Il
Panteismo della New Age alla luce della Bibbia
La New Age,
come in genere tutte le false religioni che desiderano supportare le proprie
ragioni facendo ricorso alla Bibbia, non può fare a meno di incorrere in
contraddizioni con la Bibbia stessa.
Il “panteismo” è molto presente nelle religioni di matrice Indiana, esso afferma che “Dio è tutto” o anche, sotto il nome di “panenteismo”, che Dio è in tutto. Al giorno d’oggi i seguaci della New Age sono coloro che in modo scoperto fanno riferimento a tale concetto citando passaggi scritturali a sostegno della propria convinzione. Uno di tali brani è Atti 17:28: “Difatti, in lui viviamo, ci moviamo, e siamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: 'Poiché siamo anche sua progenie'.” Sicuramente l’apostolo Paolo non stava qui sposando la filosofia panteistica dei poeti stoici, Arato e Cleante. Costoro sono citati al solo scopo di trovare un qualche terreno comune con i propri uditori greci per la comunicazione dell’evangelo. Per tale motivo Paolo cita un’affermazione che è condivisibile in una certa misura anche da un credente. Tale affermazione è consistente con la dottrina biblica della onnipresenza di Dio, infatti Costui è presente ovunque, e nulla nell’universo sorpassa la Sua possibilità di controllo. Le parole di Paolo non affermano che il Creatore e la propria creazione condividono la medesima essenza. Nel v. 24 si afferma che: “L'Iddio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso, essendo Signore del cielo e della terra, non abita in templi fatti d'opera di mano”. Paolo crede evidentemente in una radicale differenza “ontologica” tra Dio e il mondo, quest’ultimo dipende da Dio per la propria esistenza. Nei vv. 24-25 Paolo aggiunge che Dio nulla deve alla propria creazione per la propria sussistenza. Tale convinzione è del tutto aliena tanto allo stoicismo panteista quanto alla New Age, per i quali se il mondo è tutt’uno con Dio, possedendo entrambi la medesima essenza, Dio non può essere libero o indipendente rispetto al mondo. Paolo conclude nei vv. 30-31 che tutti gli uomini debbono pentirsi dall’idolatria essendo stato fissato un giorno in cui saranno giudicati attraverso il risorto Gesù. Comprendiamo che Dio è sovrano sulla propria creazione essendone il legislatore e il giudice, e che Egli è intervenuto nella storia umana miracolosamente stabilendo salvezza e giudizio per il peccato dell’uomo. Nessuna di queste attività è comprensibile in un sistema panteista, ma sono invece comprensibili nel contesto del teismo giudeo-cristiano.
Anche
il brano di Luca 17:20-21 viene letto dai seguaci del moderno panteismo con la
medesima griglia interpretativa: “Interrogato poi dai Farisei sul quando
verrebbe il regno di Dio, rispose loro dicendo: Il regno di Dio non viene in
maniera da attirar gli sguardi; né si dirà: Eccolo qui, o eccolo là; perché
ecco, il regno di Dio è dentro di voi.”. Tanto per cominciare Gesù non afferma
che l’essere di Dio è “negli uomini”. Egli presenta il Regno di Dio (Ap. 11:15;
12:10), affermando che cittadini del regno sono coloro che fanno la volontà del
Padre e di Cristo (Luca 11:2; Matt. 7:21). I Farisei desideravano conoscere
quando il Regno sarebbe apparso, Gesù sottolinea che esso si manifesta
attraverso fasi, l’ultima delle quali e già presente (Matt. 13:31-32). Il regno
si esprime già nella sottomissione dei discepoli a Cristo, il termine che in
greco è usato per presentare tale situazione è entos (“in voi” o “in
mezzo a voi”).
Le
Scritture presuppongono sempre una relazione soggetto-oggetto tra Dio e la
propria creazione, ad esempio la separazione dell’umanità da Dio non è mai
attribuita ad una cecità soggettiva della realtà della nostra unione con il
divino presente nell’universo, come affermano i sistemi panteistici. Piuttosto
il peccato è una oggettiva trasgressione alla santa legge di Dio, a causa della
quale siamo oggettivamente separati da Lui (Isa. 59:1-2).
In
Gen. 1 leggiamo della creazione ex nihilo (dal nulla) per decreto divino
(Salmo 33:6, 9; Ebr. 11:3; Rom. 4:17). Ciò che si evince da tale racconto è che
Dio non forma il mondo quasi proiettandolo fuori da se medesimo, l’universo è
pertanto una Sua creatura. Tale infinita differenza è mantenuta attraverso
tutta la Scrittura (Sal. 102:25-27; 113:4-6; 1 Re 8:27). L’identificazione
della creazione con Dio è costantemente denunciata come l’essenza
dell’idolatria (Rom. 1:18-25). La superbia dell’uomo è condannata perché egli è
solo una creatura, non valevole della Gloria che appartiene soltanto al
Creatore (Is. 2:11, 17, 22; Sal. 100:3). Gli esseri umani che si dichiarano
“dèi” sono soggetti ad una speciale condanna da parte di Dio (Is. 47:8-11;
Ezec. 28:2, 6-9).
