, ancora per il Suo popolo,
ed offerto ancora a Dio per il peccato
|
Conferisce
perdono dei peccati e i benefici spirituali della vita di Cristo offerta
nel passato
|
Conferisce
perdono dei peccati e i benefici spirituali della vita di Cristo offerta
nel passato
|
E'
una solenne ricordanza (memoriale) della morte del Cristo
|
Cristo
vero uomo e vero Dio, è realmente e veramente presente nel sacramento?
|
Si , nel senso che la carne e
il sangue di Cristo si identificano con il pane e il vino
|
Si
|
Si, nel senso che la sua sostanza
“spirituale” cioè i benefici della sua morte sono realmente comunicati
ai credenti, per il tramite dello Spirito Santo
|
No, in quanto il significato
di questo sacramento è connesso esclusivamente al “ricordo” della morte
di Cristo
|
Modo
della presenza
|
Il
pane e il vino divengono il corpo e il sangue di Cristo a causa del
miracolo della transustanziazione, sulla base selle parole della “consecrazione”
pronunciate dal sacerdote offerente
|
In,
con, e sotto il pane e il vino, Cristo è mangiato fisicamente con la
bocca
|
Pur
essendo alla destra del Padre, Cristo è mangiato spiritualmente, per
la fede, tramite il pane e il vino, che sono segni legati, tramite la
promessa, a ciò che essi significano. Lo Spirito Santo permette al credente
di ascendere sino alla presenza stessa di Cristo nei cieli
|
Cristo
è presente tramite la fede di quanti si avvicinano ai simboli della
sua morte. Zwingli affermava che l’unica realtà a “transustanziare”
era quella dei cuori dei credenti
|
Ebrei 11:29 Per fede passarono
il Mar Rosso come per l'asciutto; il che tentando di fare gli Egizî, furono
inabissati.
Allo stesso modo di coloro che
non spruzzarono il sangue sugli architravi, quelli che non ebbero fede perirono
nel Mar Rosso (Esodo 14:21-31). Tanto gli ebrei quanto gli egiziani entrarono
nel Mar rosso, anche oggi tanto veri credenti quanto falsi credenti si aggregano
alla chiesa di cristo, ma mentre gli uni verranno scampati dall’ira a venire,
gli altri verranno gettati nell’abisso.
Ebrei 11:30 Per fede caddero le mura di Gerico, dopo essere
state circuite per sette giorni.
Tale sconcertante episodio è narrato in Giosuè 6.
Ebrei 11:31 Per fede Raab,
la meretrice, non perì coi disubbidienti, avendo accolto le spie in pace.
Il codice Sinaitico aggiunge
prima di “prostituta” il termine: epilogomene (la cosiddetta), quasi a volere smorzare la durezza morale
del brano facendo supporre che ella era considerata una meretrice senza in
realtà esserlo per davvero. Ma Raab fu meretrice a Gerico, prima della sua
conversione, e mentì alle guardie perché in possesso di una parziale illuminazione
della volontà di Dio (Giosuè 2). Raab riuscì ad intendere dietro gli atti
di conquista di Israele, l’operato di Yahwè. Questa disprezzata donna pagana,
che diventò anche un’antenata del Messia, ci testimonia anche della universalità
dell’evangelo.
Ebrei 11:32 E che dirò
di più? poiché il tempo mi verrebbe meno se narrassi di Gedeone, di Barac,
di Sansone, di Jefte, di Davide, di Samuele e dei profeti,
Gedeone, Barac, Sansone e Jefte
furono “giudici” in Israele, ossia secondo il senso biblico di tale termine,
dei “liberatori” o “capi esecutivi” (shopetim Giudici 2:16, 18). Il tema fondamentale
del libro dei Giudici è l’incapacità del popolo di Israele, in quanto popolo
teocratico, ad osservare il patto divino anche sotto la guida di uomini scelti
da Dio per liberarli dall’oppressione del mondo pagano. Davide e Samuele sono
i protagonisti dei due libri intitolati a Samuele il profeta. Anche oggi tali
personaggi ci ricordano che la liberazione dalla distretta esteriore, non
è necessariamente un modo per avere maggiore comunione con Dio.
Ebrei 11:33 i quali per fede vinsero regni, operarono giustizia,
ottennero adempimento di promesse, turaron le gole di leoni,
Gedeone sgominò i Madianiti (Giud. 7), Barac i Cananei (Giud.
4), Sansone i Filistei (Giud. 14), Jefte gli Ammoniti (Giud. 11), Davide i
Filistei, i Moabiti, i Siri e gli Edomiti. Sansone (Giud. 14:6), Davide (1
Sam 17:34) e Daniele (Dan. 6:22) chiusero le fauci dei leoni. Anche in questo
brano ci è ricordato che l’elemento fondante nella vita dei personaggi biblici,
era la fede. Per fede bisogna intendere: “fiducia in Dio”, questa non è un
prodotto umano; in 2Pietro 1:1 è detto: “a quelli che
hanno ottenuto una fede preziosa quanto la nostra nella giustizia del nostro
Dio e Salvatore Gesù Cristo”. La sezione
di Ebrei sulla quale ci stiamo concentrando, non afferma che per il tramite
di una qualche esercizio spirituale sia possibile acquistare fiducia in Dio.
