AGOSTINO D'IPPONA, UNA BIOGRAFIA


Agostino d'Ippona (Tagaste, Numidia 13 novembre 354 - Ippona 430), filosofo e teologo, considerato tanto dal mondo cattolico quanto da quello protestante uno dei più significativi dottori della Chiesa. Figlio di padre pagano e di madre cristiana, di famiglia umile, Agostino studiò retorica con eccellenti risultati, disciplina che insegnò prima a Tagaste e in seguito a Cartagine, dove visse insieme a una donna da cui ebbe un figlio Adeodato ("dono di Dio"). Chiesa Evangelica:agostinoIl retore, già all'epoca di Agostino, aveva perduto il suo antico ruolo politico e civile ed era diventato un semplice insegnante. All'età di diciannove anni, in seguito alla lettura dell'Ortensio di Cicerone, Agostino riconobbe in sé la vocazione alla filosofia; il testo ciceronino non conteneva tesi particolarmente originali; vi si diceva, tra l'altro, che la ricerca della verità era il fine più alto al quale l'uomo potesse dedicarsi. La filosofia era, cioè, intesa come saggezza e arte del vivere, che dona la felicità. Nelle Confessioni, Agostino affermerà di essere stato frenato nel suo entusiasmo dal fatto di non aver trovato in questo scritto il nome di Cristo, la cui dottrina gli era stata presentata da sua madre Monica.  Dopo breve tempo, Agostino aderì al manicheismo (373), una dottrina dualista di origine persiana seguita al parziale tramonto dello Gnosticismo, diffusa soprattutto nell'impero romano d'Occidente. Tale movimento a carattere religioso e filosofico fondato nel III° sec. da un certo Mani, proponeva: una salvezza di tipo razionale ventilando la possibilità di essere liberati dall'errore e dall'ignoranza mediante la sola ragione.Ne risultava una concezione piuttosto materialistica di Dio, impensabile come pura spiritualità, e inoltre, mutevole a causa della presenza nel suo seno del principio antagonista del male.Tutto ciò era necessitato da un radicale e irriducibile dualismo nella concezione del bene e del male, intesi come principi morali, ontologici e cosmici. La dottrina manichea faceva largo uso di narrazioni fantastiche, dilungandosi alquanto sui modi tramite cui il bene si libera dal male.Tale opera era promossa in particolare da una classe di uomini, gli "eletti", che "purgavano" il bene nei propri stessi corpi mangiando cibi che contenevano "luce" e scartando con la digestione tutto ciò che era "tenebre", essi inoltre si astenevano dal sesso e dai lavori manuali considerate attività "tenebrose".
Accanto a questi vi erano poi gli "uditori" (Agostino fece parte di questo gruppo) che vivevano una vita meno "perfetta" il loro compito consisteva principalmente nel procurare ciò che poteva essere utile alla sussistenza degli "eletti". Tutti costoro ritenevano Cristo essere morto solo "apparentemente" essendo la sua carne una mera "apparenza" (ciò li rendeva affini ai docetisti).Inoltre ritenevano l'Antico Testamento essere stato ispirato da una deità malvagia (non diversamente dall'eretico
Marcione). Il razionalismo di questa dottrina consisteva in buona sostanza, nell'eliminazione di una categoria come la fede piuttosto che nella spiegazione di tutta la realtà. Utilizzando solo la ragione, essi si spingevano sino alla negazione deterministica del libero arbitrio, per cui nessuno è responsabile, in quanto nell'uomo è presente il bene o il male che ne determinano la volontà e gli impediscono l'appropriazione personale dell'atto. A complicare ulteriormente il discorso entravano le credenze astrologiche e l'influsso determinante degli astri sulle azioni e i caratteri degli uomini. Appare paradossale cha Agostino dopo aver rifiutato le Sacre Scritture cristiane perchè ai suoi occhi esse apparivano troppo ingenue e grossolane finisse poi con l'approdare alle fantasticherie mitologiche manichee. Il manicheismo sembrò inizialmente al giovane Agostino la dottrina che meglio soddisfaceva ai suoi bisogni metafisici e morali, ma l'incoerenza di taluni membri della setta e la contraddittorietà di alcune dottrine lo spinsero lentamente a prendere le distanze da quel sistema. Un incontro avuto con il vescovo manicheo Fausto, considerato la massima autorità della setta, non risolse i suoi dubbi. Intorno al 383 lasciò Cartagine per Roma, sembra a causa della condotta piuttosto turbolenta degli scolari cartaginesi, ma l'anno successivo grazie all'aiuto dei manichei si recò a Milano, come maestro di retorica. Mentre maturava il suo distacco interiore dal manicheismo, pensò di aderire alla filosofia dell'Accademia scettica, che affermava che l'uomo deve dubitare di ogni cosa, perchè di nulla può avere conoscenza certa, ma ne venne distolto dal fatto che tale dottrina nulla aveva da dire a proposito di Cristo.Ancora manicheo (383\384) la Chiesa Evangelica:agostinosua adesione alla setta si limitava alle dottrine materialistiche e al dualismo.  