GIOVANNI CALVINO La dottrina della chiesa Dio ha redento i
propri eletti, all'interno del processo della storia, mediante
l'incarnazione, e li santifica all'interno del medesimo processo
fondando un'istituzione dedicata a quella finalità.
Dio usa certi strumenti terreni ben definiti per attuare la salvezza dei suoi eletti; non è rigidamente vincolato a quegli strumenti, ma normalmente opera per mezzo di essi. La chiesa s'identifica dunque come un organismo divinamente istituito, nel quale Dio porta a compimento la santificazione del suo popolo. Calvino dice: Inizierò con la Chiesa, in seno alla quale Dio ha voluto raccogliere i suoi figli, affinché non solo fossero nutriti dal ministero di lei in età infantile ma affinché essa eserciti una cura materna costante nel guidarli sino al raggiungimento della maturità, anzi della meta finale della fede. Non è lecito infatti scindere queste due realtà, che Dio ha congiunte: essere la Chiesa madre di tutti coloro di cui egli è padre. Calvino affronta l'argomento "natura della chiesa" nella seconda edizione della sua Istituzione della religione cristiana, pubblicata nel 1539. Lo stesso argomento è già menzionato nella prima edizione dell'Istituzione (1536), ma a quel momento Calvino non aveva ancora alcuna esperienza di governo e di responsabilità nella chiesa, e ciò spiega il tono singolarmente vago della trattazione. Le caratteristiche della vera chiesa sono, secondo Calvino: la predicazione della Parola di Dio e la retta amministrazione dei sacramenti. Poiché la chiesa cattolica romana non possedeva tali caratteristiche, i protestanti avevano ragione nel rinnegarla come autentica chiesa del Signore; allo stesso titolo, poiché le chiese protestanti si conformavano a quella definizione, non c'era nulla che giustificasse ulteriori divisioni tra di loro: Ovunque riscontriamo la Parola di Dio essere predicata con purezza, ed ascoltata, i sacramenti essere amministrati secondo l'istituzione di Cristo, non deve sussistere alcun dubbio che quivi sia la Chiesa; non puòinfatti venir meno la promessa che Cristo ci ha fatto: "Dovunque due o tre sono radunati nel mio nome, quivi sono io in mezzo a loro" (Mt. 18,20) […] Quando essa possieda il ministero della Parola e lo onori, e mantenga l'amministrazione dei sacramenti, deve essere riconosciuta quale Chiesa [...] Ovunque la predicazione dell'Evangelo è ascoltata con rispetto ed i sacramenti non sono trascurati quivi appare, col tempo, una forma di Chiesa evidente che non è lecito contestare e di cui non è lecito discuterne l'autorità, disprezzare gli ammonimenti, rifiutare le decisioni o avere in non cale le punizioni; e da cui ancor meno è lecito separarsi spezzandone l'unità […]. Il fatto che il ministero della Parola rettamente esercitato e la pura amministrazione dei sacramenti siano pegno e valida garanzia per attestare la presenza della Chiesa in una comunità, è di fondamentale importanza, perché ci ricorda che non dobbiamo respingere alcuna assemblea che mantenga l'uno e l'altra quand'anche sia inficiata da molti errori. Si noti come Calvino identifichi due elementi come irrinunciabili per una chiesa cristiana, mentre mostra più flessibilità in altri aspetti. Sebbene nell'edizione dell'Istituzione del 1536 Calvino includesse l' "esempio di vita" tra gli "autentici attributi della chiesa", le edizioni successive misero piuttosto l'accento sulla corretta predicazione della Parola di Dio e sull' amministrazione dei sacramenti. La disciplina può rafforzare l'energia della chiesa, ma ciò che ne plasma il cuore e l'anima è la dottrina salvifica di Cristo. L'importanza dell'amministrazione della chiesa visibile esteriormente è stato riconosciuto per un certo periodo dai Riformatori. La Prima confessione elvetica, redatta nel 1536, pone in evidenza che la chiesa si distingue per certi segni esteriori: È la comunione e la congregazione di tutti i santi ad essere la sposa di Cristo, che egli lava con il suo sangue e presenta infine al Padre senza difetto o macchia. E benché questa chiesa e congregazione di Cristo sia manifesta e nota unicamente agli occhi di Dio, essa è non solo conosciuta, ma anche riunita e costruita mediante segni, riti e ordinamenti visibili che Cristo stesso ha istituito e stabilito mediante la parola di Dio come disciplina universale, pubblica e ordinata. Senza questi