La fede è un dono che l’uomo credente acquista alla conversione e che tramite
la santificazione viene custodito in modo produttivo (tramite la preghiera,
lo studio della Parola [Romani 10:17 Così la fede vien dall'udire e l'udire si ha per mezzo della
parola di Cristo], il servizio nei confronti del prossimo).
Questa fiducia, sotto il controllo di Dio può esprimersi nelle direzioni più
svariate, questo è quanto sperimentarono e sperimentano gli uomini e donne
di Dio (2Corinzi
4:13 Siccome abbiamo lo stesso
spirito di fede, che è espresso in questa parola della Scrittura: «Ho
creduto, perciò ho parlato», anche noi crediamo, perciò parliamo). In Atti
14:22 i discepoli vengono esortati a “perseverare (emmenein) nelle fede”,
la chiesa “si fortifica nella fede” e in 2Cor. 5:7 a camminare “per fede e non per visione”.
La fede può crescere (2Tessalonicesi 1:), le operazioni della fede sono un fatto “misterioso” (1Timoteo 3:9).
Ebrei 11:34 spensero la
violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, guarirono da infermità,
divennero forti in guerra, misero in fuga eserciti stranieri.
I tre amici di Daniele scamparono
alla violenza del fuoco (Dan. 3). Davide (1Sam. 18:11; 19:10,12; 21:10) Elia
(1Re 19:1) ed Eliseo (2Re 6:14) scamparono alla spada. Ezechia (2Re 20; Isaia
38) e Sansone (Giud. 16:28) sperimentarono guarigioni. Giosuè, i Giudici e
Davide misero in fuga eserciti stranieri.
Ebrei 11:35 Le donne ricuperarono per risurrezione i loro
morti; e altri furon martirizzati non avendo accettata la loro liberazione
al fine di ottenere una risurrezione migliore;
Il figlio della vedova di Sarepta (1Re 17:17) e della donna
Sunamita, furono risuscitati rispettivamente da Elia ed Eliseo.
Ebrei 11:36 altri patirono scherni e flagelli, e anche catene
e prigione.
Giuseppe in Egitto sperimentò catene e prigione (Genesi
39:20), come anche Banani (2Cron. 16:10), Micaiah (1Re 22:26-27), Geremia
(Ger. 20:2; 37:15).
Ebrei 11:37 Furon lapidati, furon segati, furono uccisi di
spada; andarono attorno coperti di pelli di pecora e di capra; bisognosi,
afflitti,
Secondo la tradizione Geremia fu lapidato; Zaccaria figlio
di Jehoiada (2Cron. 24:20-21), al quale fa riferimento lo stesso Gesù (Matteo
23:35-37), seguì la medesima sorte. Uria fu assassinato con la spada da Joiakim
(Ger. 26:23).. Elia andava attorno coperto di pelli di capra (2Re 1:8)
Ebrei 11:38 maltrattati (di loro il mondo non era degno),
vaganti per deserti e monti e spelonche e per le grotte della terra.
Accanto ad uomini di Dio che furono oggetto di atti di miracolosa
liberazione, l’autore dell’epistola pone altri credenti che non sperimentarono
miracoli, ma che anzi furono orribilmente trucidati. La fede non ha direttamente
a che fare con il “miracolistico”, essa dipende totalmente dalla volontà di
Dio ed è pertanto legata ai suoi piani e propositi. Un elemento interessante
della sezione è che tutti gli episodi narrati, appartengono alla storia del
popolo di Israele. La storia non è una dimensione “povera” all’interno della
quale Dio decide, in mancanza di alternative, di operare.
Ebrei 11:39 E tutti costoro, pur avendo avuta buona testimonianza
per la loro fede, non ottennero quello ch'era stato promesso,
Tutti questi uomini di Dio, afflitti o meno da svariate
prove, non ottennero la “pienezza della fede”. I miracoli o le prove non permisero
loro di giungere al godimento del fine progetto di Dio. I santi dell’AT non
ottennero ciò che sta dietro alle promesse.
Ebrei 11:40 perché Iddio
aveva in vista per noi qualcosa di meglio, ond'essi non giungessero alla perfezione
senza di noi.
Il proposito di Dio non comprendeva
solo la salvezza di credenti provenienti dalla nazione ebraica. I credenti
provenienti da tutte le nazioni della Terra, non potranno far proprio la promessa
della vita eterna fintantoché il numero degli eletti non sia completato.
Ebrei 12:1 Anche noi,
dunque, poiché siamo circondati da sì gran nuvolo di testimoni, deposto ogni
peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, corriamo con perseveranza
l'arringo che ci sta dinanzi, riguardando a Gesù,
Il compimento della volontà di
Dio, non è un’esigenza in astratto. Molti ci hanno preceduti nella messa in
pratica della messa in pratica della volontà di YHWH, i molti testimoni, sono
un esempio in tal senso. Costoro ci confermano anche nel fato che adempiere
la volontà di Dio è un compito, arduo ma possibile. La vita cristiana è immaginata
come una gara di corsa in uno stadio, alla quale partecipano tutti i credenti,
la condizione per perseverare in tale impegno è quella di tenere gli occhi
ben puntati sull’esempio di Cristo.
