di D. Iannone
Calvino,
al principio del primo capitolo del primo libro dell’Institutio, afferma che «tutta la somma della nostra sapienza […]
consiste nel fatto che conoscendo Dio
ciascuno di noi conosca anche se stesso»[1].
Se l’antica sapienza greca aveva riconosciuto come principale compito dell’uomo
quello di «conoscere se stesso», viene ora chiarito che non è possibile
giungere a questo scopo senza conoscere Dio. Non vi è però una semplice
complementarietà fra antropologia e teologia, ma una subordinazione della prima
alla seconda: «L’ordine di un buon insegnamento richiede che in primo luogo
trattiamo della conoscenza di Dio per venire poi alla seconda [conoscenza dell’uomo]»[2].
Calvino
non intende condurre un’indagine speculativa su temi antropologici e teologici,
ma egli si occupa di gnoseologia,
poichè non si dà alcuna conoscenza di Dio che non esprima anche sottomissione o
meno a Dio, né alcuna religiosità che non sia anche sforzo intellettuale (fides quaerens intellectum). La guida
alla conoscenza di Dio è un «sentimento della potenza di Dio», da cui sgorgano
la vera pietà (venerazione e amore di Dio) e la religione (fede unita a un vivo
timore di Dio in modo che il timore comprenda una venerazione volontaria e
comporti un servizio degno, quale Dio stesso prescrive nella sua Legge[3]).
La religione è considerata in tale prospettiva come il frutto di un’attitudine
innata, un sensus divinitatis, ne è
testimonianza l’idolatria: «Quando preferiscono adorare un pezzo di legno o una
pietra piuttosto che essere considerati senza Dio, constatiamo quanto
straordinaria sia la forza e la dinamica di questa esigenza ineliminabile
dell’intelletto umano»[4].
Allo stesso modo i più malvagi fra gli uomini, che, nonostante i molti
tentativi, non riescono a liberarsi dell’immagine di Dio che è stata scolpita
nel loro cuore, testimoniano con il rimorso che sempre di nuovo li tormenta
della presenza in ognuno di «un’impressione [di Dio] così profonda, da non
poter essere abolita»[5].
Tutto ciò è comprensibile solo se l’attività di Dio non è paragonata a quella
di un Dio che abbia dato un calcio al mondo, sì che questo poi continui a
muoversi per inerzia. Dio è «governatore e custode perpetuo» di ciò che ha
fatto venire all’essere, Egli è presente[6]
al mondo, lo sostiene e ne ha cura. Senza prendere in considerazione il fatto
che Dio è provvidente, non potremmo «comprendere rettamente che cosa significhi
l’affermazione che Egli è il creatore; anche se ci sembra chiara nel nostro
spirito e la confessiamo con le labbra»[7].
Lutero nel Grande Catechismo, afferma
senza esitazione che «nessuno di noi possiede o può conservare da se stesso né
la vita né alcun altro bene, per quanto piccolo e insignificante; e tutto
questo è compendiato nel termine Creatore
[con cui si indica Dio]»[8].
Zwingli allo stesso modo afferma: «Dio è chiamato anche dai filosofi entelecheia ed energeia, cioè a dire forza perfetta, efficace e attiva. […]
Cosicché si afferma che Dio è ciò da cui tutto trae origine, tutto viene mosso
e in virtù del quale tutto vive, non tanto nel senso di una materia originaria,
quanto nel senso che Egli è insieme saggezza, sapienza e provvidenza […]
Attraverso la sua saggezza ogni cosa è conosciuta, prima ancora di esistere;
per mezzo della sua sapienza ogni cosa è compresa, e attraverso la provvidenza,
ordinata»[9].
“Come può infatti la mente
umana con il suo piccolo metro misurare l'essenza incommensurabile di Dio?... E
come può la mente trovare da sé l'essenza di Dio se non può neppure trovare la
propria? Lasciamo dunque di buon grado a Dio la conoscenza di se Stesso.”
Calvino in questo brano cita Ilario di Poitiers, secondo il quale è Dio la sola
adeguata testimonianza di se stesso: egli resta sconosciuto se non lo si
conosce attraverso lui stesso, ciononostante Calvino non nega la possibilità di
una teologia naturale o fisico-teologia
in quanto l’esistenza di Dio è testimoniata dall’ordine naturale del cosmo
creato. Dio è in conoscibile quale Egli è, ma il creato è «una esposizione o
manifestazione delle realtà invisibili, perché la sua costruzione così ben
ordinata funge da specchio per contemplare Dio»[10].
Calvino loda le scienze naturali, gli scienziati e invita tutti a rimirare
l’armonia e bellezza del corpo umano. Ma il sensus
divinitatis e la fisico-teologia, non permettono una corretta e profonda
conoscenza di Dio, in quanto Adamo ha coinvolto tutta la propria discendenza
nella propria empietà, rendendo tutti gli uomini incapaci di prestare orecchio
alla voce di Dio. Costoro ora pervertono il “senso del divino” in loro e se si
volgono a Dio, ciò avviene unicamente perché vi sono costretti dalla distretta
e dalla paura, loro malgrado. Anche la teologia naturale, soggiace alle
medesime perversioni quali il credere a segrete forze interne agli stessi
elementi naturali (natura naturans),
o ad una anima mundi come spirito
ordinatore immanente al cosmo. Più avanti nel corso dell’opera Calvino rigetta
l’opinione dei filosofi, secondo la quale: «La ragione posseduta dall’intelletto
umano è sufficiente a guidarci e a indicare il giusto cammino»[11].
