Van Til parte dal presupposto che quanto la Bibbia
afferma a proposito dell’uomo e dell’universo sia inquestionabilmente vero. La
Bibbia afferma l’esistenza di Dio e domanda all’uomo di credere che Costui
controlla tutto l’universo. Questa non è una pretesa fideistica, poiché ogni
cosa nell’universo testimonia che Dio è al controllo e che nulla esorbita dal
Suo progetto. Per tale motivo è necessario affermare che l’esistenza di Dio e
il Suo governo sono oggettivamente manifestati dall’opera delle Sue mani, tanto
che qualunque uomo può percepire ciò e impossibilitato a recedere rispetto a
tale evidenza.
Tutto ciò ci permette di affermare che Dio è
presente attorno all’uomo e nell’uomo stesso. Nella misura in cui
l’uomo è auto-cosciente egli è anche nel contempo cosciente di Dio. L’uomo
conosce come verità più profonda in sè medesimo quella di essere una creatura
di Dio. Qualsiasi analisi induttiva sulla natura non può non condurre l’uomo al
cospetto di Dio. Tutto ciò che è contenuto nell’universo è rivelazionale di Dio
e del proprio progetto, e ciò nonostante gli effetti del peccato. Però gli
uomini a causa della solidarietà con il peccato del primo uomo Adamo, soffocano
questa conoscenza fondamentale rivelata in loro e attorno a loro.
Neppure originariamente,
prima della caduta, l’uomo poteva avere riconoscere Dio attraverso la creazione
in modo “autonomo” da Dio. Dio in modo direttamente rivelativo supplementava
tale conoscenza “naturale” di sè medesimo, con ulteriore conoscenza
sovrannaturale, avendo Egli comunione “faccia a faccia” con Adamo. Tale
rivelazione “naturale” va intesa come incorporata nel concetto di patto
stipulato da Dio con Adamo. A causa di tale patto ogni aspetto della realtà era
ed è esaustivamente contenuto nella relazione tra Dio e l’uomo. In Eden
rivelazione naturale e sovrannaturale erano strettamente coese. La rivelazione
in e circa l’uomo non era intesa a funzionare in modo autonomo, ossia
indipendentemente dall’autorità di Dio.
Dopo la caduta, il
carattere della rivelazione non è mutata; la perspicuità della rivelazione di
Dio attraverso il creato dipende, per quanto concerne il significato, dal fatto
che essa è un aspetto della totale e totalmente volontaria manifestazione del
Dio auto-sufficiente.
E’ il medesimo Dio che
parla attraverso la natura e nella Bibbia; nella Bibbia è rivelata la grazia di
Dio a coloro che hanno infranto il patto, e anche il messaggio della Bibbia ha
nelle coscienze degli uomini la medesima evidenza che possiede la rivelazione
naturale. Per tale motivo l’uomo non ha scusa alcuna per il fatto di non
accettare la rivelazione di Dio in natura o nella Bibbia. Dio è sempre chiaro.
L’approccio apologetico
di Van Til ha molti meriti rispetto a quello tradizionale:
(a) Comincia il dialogo
con il non credente sul fondamento del contenuto della Bibbia, non si tenta di
mostrare che tale contenuto è almeno “probabile” ma lo si afferma a-priori come
indubitabilmente vero. Si testimonia con ciò che la Bibbia è autorità assoluta
e fonte di interpretazione per la totalità dell’esistenza. Anche il
cattolicesimo romano sembra appellarsi alla Bibbia, ma in pratica la rende
vuota di autorità poiché per interpretarla invoca il magistero della chiesa e
dunque la sottomette alle opinioni umane. L’arminianismo si muove nella
medesima direzione del cattolicesimo quando rigetta alcune dottrine scritturali
(elezione, predestinazione) perchè non le può logicamente armonizzare con la
generale offerta della salvezza e con il libero arbitrio, conclude pertanto
ponendo brani della Bibbia contro altri brani della Bibbia e poi invocando una
misteriosa e illogica azione di Dio che possa operare una riconciliazione delle
contraddizioni.