Ebrei 12:2 duce e perfetto
esempio di fede, il quale per la gioia che gli era posta dinanzi sopportò
la croce sprezzando il vituperio, e s'è posto a sedere alla destra del trono
di Dio.
L’esempio di Cristo che viene
in questa circostanza individuato è quello della forza del Suo impegno in
relazione al progetto affidatogli da Dio.
Ebrei 12:3 Poiché, considerate
colui che sostenne una tale opposizione dei peccatori contro a sé, onde non
abbiate a stancarvi, perdendovi d'animo.
I
credenti sono invitati a “considerare” (avalogisasqe) cioè a fare il
paragone tra il comportamento di Cristo nel momento della prova, e il proprio.
Ebrei 12:4 Voi non avete ancora resistito fino al sangue,
lottando contro il peccato;
La sezione dal v. 4 al v. 12 tratta della correzione da
parte di Dio. Le sofferenze dei destinatari dell’epistola non sono minimamente
paragonabili a quelle sofferte da Cristo nel Gethsemani o sulla croce, e neppure
a paragonabile a quella dei “testimoni” citati nel cap. 11, che hanno subito
il martirio.
Ebrei 12:5 e avete dimenticata l'esortazione a voi rivolta
come a figliuoli: Figliuol mio, non far poca stima della disciplina del
Signore, e non ti perder d'animo quando sei da lui ripreso;
Ebrei 12:6 perché il Signore
corregge colui ch'Egli ama, e flagella ogni figliuolo ch'Egli gradisce.
Lo scopo principale di questa epistola è quello di esortare
(13:22). E’ qui citato il brano di Proverbi 3:11-12 allo scopo di sottolineare
l’amore di Dio per i propri figli. Sembra che l’autore dell’epistola voglia
invitare i propri lettori ad inquadrare le sofferenze in un progetto di crescita
spirituale. In questo caso le sofferenze dei destinatari dell’epistola siano
addebitabili ad una fede non saldamente fondata sugli insegnamenti delle croce.
L’amore che Dio ha nei nostri confronti non è tale da bloccare
l’azione disciplinare di Dio, la sofferenza per usare le parole di C.S.Lewis
ha lo scopo di “è il grido di Dio per svegliare un mondo addormentato”.
Ebrei 12:7 È a scopo di
disciplina che avete a sopportar queste cose. Iddio vi tratta come figliuoli;
poiché qual è il figliuolo che il padre non corregga?
Ebrei 12:8 Che se siete senza quella disciplina della quale
tutti hanno avuto la loro parte, siete dunque bastardi, e non figliuoli.
Ebrei 12:9 Inoltre, abbiamo
avuto per correttori i padri della nostra carne, eppur li abbiamo riveriti;
non ci sottoporremo noi molto più al Padre degli spiriti per aver vita?
Ebrei 12:10 Quelli, infatti,
per pochi giorni, come pareva loro, ci correggevano; ma Egli lo fa per l'util
nostro, affinché siamo partecipi della sua santità.
Le prove che Dio ci impone, non
sono frutto della sua collera, quanto piuttosto espressione del suo amore
nei nostri confronti. Dio usa la “pedagogia” della sofferenza per raggiungere
i nostri cuori. Un figlio di Dio non provato, non può essere definito tale.
I nostri correttori terreni,
ossia i nostri genitori, operano o hanno operato a volte con arbitrio nelle
nostre vite, correggendoci a volte in modo arbitrario, ciò a causa dei limiti
della loro conoscenza. Dio non sottostà ad alcuna limitazione, egli sa dove
opportunamente operare per il nostro bene.
Ebrei 12:11 Or ogni disciplina
sembra, è vero, per il presente non esser causa d'allegrezza, ma di tristizia;
però rende poi un pacifico frutto di giustizia a quelli che sono stati per
essa esercitati.
La cultura occidentale si è orientata
al contenimento o all’eliminazione dello sforzo e del dolore, nulla deve essere
stressante o doloroso, tutto ha da essere facile. In questo contesto vanno
intese pratiche quali l’eutanasia. Nel brano ci è ricordato che la “disciplina”
(paideia) cristiana è dolorosa.
Ebrei 12:12 Perciò, rinfrancate
le mani cadenti e le ginocchia vacillanti;
Ebrei 12:13 e fate dei
sentieri diritti per i vostri passi, affinché quel che è zoppo non esca fuor
di strada, ma sia piuttosto guarito.
(Isaia 35:3) La conoscenza dei
propositi di Dio per le nostre esistenze deve tradursi in una maggiore fermezza
per quanto concerne il progredire nella vita cristiana. La conoscenza della
Parola non è un fatto esteriore, rispetto all’impegno cristiano.
