Karl Barth (Basilea 1886-1968), teologo protestante
svizzero, iniziatore (insieme a E. Thurneysen ed E. Brunner) della teologia
dialettica e,in seguito ad un profondo ripensamento, della neo-ortodossia. Figlio
del ministro riformato e studioso del Nuovo Testamento Fritz
Barth,
fu allevato a Berna, dove il padre insegnava; dal 1904 al 1909 come era
tradizione, studiò teologia in diverse università svizzere e tedesche,
all'Università di Berlino ebbe modo di seguire le lezioni di A.
Harnack,
studioso liberale di storia della Chiesa.Costui riteneva che il Vangelo
predicato da Gesù avesse a che fare solo con il praticare la volontà del Padre
e non con una supposta divinità del Figlio o di un onore a lui dovuto; tali
considerazioni mettevano capo a tre conclusioni:1) Il Vangelo tratta di Dio e
della sua azione, 2) Dio è Padre e l'anima umana ha un valore infinito, 3) Dio
è giustizia e comanda di amare. L'unicità della persona del Cristo è, quindi,
fondata sul fatto di essere un'incarnazione di tali tre postulati. Dopo
Berlino, Barth studiò a Berna , Tubinga e Marburgo, ove ebbe modo di seguire le
lezioni di Wilhelm Herrmann. Questi si muoveva nella tradizione teologica di F.D.E.
Schleiermacher (1768-1834) e A.B. Ritschl (1822-1889) i quali
rigettavano la possibilità di una Parola di Dio scritta, ed erano convinti
della impossibilità di costruire la teologia sulla base di argomenti filosofici
astratti. Il denominatore comune dell'esperienza religiosa, in genere, veniva
individuato da Schleiermacher in un "senso di assoluta dipendenza" da
Dio e il peccato era allora inteso come il sottrarsi a tale dipendenza. Ritschl
dava una vernice di eticità a tale dottrina, affermando che il cuore del
messaggio di Cristo aveva a che fare con l'avvento del Regno di Dio, messaggio
che il Cristo avrebbe perfettamente esemplato con la propria vita. Tutti questi
teologi erano convinti che la Bibbia non avesse nulla da dire a proposito della
storicità della persona del Cristo, e che il valore dei documenti biblici
avesse piuttosto a che fare con il produrre esperienze soggettive a proposito
del sacro. La formazione teologica di
Barth era dunque decisamente liberale e ne fa fede la sua attiva partecipazione
alla rivista Christliche Welt come assistente dell'editore. Nel 1911 viene
nominato pastore di una parrocchia a Safenwil un piccolo villaggio
industriale posto sul lato tedesco della Svizzera. Qui è costretto a
confrontarsi con l'astrattezza della propria predicazione e l'inefficacia della
risposte della teologia liberale per la cura delle anime. Inoltre nel 1914,
allo scoppio del 1° conflitto mondiale, scopre con raccapriccio che i teologi
liberali che aveva ammirati durante il periodo universitario si erano tutti
schierati con la politica aggressiva del Kaiser. Con la collaborazione del suo
amico E. Thurneysen, comincia allora un profondo ripensamento dei
presupposti del proprio pensiero teologico e un confronto serrato con le Sacre
Scritture, in maniera particolare con l'epistola di Paolo ai Romani; a ciò
affianca la lettura dello scrittore russo F. Dostoievskj e del filosofo
cristiano danese S. Kierkegaard. Il risultato di questa riflessione è il Der
Romerbrief (conosciuto in Italia come: Commentario all'Epistola ai Romani) che
vede la luce nel 1919 e che verrà completamente riscritto nel 1921. Dio veniva
definito il " Totalmente Altro", non essendo soggetto
alle categorie kantiane concettuali di spazio e tempo. Dio è aldilà delle
possibilità di comprensione umane; tra Creatore e creature vi è dunque un
abisso, una infinita differenza qualitativa, tale abisso è certamente
attraversato dal Cristo, ma non è eliminato. Esiste, dunque, una costante
dialettica tra infinito e finito posta a fondamento delle verità cristiane.
Questo, in breve, il contenuto della teologia dialettica o teologia della
crisi. Tale pubblicazione diede immediatamente notorietà internazionale a Barth
tanto che il teologo fu chiamato nel 1921 ad insegnare teologia all'Università
di Gottinga. Qui,costretto a confrontarsi con la necessità di presentare in
modo sistematico il contenuto delle dottrine bibliche, è costretto ad un
ripensamento e ad un abbandono delle conclusioni della teologia dialettica; il
risultato di questa ulteriore sforzo sarà chiamato neo-ortodossia. Nel 1934 è
espulso dall'insegnamento all'Università di Bonn, per la sue critiche ai "cristiani
tedeschi" alleati del nazionalsocialismo e per essere stato tra i promotori
della cosidetta Dichiarazione di Barmen, che in sei articoli
definiva l'opposizione cristiana al nazismo.