(b) Afferma la oggettiva
chiarezza della rivelazione di Dio, sotto qualunque forma. Tommaso d’Aquino è
convinto di avere fatto giustizia alla rivelazione di Dio se conclude che Dio
probabilmente esiste. L’esistenza del Dio della Bibbia è l’unica posizione
ragionevole che l’uomo possa sostenere, essa non è solamente ragionevole come
altre credenze o un poco più ragionevole che altre posizioni; essa è la sola
naturale e ragionevole posizione che si possa sostenere. Solo su tale
fondamento è possibile presentare le prove per dimostrare l’esistenza di Dio,
formulandole fuori dal contesto probabilistico e connettendole esplicitamente
alla Bibbia.
(c) Il punto di contatto
con i non credenti per la presentazione del vangelo, sulla scia del pensiero di
Calvino, è rinvenuto nel fatto che gli uomini sono tutti creati ad immagine di
Dio e pertanto posseggono un ineradicabile “senso della deità”. La coscienza di
ogni uomo testimonia in modo chiaro e diretto di Dio. Tale testimonianza è
possibile poiché l’uomo conoscendo Dio conosce se stesso e viceversa, la
coscienza dell’uomo è senza contenuto se prescinde da Dio. E’ questo il motivo
per cui non esistono in realtà atei. L’attività interpretative dell’uomo,
estesa o meno, intutitiva o raziocinante, è il mezzo più potente che lo Spirito
di Dio utilizza per testimoniare della onni-pervasiva presenza di Dio. Anche il
l’uomo più eticamente discutibile, possiede una coscienza che testimonia della
propria disubbidienza al proprio Creatore. Nessuno può sfuggire allo sguardo di
Dio. Ogni uomo con una capacità normale di ragionamento, può comprendere il
contenuto della rivelazione cristiana. Afferma Murray che l’uomo naturale
possiede: "una comprensione della verità del vangelo che è precedente
alla fede e al pentimento.” Tutto
ciò è però reso possibile solo dal rifiuto dell’idea che l’auto-coscienza dell’uomo
possa esistere senza riferimento alla coscienza di Dio. Detto altrimenti, la
posizione cristiana è l’unica che prenda sul serio il concetto di “universo”
nel senso di “ciò che possiede un senso”, ciò è possibile perché questo è
creato e condotto nella direzione che gli è propria da un Dio autosufficiente.
Tommaso d’Aquino e gli arminiani credono che i fatti dell’universo e l’uomo con
essi siano contingenti ossia autonomi nella propria essenza e pertanto
comprensibili a prescindere dalla coscienza di Dio. Entrambi gli schieramenti
presuppongono che i non credenti nell’area delle cose “naturali” abbiano una
posizione “neutrale” passibile di essere analizzata senza riferimento a Dio.
(d) Van Til non separa
metodo induttivo da quello deduttivo. Il processo di interpretazione implica un
concorso di vari tipi di ragionamento. Tutti queste procedure vanno però
organizzate sul presupposto a-prioristico della necessità della posizione
teistica del cristianesimo. Van Til segue Calvino nella convinzione che il
creato offra chiara evidenza di Dio, mentre l’uomo ribelle a Dio è impegnato a
costruire false interpretazioni della rivelazione di Dio; è questa la dottrina
della totale depravazione, tutti gli uomini vengono al mondo in qualità di
trasgressori del patto, essi non desiderano onorare Dio e la conoscenza di se
che Egli offre. Tutti gli uomini posseggono conoscenza in se medesimi di Dio.