tratti nessuno fa parte di questa chiesa (parlando in generale e senza una speciale autorizzazione rivelata da Dio). La definizione minimalista che Calvino aveva dato della chiesa deve allora essere contestualizzata: la vera chiesa si trova là dove l'evangelo è rettamente predicato, i sacramenti correttamente amministrati e i credenti inseriti in una organizzazione ecclesiastica. Calvino menziona "l'ordine in base al quale il Signore ha voluto che la sua chiesa fosse governata" ed elabora una teoria articolata del governo ecclesiastico basata sulla propria esegesi del Nuovo Testamento, che si richiama spesso alla terminologia dell'amministrazione imperiale romana. Contrariamente a quanto affermavano i radicali, Calvino sostiene che la Scrittura indica una forma ben specifica di struttura e di amministrazione ecclesiastiche. Egli ritiene pertanto che il governo della chiesa da parte dei "ministri" (pastori), e non delle autorità civili, sia ordinato da Dio, come pure la distinzione tra "ministri", "anziani", "diaconi" e "popolo". Lutero aveva definito la chiesa a partire dal ministero della Parola di Dio, il che non era di grande utilità per distinguere la posizione della Riforma classica da quella cattolica e da quella dei "radicali". Calvino invece, pur mantenendo la sottolineatura dell'importanza del ministero della Parola di Dio, insisteva sul fatto che appunto quella Parola di Dio prescrive chiaramente una ben determinata forma di governo ecclesiastico. Si tratta di un audace passo avanti nell'interpretazione della Scrittura; esso forniva a Calvino un criterio in base al quale valutare (e liquidare) i suoi oppositori cattolici e quelli radicali. Nei punti su cui Lutero era vago, Calvino era preciso. Alla sua morte (1564), la chiesa riformata era non meno istituzionalizzata della rivale cattolica e ne era diventata la più formidabile antagonista. Calvino era ben cosciente dei potenziali vantaggi derivanti dal convincere qualche monarca alle proprie idee (e la sua ambizione principale era di ottenere un'udienza favorevole alla corte di Francia), ma in genere il calvinismo dovette cercare di sopravvivere e di progredire in situazioni nettamente ostili (come la Francia degli anni 1550 e seguenti), in cui tanto i monarchi quanto la preesistente chiesa costituita gli si opponevano. In tale situazione la sopravvivenza di gruppi calvinisti dipendeva da una chiesa forte, ben disciplinata, capace di far fronte all' ostilità del suo ambiente. Le sofisticate strutture ecclesiastiche del calvinismo si dimostrarono capaci di resistere in situazioni molto più difficili di quelle corrispondenti dei luterani e fornirono al calvinismo una risorsa essenziale per affermarsi in luoghi dove, a prima vista, la situazione politica appariva nettamente sfavorevole. Calvino sottolinea l'importanza che attribuisce all'istituzione della chiesa citando due grandi massime ecclesiologiche di Cipriano di Cartagine: "Non puoi avere Dio come padre se non hai la chiesa come madre" e inoltre: "Fuori della chiesa non c'è speranza di perdono dei peccati né di salvezza". Impariamo dal solo titolo di "madre" quanto sia utile, anzi necessaria, la conoscenza di lei; non c'è infatti alcuna possibilità di entrare nella vita eterna, se questa madre non ci ha concepiti nel suo seno e non ci partorisce, ci allatta, ci custodisce infine sotto la sua direzione e la sua autorità. L'istituzione della chiesa è uno strumento per la crescita e lo sviluppo spirituale che è necessario, utile, dato e ordinato da Dio. Calvino traccia una distinzione importante tra chiesa visibile e chiesa invisibile. Al primo livello la chiesa è la comunità dei credenti cristiani: è un gruppo visibile. Ma è pure la compagnia dei "santi" e l'insieme degli eletti, e pertanto è un' entità invisibile. In quanto chiesa invisibile è l'assemblea degli eletti, nota a Dio soltanto; nel suo aspetto visibile è la comunità dei credenti sulla terra. Alla prima appartengono soltanto gli eletti, quest'ultima comprende buoni e cattivi, eletti e reprobi. Tutti i credenti devono onorare e impegnarsi nella chiesa visibile, nonostante le sue debolezze, a motivo della chiesa invisibile, che è il vero corpo di Cristo. Ma anche così c'è una sola chiesa, un'unica entità di cui Cristo è il capo. Distinguere gli eletti e dei reprobi trascende le capacità umane, perché