Trascorre l'esilio in Svizzera, dove prosegue il suo impegno letterario e
assume la docenza a Basilea che terrà fino all'età di 70 anni. Barth ha
lasciato più di 600 scritti, tra i quali La parola di Dio e la parola dell'uomo
(1924), La teologia e la Chiesa (1928) e l'opera monumentale incompiuta
Dogmatica Ecclesiale (10 voll., 1932-1968).
La Parola di Dio.
Secondo Barth, vi sono essenzialmente tre modi di
intedere l'espressione, la Parola di Dio: 1) Parola di Dio è Cristo incarnatosi
per salvare l'uomo, egli è la rivelazione di Dio, 2) Parola di Dio è il
contenuto delle Sacre Scritture: esse, pur non essendo la rivelazione stessa,
essendo fallibili nella loro essenza, pur tuttavia sono la testimonianza
scritta della rivelazione, 3) Parola di Dio è qualsiasi discorso che faccia
riferimento a Cristo e a quanto contenuto nelle Sacre Scritture: in
quest'ultimo senso può, dunque, parlarsi di una rivelazione di Cristo nel
tessuto vivente delle relazioni interpersonali. L'affermazione 1) pone enfasi
alla centralità del Cristo, non solo per quanto concerne l'economia della
salvezza, ma anche nel progetto divino di manifestazione di ciò che Dio è in sè
stesso.Nel Cristo è manifestato il carattere e la volontà di Dio.
L'affermazione 3) pone enfasi sulla concreta testimonianza della chiesa dei
credenti, la quale è tenuta costantemente a porsi in ascolto della Parola del
Signore per tradurla nel linguaggio del mondo contemporaneo. L'affermazione 2)
è certamente sconcertante: essa in buona sostanza non riconosce le Sacre
Scritture come infallibili, cioè un'oggettiva testimonianza di quanto detto o
fatto dai protagonisti dalla storia sacra, ma soltanto come una fallibile
testimonianza umana della rivelazione del Cristo, passibile di diventare mezzo
di rivelazione e dunque di incontro con Dio, solo per il tramite di uno
speciale intervento divino. Nell'esperienza personale del credente che legge le
Scritture, è possibile il "miracolo" dell'incontro con la
"rivelazione" di Dio come e quando Dio decide che ciò avvenga. Barth
non rifiuta le conclusioni liberali giudicanti le Sacre Scritture un documento
come altri, viziate da inesattezze e incongruenze, ma aggiunge la
considerazione che, per potere essere pienamente umane, esse debbono
"necessariamente" presentarsi viziate da errori.Egli è comunque
convinto che le Scritture debbano essere fatte oggetto del più alto rispetto,
spingendosi sino al punto da affermare sulla scia di Clemente di Alessandria e
Gregorio di Nazianzeno, che l'ispirazione deve essere estesa alla fraseologia e
alla grammatica degli scrittori biblici. Barth interpreta i brani di 2Timoteo 3:16 e 2Pietro 1:20 , dove la
dottrina dell'ispirazione è intesa come guida e controllo da parte di Dio nei
confronti degli autori dei documenti biblici, nel senso dell'intero processo
dinamico della rivelazione che è in grado di abbracciare, in virtù dell'opera
dello Spirito, tanto lo scrittore quanto il lettore. Secondo tale prospettiva
gli scritti biblici, anche se fallibili, sono l'unico modo offerto agli uomini
per esporsi alla possibilità di essere "illuminati" da Dio. Tale
dottrina, nelle intenzioni di Barth, desidera conservare nella più completa
integrità il mezzo che Dio usa per rivelarsi: nella Parola è lo stesso Dio che
parla e lo studioso può indagarne il significato, ma le sue conclusioni non
potranno mai sostituirsi al testo indagato, nè permettergli di affermare di
avere in qualche modo "esaurito" il significato del testo. La Parola
di Dio, per essere efficacemente compresa ha bisogno di umiltà ed obbedienza, e
pertanto, il credente necessita dell'assidua e "dinamica" assistenza
dello Spirito di Dio. Ma colui che legge barthianamente il testo sacro non può
sottrarsi il dilemma di stabilire cosa sia vero e cosa falso nei testi che scorre
e l'unica possibilità di uscire da questo dilemma, -che è, poi, la stessa che
Barth adotta- è quella di ignorare il problema comportandosi come se la
Scrittura fosse inerrante!