Essi incontrano la faccia di un giudice adirato ovunque posino lo sguardo, per
sfuggire a tale minaccia, essi sopprimono la faccia di Dio ovunque. Per tale
motivo essi negano che i fatti della natura abbiano un senso e un controllo
sovrannaturale, e si proclamano autonomi e non creati. Anche se professano di
servire Dio, essi in realtà servono la creatura e non il Creatore. Per essi Dio
e uomo divengono aspetti del medesimo universo, poiché tutto è interpretato in
modo immanentistico. Ma tutte le spiegazioni dell’universo che lasciano fuori
il Dio cristiano finiscono con l’apparire futili. Solo presupponendo il Dio uno
e trino vi è possibilità di affermazioni intelligenti sulla natura. Anche
l’ateo se vuole fare affermazioni consistenti deve assumere principi cristiani.
Van Til afferma che i
non credenti non sono consistenti con la propria ribellione nei confronti di
Dio e dunque con il proprio desiderio di essere autonomi, pertanto possono
impegnarsi nella ricerca scientifica e scoprire molte verità a proposito
dell’universo creato. Epistemologicamente credenti e non credenti hanno nulla
in comune, ossia i paradigmi scientifici che giustificano le loro scoperte
divergono profondamente. Ma psicologicamente essi sono accomunati dalla
medesima rivelazione di Dio attraverso il creato. E’ come se l’uomo peccatore
guardasse il creato di Dio attraverso occhiali colorati cementati sulla propria
faccia. Essi partono dal presupposto interpretativo che la coscienza dei fatti
o delle leggi siano intelligibili senza coscienza di Dio. Tutto ciò sapendo nel
contempo che Dio esiste, ma come trasgressori del patto tentano di sopprimere
tale verità. Un banale fatto dell’esperienza quotidiana ci illumina in merito a
ciò, quando appare su qualche giornale una qualche statistica a proposito di se
le persone credono o meno, i risultati confermano sempre che la maggior parte
della popolazione intervistata crede a Dio, mentre solo una piccola percentuale
crede al Dio della Bibbia quale creatore e giudice. Ogni uomo possiede il
“senso della deità” e dunque conosce Dio come proprio creatore e giudice, ma
nel contempo appare anche che ogni peccatore tenta di sopprimere questa verità.
Essi sono senza Dio nel mondo e come Charles Hodge afferma essi debbono essere
rinnovati in conoscenza (Col. 3: l0) così come in giustizia e santità (Ef.
4:24). Nè Tommaso d’Aquino nè gli arminiani pongono questa fondamentale distinzione
tra credenti e non credenti; essi non pongono la distinzione tra creatore e
creatura a presupposto del proprio pensiero. Dio ha fatto l’uomo in modo che
questi possa anche iniziare qualcosa che è fuori dal consiglio di Dio. L’essere
umano può pensare di se medesimo, dei fatti che lo circondano, delle leggi del
mondo come manipolabili a piacere e dunque comprensibili a prescindere dalla
loro relazione a Dio. Se cattolici ed arminiani fossero nel giusto con la
propria visione dell’auto-coscienza dell’uomo, la disciplina apologetica non
avrebbe possibilità di esistere, poiché non vi sarebbe più un piano di Dio che
controlla ogni cosa. Costoro non possono sfidare l’uomo peccatore e il punto di
contatto che cercano non è fondato biblicamente ma piuttosto su una assunzione
peccaminosa: l’autonomia dell’uomo. Essi porranno sempre in contrasto i brani
di Paolo in cui è affermato che ogni uomo conosce Dio, con quelli altrettanto
importanti in cui è affermato che nessun uomo naturale conosce Dio. Tommaso d’Aquino
e gli arminiani ritengono che l’uomo naturale abbia alcune corrette nozioni a
proposito di Dio. Ora non si contesta che vi siano persone che dicono “Io credo