Ebrei 12:14 Procacciate
pace con tutti e la santificazione senza la quale nessuno vedrà il Signore;
In Rom. 12:18 è affermato “Se è possibile per quanto dipende
da voi vivete in pace con tutti”, la pace all’interno della comunità è un
elemento necessario per quanto concerne il progresso spirituale. Tale pace
non deve essere perseguita a tutti i costi, essa deve necessariamente fondarsi
sulla fedeltà all’insegnamento di Cristo. Pertanto bisogna guardarsi tanto
dai formalismi, ossia da liturgie di facciata dietro le quali conflitti e
tensioni sono solo celati, quanto dall’ecumenismo omogeneizzante, che riduce
tutte le differenze. L’intento supremo della chiesa deve essere la santificazione.
Siamo troppo avvezzi a tollerare il peccato delle assemblee cristiane, tanto
da ritenere che il cristianesimo sia una sorta di movimento al quale non corrisponde
una reale applicazione. Questo brano è un “correttivo rispetto ad estremizzazioni
intellettualistiche sulla reale portata della “giustificazione”.
Ebrei 12:15 badando bene
che nessuno resti privo della grazia di Dio; che nessuna radice velenosa venga
fuori a darvi molestia sì che molti di voi restino infetti;
La comunità che non presta attenzione
al comportamento di ogni suo singolo membro, apre le porte alla distruzione
dell’armonia, della santità e della pace. La grazia di cui nessuno deve rimanere
privo è la cura reciproca esercitata per il tramite della Parola di Dio, la
correzione, l’esortazione ect.
Ebrei 12:16 che nessuno
sia fornicatore, o profano, come Esaù che per una sola pietanza vendette la
sua primogenitura.
Ebrei 12:17 Poiché voi
sapete che anche quando più tardi volle ereditare la benedizione fu respinto,
perché non trovò luogo a pentimento, sebbene la richiedesse con lagrime.
Il brano ci mette in guardia
dalle abitudini sensuali e mondane. Esaù rinunciò alle benedizioni che per
diritto di nascita, per motivi materiali. Nell’AT non vi è traccia di un pentimento
di Esaù, in Gen. 27:34 è detto solo: “Quando Esaù ebbe udite le parole di
suo padre, dette in un grido forte ed amarissimo. Poi disse a suo padre: Benedici
anche me, padre mio!”.
La Scrittura afferma “Oggi è il tempo accettevole per la salvezza”,
pertanto è peccato anche possedere una mentalità del rimandare a domani gli
impegni di consacrazione. Nel testo greco manca l’espressione “al padre” che
appare in alcune versioni (CEI).
Ebrei 12:18 Poiché voi
non siete venuti al monte che si toccava con la mano, avvolto nel fuoco, né
alla caligine, né alla tenebre, né alla tempesta,
Ebrei 12:19 né al suono
della tromba, né alla voce che parlava in modo che quelli che la udirono richiesero
che niuna parola fosse loro più rivolta
Ebrei 12:20 perché non
potevano sopportar l'ordine: Se anche una bestia tocchi il monte sia
lapidata;
Ebrei 12:21 e tanto spaventevole
era lo spettacolo, che Mosè disse: Io son tutto spaventato e tremante;
E’ qui rievocato l’episodio del
dono della Legge al popolo di Israele descritto in Esodo 19:16. Vero è che
nell’episodio in questione non si fa riferimento allo spavento e alla paura
di Mosè, è possibile che siano qui condensati vari episodi (Es. 3, il pruno
ardente; Deut. 9:19 il vitello d’oro)
Ebrei 12:22 ma voi siete
venuti al monte di Sion, e alla città dell'Iddio vivente, che è la Gerusalemme
celeste, e alla festante assemblea delle miriadi degli angeli,
Ebrei 12:23 e alla Chiesa de' primogeniti che sono scritti
nei cieli, e a Dio, il Giudice di tutti, e agli spiriti dei giusti resi perfetti,
Il termine “primogeniti” è utilizzato nella stessa accezione
con il quale è usato in relazione a Gesù. Con questa espressione non si vuole dire che Gesù
Cristo sia stato il primo essere vivente creato da Dio Padre, dato che la
Scrittura dice che tutte le cose sono state create dal Padre con il concorso
del Figlio (Gv. 1:13; Col. 1:15,18). Nel caso la Scrittura avesse voluto affermare
che Cristo era stato la prima creatura di Dio, sarebbe stata usato il termine
greco “protoktisteos”. La parola primogenito è usata soltanto nove volte
nel NT ( Mt. 1:25; Lc. 2:7; Rom: 8:29; Col. 1:15,18; Ebr. 1:6; 11:28; 12:23;
Ap. 1:5 ) e possiede due sensi: può indicare il primo nato di una donna (e
il riferimento è chiaramente alla generazione umana), ma può anche esprimere
il rango, la preminenza, l'ufficio di capo, la dignità di una persona, (non
diversamente dall'AT: Salmo 89:27; Geremia 31:3 con Genesi 41:52; Esodo 4:22;
1 Cronache 5:1-2 con Genesi 25:28-34; 1Cron. 26:10; Deut. 21:16; in tutti
questi brani non è in questione l'ordine di nascita). Primogenito applicato
al Cristo ha proprio il significato di “preminente per rango”. La chiesa
dei “primogeniti” è costituiti da persone che hanno acquisito un rango talmente
prestigioso da potere accedere spiritualmente alla stessa presenza di Dio.