All'incirca nel 386 un ripensamento radicale delle sue posizioni fu determinato dalla lettura di testi filosofici neoplatonici, particolarmente delle Enneadi di Plotino, e dall'incontro con il vescovo della città di Milano, Ambrogio che gli insegnò tramite l'allegoria una lettura meno "grossolana" delle Sacre Scritture. Agostino dai neo-platonici apprese che era razionalmente concepibile l'incorporeo e che il male non era sostanza, ma semplice "privazione" Ciò che non trovò in essi fu che Cristo fosse il Figlio di Dio morto per la remissione dei peccati degli uomini, e infatti tale affermazione per essere formulata avrebbe richiesto non la ragione ma la fede. Comunque Agostino in questa fase della sua vita si sente "salvato" dalla filosofia neo-platonica la quale ,in seguito,farà tutt'uno con la sua fede in Cristo, ormai al riparo dallo scetticismo filosofico. Nel 387 Agostino ricevette il battesimo dalle mani di Ambrogio, dal quale come abbiamo già detto aveva appreso il valore dell'esegesi allegorica delle Scritture e dunque il modo per rivalutare l'Antico Testamento. Agostino fece ritorno in Africa settentrionale, dove nel 391 venne ordinato sacerdote e nel 395 vescovo di Ippona, in un periodo di disordini politici e conflitti teologici, mentre i barbari premevano ai confini dell'impero.  In questo clima di scismi ed eresie Agostino si dedicò totalmente alla lotta contro le dottrine eretiche dei donatisti e dei pelagiani: i primi facevano dipendere la validità dei sacramenti dal rigore morale di chi li amministra, mentre i secondi, seguaci di un certo Pelagio, non solo negavano la dottrina del peccato originale e quindi la solidarietà di razza con il peccato di Adamo, ma anche sostenevano che la grazia di Dio fosse data secondo il merito. Agostino contro i pelagiani sosteneva che dopo la caduta di Adamo il merito delle nostre buone azioni e la perseveranza in esse era da attribuirsi esclusivamente alla grazia di Dio. Tale grazia è data da Dio solo ad un certo numero di persone, gli eletti, e non è fondata su alcun merito da parte loro.; Agostino sviluppa tali argomenti in De Corruptione et gratia e nel Risposta ai monaci di Adrumeto; dagli scritti si desume che gli uomini, dopo la caduta di Adamo possono essere divisi in due categorie: gli eletti e i non-eletti. Gli eletti sono coloro che sono fatti oggetto della misericordia divina e vivono nella giustizia e nella grazia di Dio - costoro se peccano possono pentirsi- e sono predestinati al bene eterno. I non-eletti sono coloro che non sono oggetto della grazia divina e, dunque, non sono predestinati alla felicità eterna. Nel caso degli eletti, Dio attivamente interviene nella loro vita, salvandoli,mentre nel caso dei non-eletti, Dio semplicemente non interviene, per cui si può a ragione dire che costoro si perdono per propria volontà. Il peccato di Adamo ha indebolito il libero arbitrio non lo ha però distrutto, per cui i non eletti liberamente scelgono di peccare, essi non hanno infatti voglia di compiere il bene. Gli eletti, al contrario, ricevono da Dio la possibilità di volere il bene e di compierlo. La mancanza del volere il bene nei non-eletti è indice della mancanza di grazia. Ci sono, dunque, i predestinati alla vita eterna, indipendentemente dai loro meriti (ante praevisa merita) e ci sono i non-eletti che però non vengono esplicitamente definiti "predestinati alla morte eterna". Le tesi di Agostino trionfarono nel Concilio di Cartagine del 417. Pelagio era in sostanziale sintonia con i presupposti morali della cultura greca che affermavano l'autarchia della vita morale dell'uomo.Le argomentazioni agostiniane sul tema della predestinazione vedranno varie riprese: nel secolo IX° durante l'età carolingia ad opera di Godescalco d'Orbais, impegnando gli uomini più dotti del tempo in una controversia che durò piuttosto a lungo, nel XVI° sec. all'epoca della Riforma Protestante ad opera delle dottrine di Lutero, Zwingli e specialmente Calvino, nei secoli XVII° e XVIII° con le dottrine di Giansenio.

(autore: Domenico Iannone)