E’ sullo sfondo di tale contesto che Gesù e Paolo presentano il proprio ministero. I seguaci della New Age sono disposti a riconoscere che Paolo non fosse panteista, mentre sono meno disposti a tale ammissione nei confronti di Cristo. La loro dottrina panteista li conduce ad affermare che in primo luogo Gesù è da intendere solo come un essere umano, che similmente ad ogni altro uomo possiede un principio “divino” o “cristico”. Al tempo del battesimo al Giordano tale “coscienza di Cristo” si sarebbe manifestata in modo completo. Ciò è una riprova della potenzialità umana e del fatto che tutti possono diventare ne più e ne meno come Cristo. Tale convinzione ricorda quella di Nestorio (428-431 d.C.).[1] Secondo Nestorio, a Maria meglio si addiceva il termine anqropotokos (portatrice dell'uomo, che Nestorio affermava essere usata a Costantinopoli) o Xristotokos (portatrice di Cristo). Tale precisazione era funzionale alla convinzione che la persona del Salvatore consistesse di due nature indipendenti, nettamente distinte, ciascuna completa in sè stessa, ma unite a formare una personalità tramite un legame etico (sunafeia). Dio era presente in Gesù allo stesso modo che nei santi e nei profeti, solo in una maniera più completa ed eccellente, non in modo sostanziale, ma tramite una speciale grazia o favore (non kat ousian ma kat eudokian ), in un unione che divenne perfetta al momento del battesimo al Giordano (Nestorio) o all’ascensione (Gregorio di Muepsestia). Nel 1919 fu scoperto in una traduzione siriaca, il "Bazaar di Eracleide" di Nestorio, nel quale egli nega di ammettere solo un'unione morale delle due nature, dichiarando essere l'unione: sintattica e volontaria.
I Nestoriani riconoscevano la presenza del Logos eterno in Cristo (avrebbero potuto certamente sottoscrivere il Credo di Nicea), ma avevano difficoltà a ritenere Gesù qualcosa di diverso da un uomo particolarmente ispirato. Cristo era un uomo che camminava fianco a fianco con Dio, non c’era una vera incarnazione del Logos quanto piuttosto una Sua "inabitazione", Cristo non era sostanzialmente Dio incarnato. Essi cercavano di preservare l’autonomia e l’integrità dell’umanità del Cristo. Tali affermazioni neutralizzavano in parte la dottrina neo-testamentaria della redenzione, ma questi teologi più che a questa, nella quale in modo stupefacente pure credevano, guardavano al Cristo come ad una sorta di esempio di fede, non diversamente da Origene.
Secondo molta
letteratura New Age (ad esempio Levi, The Aquarian Gospel of Jesus the
Christ), Gesù ottenne la propria saggezza non studiando i testi dell’AT,
quanto piuttosto viaggiando attraverso l’Asia e il Mediterraneo. In luoghi
remoti quali l’Himalaya ricevette l’iniziazione a conoscenze occulte. I seguaci
della New Age spesso affermano che Cristo rifiutò dottrine giudaiche quail
l’espiazione tramite sangue e l’ira di Dio nei confronti del peccato che rende
tale espiazione necessaria. Altri si spingono sino ad affermare che Cristo
disprezzava il Dio della vendetta giudaico, proponendo un Dio spirituale e misericordioso. La
risposta a tutte queste obiezioni è il brano di Giovanni 4:22 “la salvezza
viene dai giudei”.
[1] Egli fu discepolo della scuola di Antiochia, monaco e presbitero,
elevato al patriarcato di Costantinopoli da Teodosio II, probabile discepolo di
Teodoro di Muepsestia (350-428) e implacabile nemico di ariani, macedoniani
(dal nome del loro leader Macedonio, costoro erano semi-ariani, detti anche
pneumatomachiani, e negavano la divinità dello Spirito Santo), novaziani e
quartodecimani. Nestorio è ricordato dalla tradizione come un uomo onesto, di
grande eloquenza, pietà e zelo per l'ortodossia, e nel contempo vanitoso e
imprudente.
Il suo cappellano a Costantinopoli, un certo Anastasio, riteneva fossero censurabili quei monaci che usavano l’epiteto Qeotokos (portatrice di Dio, comunemente tradotto con madre di Dio) per la vergine Maria, Nestorio avallò tale critica, definendo antiscritturale l'uso del termine. Il termine era stato usato tra l'altro da Atanasio, il campione del Concilio di Nicea, Origene, Basile ed altri, e poco aveva a che fare con la crescente venerazione di cui Maria veniva fatta segno. Infatti tutti costoro con tale termine intendevano denotare l'indissolubile unione delle nature divina ed umana nel Cristo, e la reale incarnazione del Logos, che prese l'umana natura dal corpo di Maria, nascendo Uomo-Dio dal suo ventre e soffrendo come Uomo-Dio sulla croce.