Una simile opinione non solo non tiene conto dello statuto creaturale
dell’uomo, ma è anche in aperta contraddizione con la dottrina del peccato
originale e della salvezza per sola grazia. L’uomo depravato dal peccato
d’Adamo e posto fuori dalla comunione con Dio, deve da Dio stesso essere liberato. Allora egli sarà pronto a
riconoscere e confessare la assoluta centralità di Dio come Padre
misericordioso e radice di ogni bene, e non pretenderà più di essere, come pure
alcuni Padri greci hanno sostenuto, autexousion
(autonomo). Ecco che constatiamo, ancora una volta, come il riconoscimento cognitivo della centralità di Dio si
leghi sempre all’esperienza della Sua centralità soteriologica: solo attraverso il diretto intervento salvifico di
Dio Padre, Figlio e Spirito Santo nella vita del singolo credente, sarà dato a
quest’ultimo non solo di comprendere, ma anche di avvertire sensibilmente
quella centralità, altrimenti sempre negata.
Si può vedere quindi quanto questa dottrina sia lontana dall’umanesimo
di un Sebastiano Castellione o dei Sozzini. Con il processo della salvezza, la
centralità gnoseologica di Dio riassume tutta la sua importanza. Solo grazie
alla rivelazione è dato agli uomini di conoscere nuovamente e propriamente Dio
come creatore personale, laddove, nel caso in cui siano «guidati solo dalla
natura, non avranno nulla di certo, di stabile, di chiaro ma rimarranno
attaccati semplicemente al generico principio di adorare qualche dio
sconosciuto»[12]. Solo per
mezzo della Scrittura possiamo conoscere la misericordia di Dio e la sua
volontà: nella Rivelazione abbiamo «il principio di ogni retta intelligenza», a
patto che «accogliamo con riverenza quanto Dio vi ha voluto testimoniare di se
stesso»[13].
Dio ponendosi al centro della Scrittura come Colui che da essa è annunciato e
di essa è autore[14], esige dai
credenti anzitutto obbedienza e
rispetto per l’autorità della Parola, unico e indispensabile fondamento della
verità e della chiesa[15].
Uno dei
cardini della rivoluzione teologica
avvenuta nel ’500 è espresso nel motto Sola
Scriptura: la Bibbia, in quanto Parola di Dio, nella sua claritas è l’unico fondamento e criterio
di giudizio di ogni discorso teologico, che da essa sola deve trarre origine e
a essa sola deve sottomettersi per esserne giudicato. Lo stesso Calvino ritorna
su questo punto, là ove scrive: «La Scrittura è in grado di farsi riconoscere
per virtù potente e infallibile, così come le cose bianche o colorate mostrano
il loro colore e le cose dolci o amare il loro sapore»[16].
Calvino non si limita ad affermare la chiarezza e sufficienza della Scrittura,
ma ne dà anche la fondazione: «mai avremo fede stabile nella dottrina finché
non saremo convinti, senza ombra di dubbio che Dio ne è l’autore»[17].
Dio può proporsi come il centro della Bibbia poiché testimonia di sé nella
mente e nel cuore del credente. Lo Spirito si affianca al testimonium exteriore della Scrittura, e con la sua penetrante
potenza sottomette a quest’ultimo il nostro giudizio e la nostra intelligenza,
poiché «non c’è vera fede all’infuori di quella che lo Spirito Santo suggella
nei nostri cuori»[18].
Non è affermato che lo Spirito, parlando ai cuori dei singoli credenti, li
provveda di un’ulteriore speciale rivelazione, diversa nei suoi contenuti da
quella scritturale, ma che l’ufficio del testimonio interiore è quello di
confermare e rendere salda la rivelazione scritturale, in sé sufficiente: «non
è funzione dello Spirito Santo di sognare nuove rivelazioni, sconosciute per
l’innanzi o inventare nuove forme di dottrina per sottrarci alla dottrina
dell’Evangelo ricevuto; ma piuttosto di suggellare e confermare nei nostri
cuori la dottrina che vi è dispensata»[19].
Per
Calvino la Scrittura è il fondamento conoscitivo
della teologia, in virtù dell’opera dello Spirito Santo. Ora, lo Spirito
è precisamente Colui per mezzo del quale l’opera redentrice di Gesù Cristo è
applicata agli eletti; è per mezzo di Lui che la grazia efficace opera nei
credenti la rigenerazione, illuminando la loro menti e facendo loro conoscere Dio. Non dobbiamo decidere se
sia prioritario il principio formale (Scrittura) o il principio materiale
(Giustificazione) nella fondazione della teologia cristiana[20],
poiché entrambi dipendono dall’opera dello Spirito Santo, cioè dalla grazia
efficace. Calvino costruisce la propria teologia teocentricamente e
trinitariamente: il Dio creatore (Padre) che pone in noi il sigillo del sensus divinitatis può essere incontrato
solo in virtù della mediazione del Verbo incarnato (Figlio), e grazie all’opera
rigeneratrice dello Spirito Santo.