esigerebbe che venissero messi in relazione le qualità umane e il favore divino (e la dottrina calviniana della predestinazione impedisce di basare l'elezione su tali fondamenti). Ma in secondo luogo occorre chiedersi quale delle varie chiese visibili corrisponda a quella invisibile. Calvino riconosce dunque la necessità di esprimere dei criteri oggettivi in base ai quali giudicare l'autenticità di una determinata chiesa. Ne sono indicati due: "Dovunque vediamo che la Parola di Dio è rettamente predicata ed ascoltata, e che i sacramenti sono amministrati secondo l'istituzione di Cristo, non possiamo dubitare che ivi sia la chiesa". Ciò che costituisce la chiesa non è dunque la qualità dei suoi membri, né una successione storica, ma la presenza degli strumenti di grazia autorizzati. Come abbiamo visto, Calvino non segue Bucero nel fare della disciplina una caratteristica della vera chiesa; sebbene fosse assolutamente convinto della necessità di un'amorevole disciplina dei membri di chiesa, Calvino non la considerò un elemento essenziale per definire o valutare le credenziali di una chiesa. Il medioevo cristiano riteneva che fosse possibile mantenere la continuità con la chiesa apostolica solo su base istituzionale, cioè mediante una continuità storica diretta con la chiesa primitiva. Rompere il legame con l'istituzione storica della chiesa, rappresentata dai suoi vescovi, significava escludersi dalla chiesa. La cattolicità veniva intesa come universalità geografica, antropologica e cronologica. Con la Riforma sembrò che la cattolicità e l'unità della chiesa venissero distrutte con la frammentazione della chiesa occidentale europea. I cattolici che si opponevano alla Riforma dichiararono che i protestanti si erano staccati dalla chiesa avendo introdotto delle innovazioni (come per es. la dottrina della giustificazione per sola fede) e avendo abbandonato le strutture tradizionali della chiesa (come il papato e l' episcopato). Questa rottura con la continuità della chiesa avrebbe tolto ai Riformatori ogni diritto di chiamare le loro chiese "cristiane". I protestanti sostennero che l'essenza della cattolicità non era un fatto di istituzione ecclesiastica, ma di dottrina. Vincenzo di Lerina, teologo del V° secolo, aveva definito la cattolicità: quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est (ciò che è stato creduto dovunque, sempre e da tutti). I Riformatori dichiararono di essere e rimanere cattolici, nonostante la loro separazione dalla chiesa medievale, poiché antenevano gli elementi centrali e universalmente riconosciuti della dottrina cristiana. La continuità storica o istituzionale era secondaria rispetto alla fedeltà dottrinale. Per questo motivo, le principali chiese protestanti insistettero nel ribadire di essere al tempo stesso cattoliche e riformate, e pertanto di mantenere la continuità con la chiesa apostolica a livello di insegnavento. Afferma Melantone: Perché il termine "cattolica" è menzionato nel Credo? Perché la chiesa è un'assemblea di persone disperse per tutto il mondo, e i suoi membri, ovunque si trovino, e per quanto separati siano, accettano e professano pubblicamente la stessa Parola o la vera dottrina per tutti i secoli, dall'inizio fino alla fine [...] Essere chiamati cattolici è una cosa; esserlo nei fatti un'altra. Sono correttamente chiamati cattolici coloro che accettano la dottrina della vera chiesa cattolica (universale), cioè ciò che è attestato dai testimoni di tutti i tempi, che credono a ciò che hanno insegnato i profeti e gli apostoli e che non tollerano fazioni, eresie e assemblee eretiche. Melantone è certo che la cattolicità è la caratteristica dell'insegnamento universale della vera fede. Il punto di maggior rilevanza era insegnare ciò che gli apostoli avevano trasmesso, più che l'evidenza fisica di una continuità storica (per esempio l'imposizione delle mani). Lutero e Calvino accentuarono quindi l'enfasi data alla predicazione dell'evangelo quale attributo della chiesa di significato primario. Ove viene predicato rettamente l'evangelo, lì è presente la vera chiesa cristiana. In questo modo i Riformatori riuscirono a spuntare le armi dei loro oppositori, offrendo contemporaneamente una interpretazione teologica della nozione di "cattolicità" che permetteva alla chiesa di essere definita da un punto di vista funzionale. |