La dottrina dell'analogia fidei.
Barth è convinto che tra Dio e creatura esiste un abisso,
sia conoscitivo che linguistico. La conoscenza umana non è in grado di per sè
di esprimere quanto vi è di peculiare nel rapporto tra Dio e creatura,
piuttosto essa tende a porre la loro unione su un piano di generalità,
nascondendone la peculiarità. Sono questi i limiti del tentativo tipicamente
cattolico di gettare un ponte tra Dio e creatura, ossia di comprendere la
persona e l'opera di Dio per analogia con i concetti umani (analogia
entis).
così come assunto dal teologo Tommaso d'Aquino, il quale riteneva di poter
dedurre l'esistenza di Dio dalla riflessione sul mondo sensibile. Tutto ciò,
per Barth, è un'impresa inutile,in quanto solo l'incontro personale con Dio
determina vera conoscenza. L'analogia fidei, si contrappone all'analogia entis:
solo la prima costituisce una possibilità della fede: tale possibilità non è
fondata su una capacità a-priori dell'uomo di cogliere l'essere di Dio, in
virtù della quale questi sarebbe in un certo modo preparato alla rivelazione
divina, ma è conferita dalla stessa Parola divina. Ogni conoscenza di Dio
procede da Dio stesso e trova l'uomo in un atteggiamento di adorazione e di
preghiera. Nella fede si verifica una vera conoscenza, (analogia) in quanto Dio
inserisce la ragione conoscente umana all'interno della propria azione di
rivelazione. L'autorivelazione di Dio, nell'analogia della fede, ha sempre come
punto focale la persona e l'opera del Cristo, cioè la stessa Parola di Dio.
Tale conoscenza nella fede non è, però, una conoscenza "assoluta" di
Dio, non ci mostra come Dio è in sè stesso.
L'umanità di Dio.
Barth è fortemente convinto che la dottrina di Dio
implichi l'unione nel Cristo tra divinità e l'intera umanità. Tale discorso
ridefinisce l'intera dottrina della Trinità: Cristo non ha portato l'umanità
nella Trinità, ma l'umano è presente nella Trinità, sin da tutta l'eternità. Il
Logos è stato sempre "ensarkos", sempre incarnato, mai "asarkos", disincarnato. Gesù
diventa dunque il "prototipo" dell'umanità e la dottrina dell'uomo
finisce con il diventare un aspetto della cristologia. Anche questo punto non sembra avere molta
verosimiglianza biblica, anche se rimane indubbiamente interessante.
L'elezione.
E' centrale nel pensiero di Barth, sin dal suo
Commentario all'Epistola ai Romani, la convinzione che Dio operi nei confronti
dell'uomo nella, e per il tramite, della persona del Cristo. In Cristo Dio fa
patto con l'umanità intera, in virtù del fatto che Cristo, diventando uomo,
deve necessariamente condividere la natura umana di ogni singolo uomo. Se un
solo uomo restasse fuori dall'umanità che Cristo assume incarnandosi, ciò
renderebbe la sua opera parziale. In Cristo, in virtù del patto stipulato sul
fondamento della propria incarnazione, sono dunque eletti credenti e non
credenti. Non esiste, pertanto, alcun decreto misterioso, come in Calvino, in
virtù del quale alcuni sono eletti e altri riprovati, ma secondo il pensiero di
Barth, Cristo è l'eletto e contemporaneamente il riprovato (giudicato peccatore da
Dio), affinchè nessun uomo possa più essere riprovato. La doppia
predestinazione calvinista si attua nella esclusiva persona del Cristo. Tale
dottrina oltre a non avere molto fondamento biblico, specula impropriamente su
brani come Colossesi 1:19 e 2:9, e dona un significato improprio ai termini
"elezione" e "predestinazione" e "giudizio".