Tale Dio è anche un Giudice che tuttavia lungi dal condannare è pronto ad
accogliere.
Ebrei 12:24 e a Gesù, il
mediatore del nuovo patto, e al sangue dell'aspersione che parla meglio di
quello d'Abele.
IL sangue di Abele, secondo la
tradizione ebraica, gridò per chiedere vendetta. Il sangue di Gesù invece
“parla” anch’esso nel senso che la morte di Gesù è una realtà vivente, e lungi
dal comunicare morte, comunica vita.
Ebrei 12:25 Guardate di
non rifiutare Colui che parla; perché, se quelli non scamparono quando rifiutarono
Colui che rivelava loro in terra la sua volontà, molto meno scamperemo noi
se voltiam le spalle a Colui che parla dal cielo;
Sono qui poste a confronto le
persone di Mosè e di Cristo , al fine di attirare l’attenzione sul maggiore
impegno che l’insegnamento del Signore richiede ai destinatari dell’epistola.
Ebrei 12:26 la cui voce scosse allora la terra, ma che adesso
ha fatto questa promessa: Ancora una volta
farò tremare non solo la terra, ma anche il cielo.
Ebrei 12:27 Or questo 'ancora una volta' indica la rimozione
delle cose scosse, come di cose fatte, onde sussistano ferme quelle che non
sono scosse.
Ebrei 12:28 Perciò, ricevendo
un regno che non può essere scosso, siamo riconoscenti, e offriamo così a
Dio un culto accettevole, con riverenza e timore!
Ebrei 12:29 Perché il nostro
Dio è anche un fuoco consumante.
E’ certamente errato “farsi immagine
alcuna di Dio” e pertanto immaginarlo come un essere benigno e comprensivo. Il cattolicesimo trova oltremodo utile proporre all'attenzione dei
fedeli immagini materiali del divino, allo scopo di facilitare il contatto
con esso, sovente in campo protestante si assiste alla medesima deviazione
dal comandamento (si pensi all’uso non sempre critico del “crocefisso”). Non
esiste alcun uso legittimo dell'immagine di Dio, anche il crocefisso sottolineando
solo verità parziali come la sofferenza di Cristo sulla croce e la sua morte
vicaria, trascura verità altrettanto importanti come la Sua vittoria sulla
morte, la Sua intercessione per i santi, la Sua Signoria attuale. La storia
del cristianesimo ci insegna come le varie devozioni del crocefisso abbiano
ispirato pensieri malinconici sulle sofferenze del Cristo.
I popoli antichi non credevano affatto che le immagini della
divinità coincidessero con la medesima, pertanto deve essere ritenuta una
sofisticheria il fatto che la teologia cattolica pretenda di differenziarsi
dal paganesimo affermando che non sono le “statue” ad essere venerate ma piuttosto
auanto è “sopra di loro”. In generale I'immagine sacra esprime 1) il bisogno
da parte dell'uomo di avere relazione con la divinità, 2) individua il luogo
dove trovare il divino, 3) rassicura sulla presenza del divino, 4) permette
di distinguere tra divinità.
Ma se l'immagine risulta utile all'adoratore, per quale
motivo Dio è tanto intransigente nei confronti del suo utilizzo? Possiamo
rispondere dicendo che nessuna immagine riesce a cogliere pienamente l'essenza
spirituale di Dio.
Le immagini colgono solo un aspetto parziale di Dio. Israele
nel deserto volle rappresentarsi l'Eterno come un forte vitello, l'intento
in sé poteva anche non apparire errato (era pur sempre l'Eterno quello che
veniva parzialmente raffigurato), ma le conseguenze etiche non tardarono a
manifestarsi. Il popolo sentì quel Dio tanto poco onorabile da abbandonarsi
a pratiche licenziose al suo cospetto (Esodo 32). Ogni rappresentazione che
ci facciamo di Dio si pone sotto il segno del peccato dell'uomo. Tramite l'immagine
entriamo solo in rapporto con noi stessi, anche per questo motivo le immagini
sono rassicuranti , esse infatti ci sono “familiari”, sono espansioni della
nostra umanità. Non la vista ma l'udito è chiamato in causa nella relazione
con Dio, infatti è tramite la Parola rivelata che ci è fornita conoscenza
a proposito di chi Dio è. La Scrittura esclude anche l'utilizzo di immagini mentali
, altrettanto dannose quanto quelle fisiche, pensiamo a quanti immaginano
Dio come un guerriero, un architetto, un artista ect. Affermando che Dio è
un fuoco consumante non si vuole ispirare il credente a pensare a Dio sotto
forma di fiamme, piuttosto la similitudine intende ispirare un senso di riverenza
e di timore nei confronti di un Dio che non è solo grazia ma anche santità.
Ebrei 13:1 L'amor fraterno
continui fra voi. Non dimenticate l'ospitalità;
Ebrei 13:2 perché, praticandola,
alcuni, senza saperlo, hanno albergato degli angeli.