in Dio”, piuttosto si questiona il
contenuto del termine “Dio”. L’apologetica tradizionale assume che l’uomo ha
una certa misura di corretto pensiero quando usa il termine “Dio”. Van Til
afferma che quando il non credente usa il termine Dio associa ad esso sempre un
Dio finito, ciò perché è all’opera attivamente una tendenza ribelle che lo porta
a sopprimere la conoscenza del vero Dio. Il Dio dell’uomo naturale è sempre
avviluppato in una Realtà che è più grande di Dio stesso e dell’uomo. La Realtà
è inclusiva di tutto ciò che esiste. Talete dirà che Tutto è acqua, Anassimene
che Tutto è aria, altri filosofi abbineranno il Tutto a qualche pluralità o
dualità o concezione atomista o pragmatista. Ma dal punto di vista cristiano,
sarà sempre all’opera un presupposto Monista che fonde in un tutt’uno
l’universo e Dio. Compito dell’apologista cristiano è proprio affermare che
l’area comune a credenti e non credenti è tale da non essere senza
qualificazioni. Interpretare un fatto come dipendente da Dio non è la medesima
cosa che interpretare il medesimo fatto come indipendente da Dio. L’apologetica
tradizionale (anche di marca calvinista) è fondamentalmente induttivista, essa
cerca di “provare” a partire da fatti concreti e probabili, la verità del
cristianesimo, a tal fine essa studia l’archeologia, la storia e quant’altro.
L’apologeta tradizionale mostra ai non credenti tutte le prove possibili per
credere nel teismo cristiano e quindi in dottrine quali la nascita virginale
del Cristo e la Sua risurrezione. Possiamo anche considerare i destinatari di
tale industrioso lavoro come peccatori corretti ed educati. Essi ricevono dal
credente tali prove e le porranno in un pozzo senza fondo di “pura
possibilità”. Il non credente considererà il miracoloso solo come una stranezza
della Realtà, confessando di essere più interessato alle cose che succedono con
regolarità. Forse nell’ipotesi migliore, il non credente proverà a spiegare il
miracoloso con un ricorso alle leggi della probabilità. A queste conclusioni
egli giunge perché non è sfidato a ragionare con la presupposizione della
creazione e della provvidenza, pertanto non nota inconsistenze quando si
confronta con la nascita o risurrezione di Cristo. Se l’apologeta non presenta
i fatti per quello che essi in realtà sono, egli non li presenta affatto.
Ciascun fatto dell’universo è quello che è in virtù del proprio posto nel piano
di Dio, anche se l’uomo non può conoscere comprensivamente quel piano.
L’apologeta cristiano non dovrebbe cercare di essere induttivista in modo puro,
ma dovrebbe presentare i fatti insieme alla propria filosofia dei fatti. Di
solito l’apologeta tradizionale non è mai un puro induzionista, nè un puro
a-priorista, ma entrambe le cose. Quando impegnato a presentare argomenti
induttivi a proposito dei fatti, egli cercare di affermare attraverso essi
l’esistenza di Dio. Di solito lo schema logico delle sue argomentazioni è il
seguente: se A è vero, allora vi è un assoluto che ne è la causa e questo
assoluto “deve essere”. Egli non ammetterà che l’idea di “deve essere” dei non
credenti, in merito alla relazione dei fatti alla logica, sia diversa dalla
propria. Egli non ammetterà che solo su un fondamento teistico cristiano vi è
possibilità di connettere la logica ai fatti. Quando i non credenti rifiutando
il presupposto della creazione e della provvidenza, parlano di “dovere essere”
in relazione ai fatti, essi battono l’aria. Il credente deve essere consistente
con il proprio metodo immanentistico, ed è proprio tale presupposto che
l’apologeta tradizionale non sfida.