Nella Scrittura si ha a che fare anche con un giudizio differente da quello che
si è attuato nella persona del Cristo; esso è il giudizio di tutti quelli che
non accettano la persona del Cristo e implica una dannazione eterna che
certamente non è il vivere rifiutando il fatto di essere già salvi. Cristo è certamente giudice di tutti, ma Egli
perdona, non giudicandoli, solo coloro che si piegano alla Sua volontà! La
morte di Cristo non dona "automaticamente" giustificazione a tutta
l'umanità. Il fraintendimento barthiano fa capo ad una sorta di universalismo,
secondo il quale il "si" di Dio alla salvezza dell'umanità intera
supera, di gran lunga, il no degli increduli all'attuazione del suo progetto
salvifico. Secondo Barth, l'ira di Dio è stata messa totalmente da parte dal
Cristo con la sua morte sulla croce. Di conseguenza nessun uomo più
sperimenterà la dannazione. Tale dottrina non appare certamente biblica nelle
sue linee fondamentali; Cristo espia sulla croce il peccato di coloro che
piegheranno i propri cuori a lui e non vi è nella Scrittura una salvezza che
prescinda dall'accettazione dell'opera e della persona del Cristo.
Creazione e riconciliazione.
Barth ritiene che l'azione di Dio manifestatasi con la
creazione sia già parte del progetto di salvezza dell'uomo; ciò è spiegato in
questi termini: la Creazione (Gen.1) è il fondamento esteriore del Patto,
mentre il Patto (Gen.2) è il fondamento interno della Creazione. In tal modo la
Creazione anticipa il carattere e l'azione di Dio, che diverranno pienamente
riconoscibili nelle modalità del Patto di grazia. In tal modo, la creazione del
firmamento (Gen. 1:6), non indica solo una separazione delle acque, ma è anche
una barriera contro il caos; la separazione della luce dalle tenebre, della
terra dal mare, del giorno dalla notte riflettono la separazione esistente, in
Dio, tra la sua grazia e la sua ira. Allo stesso modo la creazione dell'uomo e
della donna riflettono, la molteplicità di relazione esistente all'interno della
Trinità, e la sessualità umana rimanda, come suo prototipo, primariamente alla
relazione tra Cristo e la Chiesa e, in secondo luogo, a quella tra Yahwè ed
Israele. Adamo diventa il simbolo dell'umanità intera assunta dal Cristo. In
quest'ottica, l'incarnazione del Cristo, non è una contro-misura assunta da Dio
per far fronte al peccato dell'uomo, ma, lo scopo di Dio sin da tutta
l'eternità diventa quello di prendere l'uomo come suo partner sulla base
dell'incarnazione. Tale interpretazione analogica e simbolica del racconto
della creazione fa dire a Barth che essa è una saga, cioè un racconto che ha
alcune verosimiglianze storiche, ma che perlopiù ci testimonia sotto forma di
immagini dell'azione di Dio in relazione al Cristo. Ad esempio, Barth non crede
nella storicità di Adamo, non diversamente da R. Bulthmann (il padre della
teologia della demitologizzazione) che non esitava a definire tali racconti dei
miti! Di conseguenza non esisterebbero come affermavano i Riformatori, un
"patto di lavoro" stipulato con Adamo come capo di tutta l'umanità e
contemplante i suoi doveri nei confronti del Creatore, e un "patto di
grazia" stipulato con i credenti sulla base del sacrificio del Cristo.
Infatti non essendo Adamo una persona storica, nessun "patto di
lavoro" poteva essere stipulato con lui. All'interno di questa ottica il
peccato e il male si configurano come assurdità e nientità, possedenti una
quasi-esistenza concepibile solo come il negativo della creazione (caos).
L'uomo che vive nel peccato, vive una situazione-impossibile, in quanto non
riconosce di essere circondato dalla grazia ed eletto in Cristo. Su tale
terreno Barth costruisce la sua etica, la quale sembra trattare il peccato come
una semplice mancanza di consapevolezza dell'uomo di essere già salvato. Sempre
sulla stessa linea, si situa la meditazione barthiana sul rapporto tra Legge ed
Evangelo. Mentre il pensiero riformato intendeva fondamentalmente la Legge come
preparazione all'Evangelo, che dona conoscenza del peccato, e
secondariamente come sprone per il credente a perseverare con la
santificazione nella volontà di Dio, Barth ritiene al contrario che non
essendovi differenza sostanziale tra credenti ed increduli, la Legge sia non
solo da identificarsi a livello di contenuti con l'Evangelo, ma anche che il
suo scopo sia di aiutare l'uomo a comprendere di essere già in Cristo. L'errore
barthiano consiste non nel ritenere che la Legge sia stata adempiuta dal
Cristo- questo e in linea con l'insegnamento del NT -(Mt. 5:17; Rom. 15:8; Gal.
3:13), ma nell'affermare che Cristo l'ha adempiuta per tutti gli uomini tanto
da richiedere solo una sorta di assenso da parte di costoro.
(autore:
Domenico Iannone)