“Continuare” nell’amore fraterno
significa non “spezzare” con l’assenteismo
quei legami che lo Spirito intende creare in mezzo al popolo di Dio. Un dovere
che si inserisce in tale ottica è quello di “ospitare”, ossia essere disponibili
all’accoglienza. E’ molto probabile che questa esortazione dia contenuto a
quella precedente e che quindi i credenti vengano esortati ad ospitare i propri
correligionari. L’esempio mostrato è probabilmente quello di Abramo e Lot
(Gen. 18; 19). Il termine “’±³³µ»¿Å” può anche significare
“messaggeri”, pertanto alcuni credenti potrebbero avere ospitato credenti
con ruoli chiave nel progetto di Dio. L’esortazione ha a che fare anche con
la necessità di non considerare la propria assemblea locale, o la propria
denominazione come “tutta la chiesa”; il credente deve costantemente considerare
la vera chiesa come costituita da tutti gli adoratori dell’unico vero Dio,
pertanto i visitatori sono proprio un pezzo di chiesa “in visita”.
Ebrei 13:3 Ricordatevi de' carcerati, come se foste in carcere
con loro; di quelli che sono maltrattati, ricordando che anche voi siete nel
corpo.
Fin tanto che soggiorneremo su questa terra, saremo anche
noi soggetti alla sofferenza. Tale riflessione è presentata per meglio far
comprendere il dolore di quanti sono prigionieri (giustamente o ingiustamente)
e di quanti sono maltrattati (extra-comunitari, ect.).
Ebrei 13:4 Sia il matrimonio
tenuto in onore da tutti, e sia il talamo incontaminato; poiché Iddio giudicherà
i fornicatori e gli adulteri.
Fornicazione e adulterio vengono
oggi considerate pratiche “quasi” del tutto normale. Infatti non è considerato
illegittimo ma solo “non conveniente” avere rapporti sessuali pre-matrimoniali
con donne o uomini sposati, allo stesso modo persone sposatese insoddisfatte
del proprio menagè coniugale non sembrano avere molti scrupoli a ricercare
affetto sessuale fuori dal vincolo matrimoniale. Entrambe tali pratiche sono
considerate “riprovevoli” da parte di Dio e sono una riproposizione del VII°
comandamento.
Ebrei 13:5 Non siate amanti
del danaro, siate contenti delle cose che avete; poiché Egli stesso ha detto:
Io non ti lascerò, e non ti abbandonerò.
Ebrei 13:6 Talché possiam
dire con piena fiducia: Il Signore è il mio aiuto; non temerò. Che mi potrà
far l'uomo?
Nella Nuova Diodati il brano è tradotto:
“Nel vostro comportamento non siate amanti
del denaro e accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso ha detto:
«Io non ti lascerò e non ti abbandonerò»“. Il termine utilizzato per “comportamento” è “tropos”, che può significare
“modo di vivere” o “stile di pensiero e di vita”. Il rapporto con il denaro
può essere un modo per misurare il carattere di un credente. Il credente deve
accontentarsi di quanto il Signore gli provvede, ciò non deve essere inteso
come significante che nella vita cristiana non vi è spazio per il desiderio
di migliorare la propria condizione economica, ma piuttosto che il credente
non deve vivere in una situazione di scontentezza per via di quello che possiede.
Il brano Io non ti lascerò, e non ti abbandonerò non è presente
nella Bibbia ma vi si trovano brani dal significato equivalente (Gen. 28:15;
Deut. 31:6; Giosuè 1:5; Isaia 41:17). Se abbiamo gli occhi puntati sul Signore,
se le siamo paghi di quanto abbiamo, cosa può farci l’uomo.
Ebrei 13:7 Ricordatevi dei vostri conduttori, i quali v'hanno
annunziato la parola di Dio; e considerando com'hanno finito la loro carriera,
imitate la loro fede.
Questa brano fa il paio con quello di E brei 13:17. Evidentemente Questi conduttori
erano stati particolarmente usati dal Signore nella predicazione Parola. Non
sembra che tale predicazione debba essere intesa come quella esclusivamente
evangelistica. La predicazione della Parola del Signore deve essere tenuta
in grande stima dall’assemblea dei credenti, non sempre è giovevole considerarla
un’attività tra le altre, al contrario essa è quanto dona identità cristiana
alla comunità locale.
Ebrei 13:8 Gesù Cristo
è lo stesso ieri, oggi, e in eterno.
E’ legittimo
spendere qualche parola per tentare di definire il senso di questi termini
nel contesto più ampio della terminologia temporale usata nelle Sacre Scritture.