L’apologeta
autenticamente consistente con il teismo cristiano deve presentare i fatti sul
fondamento di quanto la Bibbia afferma a loro proposito. Egli sa che ciascun
uomo ha in se medesimo un “senso della deità” ben sepolto sotto la superficie
di qualsiasi convinzione. Pertanto si dona modo a tale sensum di emergere a
fronte della ribellione che lo soffoca. L’apologeta deve mostrare come tutte le
assunzioni su tutte le cose dell’universo siano senza significato se non sono
connesse a Dio. Le scienze sarebbero impossibile e così anche la conoscenza se
i presupposti del non credente fossero veri;
se le verità cristiane fossero false nessun fatto si distinguerebbe da
un altro fatto.
Ogni fatto creato, non
solo alcuni, provano la verità del cristianesimo, non in modo probabilistico.
Se il teismo cristiano non fosse vero, nulla risulterebbe vero. I riformati
olandesi Kuyper e Bavinck sono sulla stessa linea, anche se non sempre
risultano consistenti con le proprie assunzioni. Kuyper nella sua Encyclopedie
ha evidenziato la differenza tra l’approccio al mondo da parte del credente
e del non credente. Bavinck nella propria
monumentale opera, mette a punto una
“teologia naturale” orientata alla Bibbia e in netta opposizione alla ragione
neutrale del cattolicesimo. Bavinck insegnava che le prove tradizionali per
l’esistenza di Dio se attentamente analizzate provano soltanto un Dio finito.
Van Til non nega allora che vi sia un terreno di conoscenza comune tra credenti
e non credenti, nella linea di Romani 1 e 2 e della Istituzione di Calvino.
Tutti gli uomini, anche i più malvagi e atei, posseggono conoscenza di Dio,
solo che gli uomini peccatori non interpretano propriamente tale rivelazione.
La rivelazione naturale non deve essere confusa ed identificata con la teologia
naturale. Paolo non compie tale identificazione, ma afferma che l’uomo
naturale offre una falsa interpretazione della rivelazione in lui e attorno a
lui. Costui “soffoca” la verità (Rom. 1:18). Comprendiamo allora che è solo
sulla base di un’errata comprensione della rivelazione biblica che Tommaso
d’Aquino, il cattolicesimo, gli arminiani, Butler, identificano proprio
rivelazione naturale con teologia naturale.
La teologia naturale di
Tommaso è esemplarmente espressa nelle sue prove, costruite sulla metodologia
di Aristotele che non assumeva che l’uomo fosse creato ad immagine di Dio, che
i fatti dell’universo che l’uomo interpreta, non sono creati da Dio, che le
leggi della logica non sono impresse nella mente dell’uomo dal proprio
creatore. Quando tale metodologia è applicata alle prove di Tommaso, essa
conclude all’esistenza di un “dio”, cioè un dio che non crea il mondo, che non
conosce il mondo e che non conosce neppure se medesimo poichè egli non è un
“lui” ma un “esso”, cioè un astratto principio onni-pervasivo di razionalità.
Tommaso stesso ammette questo.[1]
Questo Dio non è il
creatore dell’uomo, il Dio contro il quale l’uomo ha peccato, ma un principio
astratto che non può volere nè pensare all’uomo e pertanto non può avere un
Figlio da mandare nel mondo per salvare gli uomini peccatori. Questo dio
aristotelico può solo metaforicamente “salvare” gli uomini che partecipano alla
sua razionalità, in realtà gli uomini non hanno bisogno di salvezza poiché già
partecipano di tale razionalità. Tommaso e gli arminiani costruiscono la
propria teologia su di una filosofia pagana che implica le idee: 1)
dell’autonomia dell’uomo, 2) un principio di individuazione dei fatti puramente
contingente, 3) un formale, impersonale, onni-assorbente principio di
continuità.
Secondo costoro l’uomo è
in una certa misura libero e ontologicamente indipendente da Dio, I fatti del
mondo non hanno un senso (sono cioè contingenti) e non sono rivelatori del
proprio Creatore, di conseguenza è il pensiero e l’attività dell’uomo che
cercano di porre non solo ordine nel caos dell’universo, ma anche di stabilire
se Dio esiste o meno.