[1] Giovanni
Calvino, Istituzione della religione cristiana, UTET, Torino 1983, I,
1,1, p. 137.
[2] Ivi, I, 1, 3, p. 140.
[3] Ivi, I, 2, 2, p. 143.
[4] Ivi, I, 3, 1, p. 144.
[5] Ivi, I, 3, 2, p. 145. L’esempio che Calvino usa a
questo proposito è quello dell’imperatore Caligola: si vedano le analoghe
riflessioni che Søren Kierkegaard conduce ne La malattia mortale intorno alla
cosiddetta «angoscia del bene» provata da Nerone.
[6] Cfr. François Wendel, Calvin. Source et
évolution de sa pensée religieuse, Presses universitaires de France, Paris
1950, p. 131. Per sintetizzare
in una breve formula la convinzione che Dio, in quanto unico vero fondamento
dell’essere del mondo, debba considerarsi in qualche modo a esso immanente, la
Scolastica coniò l’esametro Enter, praesenter Deus est, et ubique potenter;
questo “verso”, citato poi tradizionalmente, voleva forse riprendere, nella sua
triplice scansione, il detto paolino: «in Lui viviamo, ci moviamo e siamo»
(Atti 17: 28a; v. inoltre Henri Blocher,
«Immanence and transcendence in trinitarian theology», in The Trinity in a
Pluralistic Age. Theological Essays on Culture and Religion, a cura di
Kevin Vanhoozer, Eerdmans, Grand Rapids 1997, p. 111).
[7] Calvino, op.
cit., I, 16, 1, p. 305.
[8] Martin Luther, Grosser
Katechismus, Verlag der Lutherischen Buchhandlung, Gross Oesingen 1997, p. 83.
[9] Huldrych Zwingli,
Kommentar über die wahre und falsche Religion, in Zwingli Schriften, Bd. III,
Theologischer Verlag Zürich, Zürich 1995, pp. 62-64.
[10] Ivi, I, 5, 1, p. 152.
[11] Ivi, II, 2, 3, p.
371.
[12] Ivi, I, 5, 11, p. 166. Cfr. Heinrich Bullinger Compendium christianae religionis decem libris
comprehensum, Tiguri 1559, II, 2: «Allo stesso modo in cui ciò che è nell’uomo
nessuno lo conosce, se non lo spirito umano che è in esso, così anche ciò che
Dio è non può esplicarlo nessuno oltre a Dio nel suo Verbo. Chiunque si
costruisca altre opinioni, e cerchi in altro modo di avere conoscenza di Dio,
costui si inganna e non venera che le immagini fittizie del proprio cuore».
[13] Calvino, op.cit.,
I, 6, 2, p. 172.
[14] Cfr. François
Wendel, Calvin. Source et évolution de sa pensée religieuse, Presses
universitaires de France, Paris 1950, p. 116: «Sempre di nuovo Calvino insiste
sul fatto che lo Spirito ci assicura che Dio parla nella Scrittura. Il suo
contenuto è divino, perché gli autori dei diversi libri biblici non sono stati
che gli strumenti di cui Dio si è servito per mettere per iscritto la sua
rivelazione. […] Questa ispirazione si estende a tutta la Scrittura» Vedi anche quanto scrive Calvino stesso, op. cit., IV, 8, 9: «Gli
apostoli sono stati come i notai giurati dello Spirito Santo […]; i loro
successori non hanno che il compito di insegnare ciò che essi trovano contenuto
nelle Sacre Scritture».
[15] Cfr. Calvino,
op. cit., I, 7, 2, p. 175: «Se il fondamento della Chiesa è rappresentato dalla
dottrina che ci hanno lasciata i profeti e gli apostoli [Efesini, 2: 20],
occorre che tale dottrina risulti certa prima che la Chiesa cominci a
esistere».
[16] Ivi, p. 176.
[17] Ivi, I, 7, 4, p. 178.
[18] Ivi, I, 7, 5, p. 181.
[19] Ivi, I, 9, 1, p. 195.
[20] Cfr. Benjamin
B. Warfield, Calvin’s Doctrine of the Knowledge of God, in Works, vol.
5, pp. 107, 115: «Calvino penetra al di là della fede sino all’atto creativo
dello Spirito Santo che opera nei cuori e crea l’uomo nuovo, il cui atto è la
fede […] Di conseguenza la grazia efficace diviene il principale fondamento
della soteriologia di Calvino, egli stesso divenendo in senso eminente il
teologo dello Spirito Santo. […] Vediamo qui incarnato il vero principio
protestante, superiore ai così detti principio formale e materiale, cioè a dire
la testimonianza dello Spirito di Dio nel cuore».