La temporalità e comune sia al
tempo che all’eternità. I termini per riferirsi al tempo sono essenzialmente:
kairos: indica nell’uso profano una occasione particolarmente propizia
per un’impresa, l’ora X per svolgere un’azione particolare, ad esempio Atti
24:25. Lo stesso tipo di pensiero soggiace al termine così come è utilizzato
teologicamente, un decreto divino fa di una data particolare un kairos, in
vista della realizzazione del piano della salvezza. I vari kairoi formano
la “storia della salvezza. I kairoi di Dio non hanno altra spiegazione (o
giustificazione) se non il fatto di essere stati scelti da Dio in modo sovrano
(Atti 1:7). A nessun uomo è dato di conoscere in anticipo il quando dei kairoi
di Dio (1Tess. 5:1). Il fatto che i kairoi siano connessi all’autorità divina
è sottolineato dal fatto che siano specificati dall’aggiunta del termine idios
“opportuno” (1Timoteo 6:15). I kairoi passati e futuri acquistano senso alla
luce del kairos fondamentale della venuta e morte di Cristo (1Tim. 2:6, ma
anche Matteo 26:18 e 8:29).
hmera, nun: il “giorno” e la “ora”. Il termine giorno rimanda alla nozione
giudaica di “Yom Yhwh” ossia del “giorno del Signore”, in Marco 13:32 Gesù
parla “del giorno e dell’ora che nessuno conosce”, tale momento è quello in
cui Dio mostrerà in modo inequivocabile la propria sovranità di Signore di
tutto l’universo. Ma lo stesso Gesù utilizza il termine “giorno” oppure come
nel vangelo di Giovanni, il termine ora, per riferirsi ad avvenimenti della
propria attività terrena (Luca 13:32). Anche la predicazione apostolica è
caratterizzata da una significativa attenzione al “presente” (Col. 1:26 ed
Ebrei 3:7, 13, 15).
aiwn: come il correlativo termine ebraico malo (olam), esso può avere talora un senso spaziale e significare “mondo”
una sorta di sinonimo di kosmos. Il termine nel suo senso temporale può designare
tanto un tempo circoscritto, quanto una durata illimitata e incalcolabile
ossia l’eternità. Dio è descritto come il “Signore degli aiwnes”. Il termine al
plurale (aiwnws, usato probabilmente per dare enfasi all’espressione) è utilizzato
di preferenza ogniqualvolta si intende fare riferimento a quanto noi siamo
soliti chiamare “eternità”. Ciò dimostra che quando i giudei e i credenti
pensavano all’eternità non pensavanoad una sospensione del tempo, ma al contrario
come ad un procedere infinito del tempo, inconcepibile per l’intelletto umano,
un susseguirsi illimitato di epoche limitate, la cui successione può essere
abbracciata e dominata solo da Dio. Nel NT non si ha contrapposizione tra
tempo ed eternità, ma tra tempo limitato e tempo illimitato. Quando gli autori
cristiani vogliono indicare il tempo oltre i limiti di quello misurabile “verso
il passato” scrivono: ek tou aiwnos, oppure ap aiwnos; verso il futuro
invece eis aiwna oppure eis tous aiwnas. Partendo da qui è da intendere la distinzione giudaica tra
“tempo attuale” (aiwn outos oppure enestws) e “tempo futuro” (aiwn mellwn), che non sta ad indicare un a distinzione tra tempo ed eternità,
quanto piuttosto una differenza tra malvagità e redenzione. L’aiwn passato
è limitato dalla Caduta e dalla fine del mondo, mentre quello futuro è limitato
in una sola direzione quella del suo inizio.
Ebrei 13:9 Non siate trasportati
qua e là da diverse e strane dottrine; poiché è bene che il cuore sia reso
saldo dalla grazia, e non da pratiche relative a vivande, dalle quali non
ritrassero alcun giovamento quelli che le osservarono.
Che il Signori
non muti mai, ha un significato pratico preciso: nulla di nuovo può essere
aggiunto alla Parola predicata. Dobbiamo pertanto fare estrema attenzione
al contenuto teologico delle nostre affermazioni, vagliandole attentamente
lì dve abbiamo l’impressione che esse manifestino una radicale novità rispetto
alll’insieme delle verità credute. I credenti alla quale l’epistola era indirizzata
rispetto al messaggio loro rivolto, si stavano attaccando a pratiche e precetti
“nuovi”, del tutto in disarmonia con il contenuto spirituale dell’evangelo.
Ebrei 13:10 Noi abbiamo un altare del quale non hanno diritto
di mangiare quelli che servono il tabernacolo.
Ebrei 13:11 Poiché i corpi
degli animali il cui sangue è portato dal sommo sacerdote nel santuario come
un'offerta per il peccato, sono arsi fuori del campo.
Ebrei 13:12 Perciò anche
Gesù, per santificare il popolo col proprio sangue, soffrì fuor della porta.
Ebrei 13:13 Usciamo quindi fuori del campo e andiamo a lui,
portando il suo vituperio.
L’altare al quale noi credenti abbiamo
il diritto di accostarci è una figura per illustrare i benefici dell’essere
“in Cristo” Questo altare sono i benefici stessi della croce di Cristo (l’altare
non è Cristo, né si fa qui riferimento ad un cibo eucaristico offerto su questo
altare). Secondo Levitico 16:27 (il
rituale del giorno dell’espiazione) i
corpi dei giovenco e del capro sacrificati non venivano mangiati, ma portati
fuori dal campo e qui arsi, Cristo in quanto “antitipo” del sommo sacerdote
e anche dei sacrifici espiatori, venne portato all’altare fuori dal campo,
cioè alla croce, per offrire se medesimo.
Essere credenti significa anche “portare il vituperio” di
Cristo, per i gentili Cristo è follia,
mentre per i giudei è scandalo (1 Cor. 1:23).
Ebrei 13:14 Poiché non
abbiamo qui una città stabile, ma cerchiamo quella futura.
Che tristezza
vedere tanti credenti affaccendati a costruirsi una “stabile dimora” su questa
terra! Tale dimora non deve essere intesa solo come ricerca di prestigio e
reputazione professionale, ve ne sono di alcuni il cui scopo apparentemente
“spirituale” è concentrato sul successo della propria denominazione.
Ebrei 13:15 Per mezzo di
lui, dunque, offriam del continuo a Dio un sacrificio di lode: cioè, il frutto
di labbra confessanti il suo nome!
L’unica forma
possibile di culto è di natura interiore ed etico (Romani 12:1 Io vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio,
a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, accettevole a Dio;
il che è il vostro culto spirituale. Giacomo 1:27 La religione pura e immacolata dinanzi a Dio e Padre è questa:
visitar gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni, e conservarsi puri dal
mondo)
Ebrei 13:16 E non dimenticate
di esercitar la beneficenza e di far parte agli altri de' vostri beni; perché
è di tali sacrificî che Dio si compiace.
Il dare non
deve essere considerato un elemento “accessorio” della condotta cristiana,
ma al contario come un ulteriore metro per misurare quanto si è solleciti
nei confronti dei bisogni altrui.
Ebrei 13:17 Ubbidite ai vostri conduttori e sottomettetevi a loro, perché
essi vegliano per le vostre anime, come chi ha da renderne conto; affinché
facciano questo con allegrezza e non sospirando; perché ciò non vi sarebbe
d'alcun utile.
Ebrei 13:18 Pregate per
noi, perché siam persuasi d'aver una buona coscienza, desiderando di condurci
onestamente in ogni cosa.
Ebrei 13:19 E vie più v'esorto
a farlo, onde io vi sia più presto restituito.
Nel Catechismo
Minore di Westminster alla domanda 94: “Quali sono gli strumenti di grazia
esteriori e ordinari mediante i quali Dio
preserva i suoi eletti e comunica loro le benedizioni della redenzione in
Cristo” è affermato: “Gli strumenti di grazia esteriori ed ordinari mediante
i quali Dio preserva i suoi eletti
e comunica loro le benedizioni della redenzione in Cristo sono i suoi ordinamenti,
specialmente la Parola, i sacramenti e la preghiera: Questi ordinamenti sono
resi efficaci da Dio stesso per la salvezza degli eletti”. La preghiera è
uno dei mezzi scelti da Dio per comunicarci i benefici della Sua grazia. Lo
scopo di questa pratica non solo quello di esercitare la nostra volontà ad
una sempre maggiore dipendenza da Dio per quanto concerne tutto quanto ci
necessita, ma anche di permetterci di assimilarci sempre più alla volontà
di Dio. Infatti otteniamo “solo” se chiediamo in modo conforme alla Sua volontà.
Ebrei 13:20 Or l'Iddio
della pace che in virtù del sangue del patto eterno ha tratto dai morti il
gran Pastore delle pecore, Gesù nostro Signore,
Ebrei 13:21 vi renda compiuti
in ogni bene, onde facciate la sua volontà, operando in voi quel che è gradito
nel suo cospetto, per mezzo di Gesù Cristo; a Lui sia la gloria ne' secoli
dei secoli. Amen.
Essere resi
“perfetti” in ogni bene non ha il senso di un’acquisizione personale di tranquillità
economica o spirituale, ma solo un elemento per mettere in pratica la Sua
volontà.
In Efesini 1:17 è detto: non resto mai dal
render grazie per voi, facendo di voi menzione nelle mie orazioni,
Efesini 1:17 affinché l'Iddio del Signor nostro Gesù
Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione
per la piena conoscenza di lui,
Efesini 1:18 ed illumini gli occhi del vostro cuore,
affinché sappiate a quale speranza Egli v'abbia chiamati, qual sia la ricchezza
della gloria della sua eredità nei santi,
Efesini 1:19 e qual sia verso noi che crediamo, l'immensità
della sua potenza.
Possedere uno spirito di sapienza
e di rivelazione sono attività connesse non solo allo studio della Parola,
ma anche all’esercizio della preghiera.
Ebrei 13:22 Or, fratelli,
comportate, vi prego, la mia parola d'esortazione; perché v'ho scritto brevemente.
L’epistola agli Ebrei potrebbe essere letta ad alta voce
in meno di un’ora pertanto ben si attaglia ad essa la definizione di “lettera
breve”.
Ebrei 13:23 Sappiate che
il nostro fratello Timoteo è stato messo in libertà; con lui, se vien presto,
io vi vedrò.
Ebrei 13:24 Salutate tutti i vostri conduttori e tutti i santi.
Quei d'Italia vi salutano.
Ebrei 13:25 La grazia sia con tutti voi. Amen.